«Abbiamo moltiplicato in tutta Italia il laboratorio delle idee per allargare la discussione sul presente, superare le lamentele e le tentazioni di resa e affrontare le questioni che ci fanno alzare tutte le mattine» ha esordito Donato Nubile, presidente di C.Re.S.Co., riferendosi al fatto che i tavoli di lavoro organizzati dal Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea, da quando è nato nel 2010, hanno parlato soprattutto di produzione e diffusione della scena contemporanea, pratiche di lavoro e sostegno dell’innovazione, ma raramente gli artisti e gli operatori coinvolti si sono concessi il tempo di confrontarsi sul fare artistico, dialogando alla ricerca di prospettive differenti per la creazione.
Questo “fermiamoci ad ascoltarci” è un po’ il senso che anima anche questa edizione del Danae Festival, che sta riportando in scena una selezione del contemporaneo, fatto di teatro, danza, performing art, italiano e non, linguaggi diversi e spesso uniti che, pur nuovi o ancora in evoluzione, rappresentano già un repertorio della ricerca contemporanea. Come i due spettacoli che hanno inaugurato la 15^ edizione, richiamando al teatro milanese Out Off “folle” rare.
A debuttare, “Aure” di Teatropersona, compagnia fondata nel 1999 da Alessandro Serra e Valentina Salerno che, da una formazione centrata sulla biomeccanica di Mejerchol’d, hanno integrato il teatro danza, arrivando a creare un personalissimo movimento, danzato e mai parlante, ma che dialoga con le luci – e molto con il buio e l’ombra – e con lo spazio, più o meno ingombro, che lo serve.
Come in “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, alla quale lo spettacolo si ispira, le parole costituiscono un flusso continuo non intellegibile se non come sinfonia di suoni e di immagini rievocate. In un’ora di spettacolo “Aure” crea un quadro vivente, in cui il movimento del corpo è il protagonista che agisce nella composizione di un’immagine complessa, in evoluzione, ma sempre coerente con il resto della scena.
La seconda serata di Danae ha portato all’Out Off “Circhio Lume”, progetto di Federica Tardito e Aldo Rendina che lo hanno sottotitolato “spettacolo di teatro danza ai confini del clown”; tre per la precisione, protagonisti dentro al cerchio, simbolo atavico della rappresentazione dal vivo come rito, qui tratteggiato con lo scotch bianco che in teatro segnala gli ingombri e delimita i movimenti sul palcoscenico.
Apparente parodia della clownerie più malinconica, “Circhio Lume” è il travestimento comico di un dramma universale: ogni uomo finge pur di fare bella figura, e si maschera come può.
Tre corpi sono abbastanza per mettere in luce tutte le possibili diversità, sottolineate ancora di più da musiche di Bach‚ Mozart‚ Satie e Madonna.
Basta un piccolo cerchio per delimitare le forme mettendone in luce i confini, ma anche per liberare un nuovo, semplice ma potente, fatto creativo.
Il limite come possibilità creativa è stato il tema del Laboratorio permanente sul contemporaneo a cura di C.Re.S.Co., in collaborazione con Danae e Takla, che ha domandato a sei personalità di diverso tipo e arte come il limite sia capitato nelle ricerche di ognuno.
Daniele Nicolosi (in arte Bros) è un writer che da anni porta l’arte in luoghi non artistici, sui muri delle case di Milano, considerando il foglio o la tela un limite per la fruizione del disegno: «La nostra arte ormai è un fattore di identità, un’espressione artistica e sociale figlia del suo tempo, e ogni artista è un cronista della sua epoca».
La riflessione sul muro non come proprietà privata ma come spazio visivo e artistico ha permesso di parlare di tutto ciò che teatro non è ma che lo alimenta, che siano luoghi fisici o persone, passando la parola a Davide Iodice, diventato regista e drammaturgo dopo aver lavorato come operatore sociale: «Quando entro in teatro capisco che la vita è da un’altra parte, e io la voglio riportare dentro» ha raccontato Iodice sottolineando il limite, sottile, nella differenza tra vero e troppo vero, tra attore e non attore, raccontando della sua ricerca sugli incubi del contemporaneo per lo spettacolo “La fabbrica dei sogni”, debuttato al Napoli Teatro Festival Italia del 2010, e condotta stando un anno nel dormitorio pubblico di Napoli, a contatto con gli ospiti dell’istituto: «Uguali a noi, nessun colpo di scena».
Eppure il “tanto vero” rimane indicibile, ed ecco un altro limite, tra cosa si può dire e cosa no. Per esempio, lo stato d’animo di una neomamma quando è negativo, e cioè il quadro critico dipinto dal film “Tutto parla di te” di Alina Marazzi, che è intervenuta parlando però del limite dal punto di vista della produzione cinematografica, e in particolare del limite tra il documentario e la narrazione poetica, ma basata su fatti veri, per raccontare la realtà.
«Ho portato “altre arti”, altri mezzi espressivi come teatro, teatro danza, pittura e fotografia nel cinema per parlare della perdita di controllo del corpo – ha spiegato la Marazzi – Ho affiancato la protagonista a un’attrice di teatro danza della compagnia Fattoria Vittadini, che la facesse mimetizzare, mentre per interpretare la perdita d’identità, l’essere “fuori fuoco”, ho chiamato Simona Ghizzoni, una fotografa che lavora sull’autoritratto».
E di creatività che si confronta con il limite precedentemente definito, come appunto un genere artistico, ha parlato anche Marco Palmieri: «Come si può essere creativi in una società in cui gli stessi limiti continuano a cambiare?» ha domandato l’architetto, per sua stessa definizione, «colui che delimita lo spazio, quindi crea i limiti. Quello maggiore, oggi, è però dato dal contesto, produttivo, estetico e sociale, che ha troppo valore nella definizione dell’opera d’arte, anche se è un valore liquido, che scompare e si assorbe appena nasce».
Il rapporto tra limite e creatività, che può e non può essere “finibile”, è stato lo spunto che ha portato alla parte più scienziata del tavolo: Aniello Mennella, fisico che si occupa di cosmologia «che studia l’universo in espansione, cioè la disciplina che allarga il limite di casa nostra», partendo da esempi di sue stesse ricerche, condotte dal 2000 nell’ambito della missione spaziale Planck dedicata all’osservazione dell’universo primordiale, ha parlato di come, nel mondo fisico, il nuovo che si affaccia sta in zone di confine o tra frontiere.
E ciò non accade solo nell’universo, ma a ogni operatore del contemporaneo, che sia un artista o meno. «Io non sono un’artista, ma come voi incontro persone, e trovo che le persone siano arte – ha aggiunto Fiorenzo De Molli, direttore operativo della Casa della Carità di Milano, che dal 2004 accoglie persone “border line” – Chi vive senza limiti si perde. Tutti i limiti dell’uomo sono superabili, si spostano sempre un po’ più in là, tranne uno, l’ultimo».
Una consapevolezza che ha chiuso la giornata nazionale di C.Re.S.Co. a Milano con un grande applauso.