Familie Flöz in versione noir. Ilarità e poesia contraddistinguono “Hotel Paradiso”, forse il loro spettacolo più celebre. E quel po’ d’inquietudine e orrore che in genere attraversa le vicende umane, anche se patinate di decoro e decenza. Tanto che il noir sembra degenerare in pulp.
Teatro di figura, fantasia e artigianato. La compagnia berlinese guidata da Michael Vogel, nata nel 1994, è nota per l’arte del mimo e la sperimentazione con le maschere.
Familie Flöz è reduce dai successi di marzo nei teatri di Lugo, Cattolica, Vignola, Roma e Mirano. Chiuderà la fortunata tournée in Italia al Lirico di Catanzaro, il 29 e 30 marzo.
Il senso della contemporaneità, nelle arti e nella comunicazione, è affidato alle immagini più che alle parole. L’immagine è forma espressiva primordiale. È meno ambigua della lingua. È segno, simbolo, esorcismo.
Attraverso le immagini il mondo impone la propria discontinuità.
Questo “Hotel Paradiso”, che abbiamo visto al Teatro Manzoni di Milano, è un giallo intriso d’umorismo, sentimenti violenti e un tocco di melanconia. Ma la strada verso il cielo dirotta per l’inferno. Accadono cose incredibili sulle Alpi, nel singolare albergo a quattro stelle gestito a colpi di bastone dalla decrepita capo-famiglia.
Il sole del mattino filtra attraverso la porta girevole della hall. Illumina corpuscoli di polvere, il legno vecchio dei mobili, le tendine, la carta da parati, i rudimentali abiti a scacchi e rombi dei protagonisti. Percepiamo un odore stantio che resiste persino all’aria di montagna. Una luce arcana emana dal ritratto del fondatore dell’albergo, troppo reale perché stia lì, buono, inchiodato alla parete.
All’ingresso una fonte d’acqua benedetta promette guarigione da malanni fisici e psichici. Ma nubi sinistre turbano l’orizzonte. Il figlio, che s’innamora di tutte le donne che gli capitano a tiro, contende alla sorella, cinica e sprezzante, il controllo dell’albergo. La cameriera del piano è cleptomane al punto da imboscarsi l’estintore. Il cuoco macellerebbe anche sua madre. Un cane abbaia e morde. Altri strani avventori si lasciano contaminare dall’atmosfera irreale, aggiungendoci del proprio: un orientale in bilico tra yoga e nirvana, donne sciantose o snob, sportivi malati di salutismo, un ladro con addosso una refurtiva più grande di lui, un improbabile codazzo d’inquirenti lanciati al suo inseguimento.
Affiora un cadavere, è l’inizio della fine. Tra le vette alpine, all’Hotel Paradiso, si aprono abissi.
«Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero»: chi non avesse colto il senso di questo profondo motto di Oscar Wilde, venga a vedere Familie Flöz. Capirà, senza bisogno di chiose.
Le maschere realizzate da Hajo Schüler e Thomas Rascher rafforzano il linguaggio del corpo in maniera straordinaria. Creano da sole quell’espressività comica e poetica tipica della clownerie e del mimo. Al punto che basta una vecchia aria su vinile di Marlene Dietrich, una danza surreale, uno spruzzo di coriandoli, un abbraccio, una percossa, a far scattare le emozioni.
Queste maschere hanno un’anima. Hanno espressioni che farebbero l’invidia di Totò e Anna Magnani. Narrano la vita, i sentimenti. Abbozzano l’ipocrisia nei rapporti umani. Svelano i personaggi. Se poi ci aggiungiamo l’icasticità di gesti essenziali, privi di platealità, lontani dall’enfasi con cui soprattutto noi italiani siamo soliti accompagnare i nostri discorsi, abbiamo la cifra di questo teatro nudo, incisivo, senza orpelli.
Intendiamoci. Non diciamo che “Hotel Paradiso” sia un capolavoro memorabile: a noi, personalmente, ha regalato sorrisi a denti stretti, risatine amare. Che la risata grassa raggiunge solo i pochi eletti capaci di trasfigurarsi in una dimensione surreale, entrando in perfetta empatia con uno stile insolito. E noi amiamo raggiungere la sala sobri.
Però quest’arte che rinuncia alla parola, supera i limiti della lingua e dell’età, e attraversa il controllo della mente conscia, e scongiura difese e repressioni: quest’arte libera la fantasia. Raggiunge, pulita, l’emisfero destro del cervello. Apre alla fascinazione emotiva. In un rito che esorcizza la dilagante tecnologia contemporanea.
HOTEL PARADISO
produzione: FAMILIE FLÖZ, Theaterhaus Stuttgart, Theater Duisburg
un’opera di: Anna Kistel, Sebastian Kautz, Thomas Rascher, Frederik Rohn, Hajo Schüler, Michael Vogel, Nicolas Witte
con: Anna Kistel, Sebastian Kautz, Frederik Rohn, Thomas Rascher
regia: Michael Vogel
maschere: Hajo Schüler, Thomas Rascher
scenografie: Michael Ottopal
costumi: Eliseu R. Weide
musiche: Dirk Schröder
disegno luci: Reinhard Hubert
direttore di produzione: Gianni Bettucci
durata:1h 25’
applausi del pubblico: 3’ 30”
Visto a Milano, Teatro Manzoni, il 16 marzo 2014