Chi ha paura della danza? Intervista a Livia Patrizi

Un momento del progetto Tanzzeit Tempo di danza al Valle Occupato|Da sinistra: Jo Parkes e Livia Patrizi
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Da sinistra: Jo Parkes e Livia Patrizi
Da sinistra: Jo Parkes e Livia Patrizi (photo: Valle Occupato)
Dando seguito alle impressioni sul workshop per insegnanti e professionisti del progetto Tanzzeit promosso dal Teatro Valle Occupato, abbiamo incontrato, al termine della settimana di lavoro, Tania Garribba, attrice occupante del Valle, e Livia Patrizi, curatrice del progetto Tanzzeit.

Tania, la cosa che mi ha colpito della proposta è stata l’accuratezza del progetto, sia da un punto di vista formativo, per le tante iniziative tutte collegate da un senso, sia per come la proposta si sia perfettamente inserita nella nuova visione che il Valle Occupato ricerca in ogni suo fare. Immagino ci sia stato un grande lavoro di incontro e condivisione.
Il lavoro è iniziato alcuni mesi fa con la condivisione di racconti dell’esperienza portata avanti a Berlino. Ci siamo subito resi conto della vicinanza di questa proposta con ciò che noi stiamo cercando di portare avanti al Valle, sia sul piano della formazione che su tutta un’altra serie di piani, che su quello si riverberano. Il discorso della formazione per noi è fondamentale, soprattutto la formazione di qualità; pensare che un progetto sulla danza contemporanea venga condotto da professionisti di alto livello che lavorano nella danza contemporanea, per noi significa dare un grande valore a questo processo di trasmissione, che è una forma di trasmissione calda, vivente, appassionata. Solo in questo modo pensiamo si possano trasmettere i saperi dell’arte. Portare tutto questo nella scuola pubblica significa dare un grande valore alla scuola pubblica stessa, soprattutto in questo momento storico, in cui la scuola viene continuamente svuotata di senso e contenuti.

L’organizzazione di questa settimana ci è sembrata un buon tentativo per provare molto concretamente a immaginare una via di uscita dalla tristezza e dalla povertà culturale in cui siamo completamente calati. E’ stata una settimana intensa, che ha visto un workshop per insegnanti e professionisti nel week-end, un laboratorio tenuto da ragazzi tedeschi per i loro coetanei romani provenienti da varia scuole e licei coreutici della città, con un momento finale di apertura al pubblico, un Commons Café, e la visione dello spettacolo della compagnia nata da Tanzzait, formata da professionisti e non professionisti.
Ci piacerebbe pensare possibile un progetto Tanzzait Italia a partire da qui, da questa esperienza al Valle e dalle persone che vi hanno partecipato, un progetto volto a fornire strumenti di accesso e comprensione a questa forma di danza che in Italia soffre particolarmente.

Livia, dacci un resoconto e un riscontro rispetto al lavoro di questa settimana, anche rispetto al lavoro in Germania: differenze, uguaglianze, nuovi input…
Ciò che è stato molto bello per me è avere l’impressione chiara di essere riusciti a comunicare un’esperienza e non solo un’idea, e questo grazie agli anni di lavoro fatto in Germania.
Abbiamo visto che l’approccio dei ragazzi alla danza nelle scuole è uguale dappertutto, sono le stesse tipologie di crisi, paure, pregiudizi, come è identico l’entusiasmo che poi si genera.
Ho visto molta competenza nel workshop per insegnanti e professionisti, un terreno molto fertile e simile a quello che ho trovato in Germania sei anni fa, quando abbiamo cominciato.
Cosa manca in Italia sono i riferimenti istituzionali, che possano raccogliere e dare senso e dignità a questa professionalità comunque diffusa. E’ stato affascinante, per noi e i ragazzi, poter lavorare al Valle; noi, abituati a spazi più contemporanei, abbiamo subìto tutto il fascino di questa struttura e ne abbiamo apprezzato il suo essere un punto di incontro e raccordo con il quartiere e la città.

Un momento del progetto Tanzzeit Tempo di danza al Valle Occupato
Un momento del progetto Tanzzeit Tempo di danza al Valle Occupato (photo: Valle Occupato)
E’ stata la prima volta che i ragazzi della compagnia hanno tenuto un workshop per loro coetanei o è una cosa che già fate?
No, è un passo in più. Abbiamo avuto un progetto finanziato da un fondo per l’educazione culturale a Berlino che contemplava quattro spettacoli in altrettanti teatri della città, presentati in mattinata per le scuole. Dopo gli spettacoli i performer andavano nelle classi che avevano partecipato e tenevano un workshop sul contenuto dello spettacolo.
Questa esperienza ci ha fatto capire quanto sia importante, per la danza, avere la doppia dimensione: quella della visione e quella della pratica. Nel workshop tante domande rimaste sospese hanno trovato risposta direttamente nel fare e nell’esperienza che si stava attraversando. All’interno del progetto Tanzzait, poi, i ragazzi devono presentare delle micro-coreografie di tre minuti alla fine del corso, ma sono coreografi di se stessi.
Un’esperienza come questa al Valle, in cui hanno dovuto preparare 40 ragazzi incontrandoli tutti i giorni per farli lavorare, è stata notevole. Sia per loro che per noi è stato proprio un passaggio.

Come è andata l’esperienza del Commons Café?
C’è stata una partecipazione molto bella; come sempre è più facile arrivare ai non addetti ai lavori, ma abbiamo dovuto tenere conto del fatto che c’erano in concomitanza altre iniziative dedicate alla danza. Riscontriamo però una disabitudine a lavorare insieme, mentre sarebbe bello immaginare che chiunque si interessi di danza possa lavorare insieme, mescolando i propri talenti.  Continuiamo anche a riscontrare un vuoto rispetto agli interlocutori istituzionali, nessuno risponde a tono a quelle che sono le proposte di trasformazione in ambito culturale.

Avete progetti futuri riguardo questa iniziativa, state immaginando un progetto pilota.
L’idea sarebbe quella di riuscire a creare, in collaborazione con il Goethe Institute, un progetto pilota Tanzzeit Italia, quindi formare danzatori professionisti italiani con i curatori del progetto tedesco e coinvolgere delle classi delle scuole medie e delle superiori, anche in una idea di scambio tra le due realtà.

Esistono altri centri in Italia che hanno uguali modalità di insegnamento della danza nella scuola pubblica, penso al centro Mousikè di Bologna, all’associazione Chooronde di Roma. Come pensate di rapportarvi a loro?
La nostra idea e la nostra politica è sempre quella di entrare in relazione con tutte le realtà del territorio che in qualche modo si occupano delle questioni che avviciniamo, sempre in un’idea di condivisione e inclusione.

Sta per iniziare lo spettacolo “Chi ha paura della danza?”, il teatro si affolla di persone; non si paga il classico biglietto al Valle Occupato, ma si dà una quota di complicità in cambio di una spilla che, stavolta, recita: “When I dance, I know who I am”. Forse la danza contemporanea ha trovato una nuova casa.
 

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