Anteprima dello studio di Danio Manfredini sull’Amleto shakespeariano, presentato al VIE Scena Contemporanea Festival 2011

Seguendo gli appuntamenti dell’ultimo VIE Scena Contemporanea Festival, abbiamo visto i debutti di tre maestri contemporanei. Oggi ripercorriamo lo studio di Danio Manfredini su “Amleto”.
Ciò che colpisce, in questo confronto tra l’attore-autore e il testo shakespeariano, è l’esplorazione di un linguaggio scenico, una cifra espressiva che non si preoccupa solo di fornire un’interpretazione (l‘ennesima) della tragedia, ma soprattutto di un modo di costruire la dimensione teatrale. Come a dire che la possibilità di accedere al senso, a una nuova percezione di battute e personaggi, si apra percorrendo un registro con regole precise.
La sensazione è che il processo in corso, attraverso cui prenderà forma l’intero spettacolo, riguarda un’indagine sulle possibilità recitative all’interno di certe costrizioni, sull’uso di un codice: è nel filo sottile tra visione estetica e sensazione suscitata che si creano significati.
Sfoltite di molto le scene originali, Manfredini riduce il parlato e dilata i passaggi, cura una composizione figurativa tesa verso l’astrazione, anche attraverso luci e costumi.
Per entrare in questo universo, a tratti spiazzante, non è ammessa la fretta.
Tutto comincia al buio con la sola melodia di un violoncello e una figura (Giovanni Ricciardi) che si avvicina suonando, col volto coperto – elemento che contraddistingue tutti i personaggi – da una maschera bianca.
Ouverture inattesa, come l’arrivo delle guardie che attraversano lo spazio vuoto con i corpi protesi in avanti, anche loro col volto coperto da maschere che ricalcano e fissano nell’immobilità il viso reale dell’attore.
Fuori dal realismo, fuori dalla psicologia. Precisione coreografica, con gli attori che assumono posture innaturali e si muovono come sospesi ai fili di un invisibile burattinaio.
In un’atmosfera che si fa impalpabile ed evocativa affiorano momenti intensi: il primo monologo di Amleto-Manfredini, un principe di Danimarca col candore di un bambino, avvilito e disarmato di fronte alla sofferenza dello stare al mondo, solo a rannicchiarsi su una sedia nel mezzo del palco deserto; la sfilata in postura da danza indiana di Ofelia, che appare come una marionetta, una bambola tragica sballottata e scomposta dalle pressioni di Laerte. E l’apparizione dello spettro ad Amleto: nel nero della scena padre e figlio avanzano insieme come un’unica figura in cui si distingue solo il livido pallore delle maschere, con lo spettro che sovrasta in altezza il principe tenendolo davanti a sé: un’immagine fortissima che esplicita tutto il senso del legame paterno, e quasi dispiace quando i due si distaccano lasciando intravedere i trampoli dello spettro, che parla attraverso una bellissima voce off (di Angelo Laurino). Ma anche la scelta di svelare l’artificio è coerente con il linguaggio costruito e la sua dichiarata convenzionalità.
Non tutti i momenti, però, raggiungono questa intensità: ci sono alcuni cali di tensione, spesso relativi alla pronuncia delle battute, resa difficoltosa dalle maschere, e non avvantaggiata dalla scelta delle voci strozzate.
In certi casi sembra che l’intenzionalità, il senso di quanto pronunciato, non sia chiarito fino in fondo, e l’immagine si svuoti; anche certe azioni non producono la chiarezza necessaria, come ad esempio i passaggi delle guardie in apertura.
Lo spettacolo produce sensazioni contrastanti, attimi di impazienza quando ci ritroviamo in cerca di spessore oltre il visivo, e altri in cui ci assorbe nel suo ritmo. Ma, alla fine, rimaniamo col desiderio di andare avanti per restare ancora all’interno della dimensione in cui ci ha immersi.
AMLETO-STUDIO
regia: Danio Manfredini
con: Guido Burzio, Cristian Conti, Vincenzo Del Prete, Angelo Laurino, Danio Manfredini, Amerigo Nutolo, Giuseppe Semeraro, Giovanni Ricciardi
aiuto alla regia: Vincenzo Del Prete
adattamenti ed esecuzioni musicali: Giovanni Ricciardi
traduzione: Amerigo Nutolo, Danio Manfredini
produzione: Danio Manfredini e La Corte Ospitale
coproduzione: Theatre du Bois de L’Aune (BLA)
con il sostegno di: Espace Malraux, Scène nationale de Chambéry et de la Savoie – CARTA BIANCA (programme communautaire Objectif 3, Coopération territoriale européenne 2007 – 2013 France –Italie “Alcotra”) e Emilia Romagna Teatro Fondazione
durata: 50’
applausi del pubblico: 2’ 40’’
Visto a Rubiera, Teatro Herberia, il 15 ottobre 2011
Anteprima