Cinque giorni intensi, tredici spettacoli fra anteprime, prime nazionali, ritorni e conferme. E’ stata questa la Primavera dei Teatri conclusasi pochi giorni fa. Un’edizione numero sedici ricca di spunti e visioni, difficili da condensare, tra spettacoli, sensazioni, incontri, riflessioni.
Il festival dedicato ai nuovi linguaggi della drammaturgia contemporanea anche quest’anno si è caratterizzato per la capacità di pulsare e accogliere proposte e istanze diverse, portare in scena – soprattutto attraverso una centralità della parola drammaturgica, del gesto e della narrazione – i cortocircuiti della società contemporanea, tra solitudini, paure, ferite sanguinanti, riconosciute in molti degli spettacoli visti, e mostrando talvolta il doloroso e profondo contrasto fra realtà e finzione, svelando la potenza, le possibilità, le necessità del gioco teatrale.
Ancora una volta Primavera dei Teatri e la Calabria sono diventate “centro” smarcandosi dalla condizione geografica di “periferia”, grazie a un festival da sempre capace di trasformare Castrovillari, piccolo borgo ai piedi del Pollino, in un laboratorio di linguaggi, opportunità, incontro tra spettatori – sempre tanti quelli che hanno assistito agli spettacoli – e attori, critici ed operatori, grazie alla tenacia della compagnia Scena Verticale (Saverio La Ruina, Dario De Luca direttori artici e Settimio Pisano, direttore organizzativo) che ha riservato uno spazio privilegiato alla drammaturgia del Sud, osservata e ascoltata nella sua complessità linguistica.
Vogliamo proporvi oggi una sorta di piccolo viaggio nei luoghi, non solo quelli fisici del festival, sempre vitali e animati, ma quelli da cui provengono le voci ascoltate. Focalizzandoci sul Sud, partiamo dalla Puglia che, oltre all’attesa anteprima di Fibre Parallele con “La Beatitudine”, di cui abbiamo già parlato, ha proposto come spettacolo d’apertura “La bisbetica domata” di Factory Compagnia Transadriatica, ma anche la compagnia VicoQuartoMazzini di Bari che, con il “Sei personaggi in cerca di autore” diretto da Gabriele Paolocà, ha offerto una personale, contemporanea e contraddittoria visione dell’eterno dilemma pirandelliano tra realtà e finzione, e del conflitto tra autore e personaggi.
Dalla Puglia provengono anche i protagonisti di due intensi monologhi, una voce sola per dar spazio ad esistenze dolenti. Come quelle che hanno popolato il racconto di Oscar De Summa in una scena nuda, seduto sopra una cassa ad amplificare la musica scelta per enfatizzare la narrazione, e lui a muoversi tra ironia e disincanto, verità e dolore. “Stasera sono in vena” è un viaggio nella Puglia degli anni Ottanta, fra le esistenze a perdere di giovani che cedono alle lusinghe del malaffare e della tossicodipendenza; una sorta di viaggio all’inferno disperato, dove chi tocca il fondo deve trovare dentro di sé le forze per risalire.
Mario Perrotta, a cento anni dall’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, ha presentato invece in prima nazionale “Milite ignoto. Quindici diciotto”, omaggio gli ultimi, agli eroi senza onori che, nelle feroci trincee della Grande Guerra, hanno dato la vita per un Paese che non li conosceva neppure.
Attraverso un’interessante e particolare modalità linguistica Perrotta, da abile affabulatore, ha delineato atmosfere ed episodi, proponendo un percorso narrativo tra dialetti differenti: la parola si fa così nesso, unisce pensieri e storie e, seppur nella differenza, diventa occasione di unicità del racconto.
Sullo stesso tema, ma con una diversa efficacia narrativa, “Al muro – Il corpo in guerra”, produzione Teatro Club Udine, scritto da Renata Molinari e diretto da Massimiliano Speziani, in cui i tre attori in scena paiono però ancora faticare nel racconto delle ingiustizie e dei dolori del conflitto, perdendosi talvolta in un eccesso di verbosità.
Il calabrese Peppino Mazzotta ha debuttato alla regia con “Ombretta Calco”, un’altra prima nazionale, testo di Sergio Pierattini e produzione Rosso Simona/Officine Vonnegut. E’ la storia di una donna, la brava e convincente Milvia Marigliano, che, sospesa a mezz’aria su una panchina, racconta un’esistenza altrettanto in bilico tra fallimenti, dolori, frustrazioni, debolezze, illusioni, tenerezze.
In cerca dell’amore, di una serenità possibile, alle prese con una famiglia sgangherata e una quotidianità come tante, si racconta nelle sue miserie e desideri attraverso un monologo-flusso.
Il Teatro della Maruca, primo spazio off indipendente della città di Crotone, ha proposto a Castrovillari “Bollari. Memorie dallo Jonio”, corpo e voce di Carlo Gallo, che recupera ricordi e racconti dei pescatori calabresi per trasformarli in una narrazione delicata e intensa di cui è autore, attore e regista.
Il mare in “ebollizione”, le onde e le increspature provocate dai tonni in superficie: questo il significato della parola “bollari”, termine arcaico utilizzato dai pescatori come motto e incitamento alla caccia. Storia di pescatori, delle creature che popolano il mare e della “Cecella”, il miglior peschereccio dello Jonio negli anni del fascismo e fino alla seconda guerra mondiale.
Un’altra voce del Sud, quella di Napoli, e ancora un viaggio negli inferi con “Scannasurice”, parole di Enzo Moscato che trasudano vitalità e potenza espressiva, un dialetto arcaico affidato all’interpretazione della bravissima Imma Villa, per la regia di Carlo Cerciello, una messa in scena dal forte impatto visivo oltre che emotivo, l’esistenza di un femminiello che si muove, tra ambiguità ed eccesso, in un tugurio che è casa e inferno insieme.
Ancora una donna sola in scena ne “L’inferno e la fanciulla”, regia di Mariano Dammacco, che colpisce soprattutto per l’interpretazione della brava Serena Balivo, ora bimba indifesa, occhi spalancati sul mondo, movenze e voce particolarissimi, ora essere inquieto, cupo e crudele.
Hanno scelto il pubblico di Castrovillari anche i riminesi Quotidiana.com per debuttare con “Io muoio e tu mangi!”, secondo capitolo di “Tutto è bene quel che finisce”, di e con Roberto Scappin e Paola Vannoni, ragionamento affilato e malinconico sul tema dell’eutanasia.
Una riflessione anche sullo spettacolo di Scena Verticale, “Polvere, dialogo tra uomo e donna”, scritto diretto e interpretato da Saverio La Ruina – il debutto lo scorso inverno all’Elfo Puccini di Milano. La replica vista a Castrovillari ha segnato il cambio dell’attrice che affianca La Ruina, non più Jo Lattari, che ha collaborato anche alla drammaturgia, ma la messinese Cecilia Foti, convincente nel dare corpo ad una storia dove la violenza non deflagra quasi mai, ma scorre e cresce subdola e sotterranea tra gli sguardi dolorosi e le parole cercate e quelle non dette.
La “Polvere” di La Ruina, quella di una coppia che si ama e si distrugge, trova nella Foti interprete sensibile e recettiva, capace di rendere palese un’involuzione, di trasformarsi in donna succube e impotente.
A chiudere l’edizione 2015 ancora un monologo, la voce di Valerio Malorni, diretta, sincera su un tema attuale, tragico e reale come quello dell’emigrazione, ne “L’uomo nel diluvio” (Premio In-Box 2014) della Compagnia Amendola/Malorni.
Vogliamo concludere questa carrellata di Primavera con la “Musica in te(atro)”, il progetto laboratoriale curato da Tindaro Granata che ha condotto un gruppo di allievi – eterogeneo per età e formazione – in un percorso tra musica e parola, un processo creativo che, partendo da una canzone, ha permesso di dar voce a sensazioni, sogni, desideri: «Non c’è parola, gesto, storia che non abbiamo pensato insieme ad una musica, per me un mondo parallelo in cui talvolta mi rifugio per non affrontare la realtà – sottolinea Granata – Siamo partiti da un brano per narrare poi frammenti di storie anche apparentemente lontanissimi dalla canzone». E il risultato è stato coinvolgente, entusiasmante, liberatorio, sia per chi lo ha proposto che per chi vi ha assistito.
Vi lasciamo adesso ai video girati a Castrovillari da Mario Bianchi, con le tre videointerviste a Saverio La Ruina, Carlo Gallo e Oscar De Summa.