Il triennio artistico di Virgilio Sieni alla Biennale Danza di Venezia si è chiuso con la seconda edizione della Biennale College, che così come Venezia si è costituita “spazio pubblico”: un sistema aperto alla frequentazione di pratiche diverse, alla condivisione e quindi alla creazione di una comunità.
Evento clou dei quattro giorni di programmazione è stato il ritorno in Biennale di Anne Teresa De Keersmaeker, a cui è stato consegnato il Leone d’Oro alla carriera per la Danza perchè “punto di congiunzione tra creazione e processi di trasmissione. Il suo gesto poetico attraverso il corpo ha reso possibile un travaso significativo tra le culture occidentali nella comprensione del corpo teatrale come medium della ricerca linguistica. Elevando lo spazio a tavola del mondo, vi ha dislocato i corpi di una ricerca che lascia percepire l’apertura dell’ uomo a nuovi luoghi […]”. Un premio che lei ha commentato con un semplice: “I like dance, I like dancing, I like dancers”.
A più di trent’anni di distanza dal debutto (era il 1982), la coreografa belga è tornata a danzare nel suo storico “Fase, four movements to the music of Steve Reich”, un lavoro costruito sul rapporto tra movimento e suono.
Lo spettacolo è basato su gesti brevi, ripetuti ininterrottamente, linee rette, circolari, diagonali, rotazioni sul proprio asse, con l’inserimento di piccoli, e appena percettibili, contrappunti che danno origine a nuove e ancora una volta reiterate geometrie. Una coreografia strepitosa per la rigorosità, l’assenza del superfluo, il minimalismo geometrico del movimento che, nel trascendere il controllo mentale, arriva alla leggerezza dell’assenza e dell’essenza meditativa.
“Fase”, definito come “l’origine del movimento di danza contemporanea”, è una coreografia che ha fatto propria una archeologia del gesto estremamente viva (linea retta, cerchio, rotazione, reiterazione) e ha trovato poi nel processo creativo la propria atemporalità.
Di primo acchito il lavoro della De Keersmaeker rimanda a un altro lavoro visto durante la Biennale: “Turning-thank you for your love version” di Alessandro Sciarroni, la cui visione aveva rimandato a sua volta alla danza dei dervisci rotanti e, quindi, anche al suo precedente “Folk-s“. Bisogna infatti dire che questo lavoro si inserisce perfettamente nella ricerca che il coreografo conduce da tempo sul concetto di resistenza, sforzo, concentrazione, ripetizione all’estremo.
In “Turning” cinque danzatrici ruotano attorno al proprio asse per almeno una ventina di minuti.
Le sue origini sono lontante nel tempo, ma il progetto acquisisce una propria entità sia attraverso il motivo fondante il processo creativo, ovvero il concetto di “migrazione e corpi migranti”, sui cui Sciarroni è stato chiamato a riflettere durante la partecipazione al progetto europeo Migrant Bodies. Sia attraverso quei piccoli contrappunti coreografici dati da braccia, mani e testa durante la rotazione, che riescono a disegnare nell’aria e nella luce nuove forme possibili.
Lungo il filo delle origini, lavorando sull’idea di archivio e trasmissione, si è inserito in chiave del tutto ironica “Roman photo” di Boris Charmatz e Olivia Grandville. In un “frammento” di trenta minuti un gruppetto di incerti danzatori ripercorre 50 anni di posture, espressioni e balletti del coreografo americano Merce Cunningham, fotograti e pubblicati nel libro di David Vaughan. Stabilita la sequenza che segue rigorosamente quella fotografica, il resto “accade”. Un vortice di composizioni si fanno e si disfano a grande velocità, interrotte solo da brevi e comici fermi immagine. La storia di una vita diventata immagine si trasforma quindi a sua volta in un altro spettacolo.
Anche i giovanissi (dai 10 ai 15 anni) hanno sperimentato il passaggio dalla pratica alla creazione in un tempo limitato nell’ambito della sezione “Vita Nova”.
Oltre a Michele Di Stefano (che ci aveva raccontato il suo progetto in questa recente intervista) e a Marina Giovannini, ha lavorato con 18 giovanissime interpreti il coreografo israeliano Sharon Fridman, presentando al pubblico “Vastagos”.
Anche questo progetto, come il precedente “Rizoma” da cui discende, ha tratto ispirazione dalla natura, focalizzando però l’attenzione sul processo evolutivo del germoglio, che pur essendo collegato attraverso il gambo alla matrice genitoriale ha nella sua fioritura la possibilità di confermarla o disattenderla.
Una vera e propria produzione che è parsa fin troppo pretestuosa ed esibita rispetto all’età, e forse alla necessità formativa, delle interpreti. E’ parso subito evidente il “progetto Fridman”, ma meno il lavoro che una sezione come “Vita Nova” avrebbe forse richiesto su quei corpi acerbi e inattesi, da modulare e lasciar agire. Abbiamo visto invece delle bellissime interpreti impegnate a ripetere, in modo molto gioioso, un disegno ben preciso.
Tutta la composizione coreografica di questa edizione, a cui Sieni ha dato il nome de “La dignità del gesto”, è stata costruita secondo una logica di dittici coreografici: ogni spazio al chiuso scelto per la performance era collegato a uno spazio all’aperto. Mentre il “frammento”, come idea di durata, ha modulato la temporalità degli eventi. Si è venuto così a costruire un sentiero fisico, un continuo andare dal luogo al gesto e viceversa.
Il pubblico si è spostato tra campi e calli, ha attraversato ponti e ha sostato numeroso sotto un solleone attorno ai luoghi delle performance. Ha occupato tutta la Fondamenta che dà sullo Squero di San Trovaso (uno dei pochissimi ancora in funzione), diventato la “dimora” temporanea di Annamaria Ajmone.
Sulle note del Boléro di Ravel, in campo San Trovaso gli spettatori hanno fatto inconsapevolmente parte di “Nous serons tous des étrangers” (Siamo tutti stranieri) di Radhouane El Meddeb. Mentre in campo Sant’Agnese hanno assistito alle puntuali “Esercitazioni ritmiche” tratte dal nuovo libro di Claudia Castellucci (Setta. Scuola di tecnica drammatica).
Volendo trovare una sintesi per questa grande mappa coreografica costruita da Virgilio Sieni, potremmo dire che questi tre anni hanno dato vita ad un dinamico archivio di tracce, sguardi e gesti che nell’oggi riescono ancora a regalare il senso del mistero della danza, e che probabilmente nella forza creatrice della trasmissione troveranno un’altra apertura al domani.
Vi lasciamo a qualche video realizzato durante le giornate di Biennale e già da noi pubblicati in diretta sulla pagina Facebook di Klp, dovrete quindi essere loggati su Fb per vederli.
Le “Esercitazioni ritmiche” di Claudia Castellucci
Radhouane El Meddeb, “Nous serons tous des éstrangers”
Annamaria Ajmone in “Būan”, che nel tedesco antico significava “abitare” e in quello moderno si è trasformato in Bauen, costruire
Cesc Gelabert, “Dirty hands and beauty”