
Questo il quadrato della delizia su cui Thomas Ostermeir ha messo in cammino gli interpreti di una lotta per il potere, questi i ganci della struttura rotante sui cui cammina la macchina di regia sulla strada di Henrik Ibsen. Una macchina veloce, che deve portare e porterà a una decisione, sulla scorta di un’altra celebre fast car che recitava “leave tonight or live and die this way”.
Perché se è vero che l’allestimento di Ostermeier per gli attori della Schaubühne Berlin e la riscrittura di Marius von Mayenburg si muovono su una costruzione armonica impeccabile e immediatamente riconoscibile, è proprio nella rappresentazione degli stereotipi di una tragedia perduta che essa ritrova la propria melodia, e dunque ripetutamente l’ottava traccia di Pet Sounds dei Beach Boys e la sua coralità, che appare quasi satiresca per contrappunto.
Testo, attori, narrazione e regia scavano ancora e di comune accordo sulle fratture e sulle ossessioni senza sbocchi del presente, attraverso il “classico” e l’eterno come già fu per l’Amleto, riavvolgendo idee e visioni sul nastro di una costruzione tanto precisa quanto paradossale.
Hedda Gabler, nelle cui mani “tutto diventa insulso e ridicolo”, riemerge così da un’ambientazione minimal, autoreferenziale e sprezzantemente conchiusa per lanciare il proprio sguardo cinico e vuoto da un divano che abbraccia ciascun ruolo senza salvarne nessuno. La “cattiva” Hedda e il marito Jørgen, opportunista l’una e deludente l’altro, figlio di ambizioni derivate dalla moglie e dalla zia Juliane; l’ex-amante Lòvborg e la signora Elvstedt, genitori distratti di un capolavoro storico che alla morte accidentale del primo finirà per spargersi pavimento e pareti di post-it – decantando la propria presunta grandezza in un gioco di note colorate a piè di pagina – e, infine, il ‘terzo contendente’: l’amico Brack, colui che aspetta sulla riva del fiume.
Sopiti negli anfratti della vicenda, nei gesti e negli sguardi dei suoi magnifici interpreti, rimangono aloni impalpabili di conflitti lontani e perduti per sempre, ancor prima di nascere, conflitti in potenza che si depositano nello spettacolo come le proiezioni su parete di una passione vile e fuori fuoco.
Sotto un cielo inverosimile e capriccioso al pari delle lacrime della protagonista sta l’impossibilità di qualsiasi gesto eroico, tanto agognato e tanto ridicolizzato dall’esito delle sue azioni, mentre nello specchio inclinato sulla scena finisce l’unico e solo divertimento di Hedda.
Bang bang, e per dirla alla Bret Easton Ellis “anche questa mia confessione non significa niente…”.
HEDDA GABLER
di Henrik Ibsen
regia: Thomas Ostermeier
traduzione in tedesco: Hinrich Schmidt Henkel
scene: Jan Pappelbaum
costumi: Nina Wetzel
musiche originali: Malte Beckenbach
drammaturgia: Marius von Mayenburg
video: Sébastien Dupouey
luci: Erich Schneider
con: Annedore Bauer, Lars Eidinger, Jörg Hartmann, Katharina Schüttler, Kay Bartholomäus Schulze, Lore Stefanek
durata: 2h 15′
applausi del pubblico: 5′ 30”
Visto a Roma, Teatro Argentina, il 27 ottobre 2013
Romaeuropa Festival
Prima nazionale