Terminato domenica, Testimonianze Ricerca Azioni è un festival di spettacoli, incontri e approfondimenti intorno alla scena contemporanea che il Teatro Akropolis organizza a Genova ormai da cinque anni.
E’ un’occasione importante non solo per la città ma per tutta la Liguria, anche perché i direttori artistici Clemente Tafuri e David Beronio sono molto attenti alle compagnie scelte che, solitamente, non si ha occasione di vedere altrove.
Quest’anno il festival è stato inaugurato dall’Institutet för Scenkonst, che ha aperto il calendario con lo spettacolo “La Logica della Passione”, performance costruita nell’ambito del progetto X Project, un network internazionale di artisti fondato da Roger Rolin e Magdalena Pietruska che dell’Institutet sono oggi le anime principali.
Il loro teatro nasce in Svezia, a Storhögen, agli inizi degli anni Settanta per iniziativa di Ingemar Lindh che, tra le altre cose, è stato assistente, a Parigi, del fondatore del mimo corporeo Etienne Decroux.
Insieme ad un gruppo di artisti di varie nazionalità Lindh costruisce una realtà teatrale che concentra l’attenzione sul lavoro, spesso autodiretto, del performer. Una rilevanza particolare assume anche l’attività pedagogica e laboratoriale, a cui si aggiunge una stretta collaborazione con altri gruppi tra cui il Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski e l’Odin Teatret. Un rapporto possibile grazie alla scelta di un periodo di vita nomade che porta l’Institutet in giro per tutta Europa; fino al 1984, quando la compagnia si ferma in Italia presso il Teatro della Rosa di Pontremoli (MS) dando vita al Centro Internazionale per l’Autopedagogia e la Ricerca Teatrale, che vivrà per quasi quattordici anni attivando intorno all’Università del Teatro una lunga serie di momenti di formazione e scambio per artisti provenienti da tutto il mondo.
Siamo riusciti a fare una chiacchierata con loro proprio in occasione dello spettacolo genovese, incentrato sul tema dell’utopia e della costante tensione dell’uomo e in particolare dell’artista, verso di essa. Un tema che ripropone con forza i fondamenti del lavoro teatrale dell’Institutet, che vede lo spettacolo non come momento conclusivo di un percorso ma come tappa di un cammino costante.
E’ ancora possibile rappresentare l’utopia a teatro?
Roger Rolin: Dipende un po’ da cosa si intende con rappresentare, perché in un certo senso l’utopia non è rappresentabile. Attraverso la pratica la si può rappresentare indirettamente; nella nostra ottica l’utopia è un’indicazione, non qualcosa di realizzabile definitivamente ma solo in modalità temporanea. Nei nostri spettacoli lavoriamo verso l’utopia e, ovviamente, speriamo anche di raggiungerla, però ogni volta che facciamo un passo anche lei si sposta.
Magdalena Pietruska: E’ proprio la natura del pensiero utopico: nel momento in cui si realizza non è più utopia.
Questa ricerca è qualcosa che avete perseguito fin dalla nascita dell’Institutet?
Magdalena Pietruska: E’ sempre stato il presupposto di Ingemar Lindh che ha fondato il nostro Teatro Laboratorio fuori dai grandi centri urbani, in piccolissimi villaggi del nord della Svezia. Era il 1971, e oltre al lavoro tradizionale sull’attore c’erano anche momenti d’incontro con la gente del posto. La compagnia era qualcosa che veniva dall’esterno ma che diventava parte integrante di quella comunità, non solo artisti da applaudire in uno spettacolo, ma persone con cui avere anche altri contatti.
Il gruppo quindi viveva e lavorava insieme?
Magdalena Pietruska: Eravamo un collettivo che condivideva il lavoro teatrale ma, a differenza di altre realtà di quegli anni, il privato di ciascuno era garantito.
Roger Rolin: Talvolta, per fare economia, dovevamo raggiungere dei compromessi, ma era una scelta obbligata.
Nel corso degli anni il vostro lavoro è cambiato?
Roger Rolin: La grande differenza tra ieri e oggi è che prima c’era un gruppo che si incontrava nella sala prove ogni giorno.
Magdalena Pietruska: Era il periodo nomade in cui ci muovevamo da un festival all’altro, dove ci chiamavano gli altri gruppi che volevano i nostri spettacoli. Lì venivamo accolti e facevamo una sosta più lunga. In Italia, a Pontremoli, siamo stati stabilmente per quasi quattordici anni, in spazi nostri. La cittadina però non era fatta per un progetto come quello che stiamo vivendo ora, che è una naturale conseguenza della nostra storia. Fino alla lunga esperienza italiana inclusa, il nostro era il lavoro di un gruppo che condivideva la quotidianità, i viaggi… Tutto questo è molto diverso rispetto ad adesso, dove non c’è più una compagnia stabile dell’Institutet för Scenkonst ma una rete, X Project, composta dalle persone che abbiamo incontrato negli anni. Ognuno ha la sua realtà indipendente e condividiamo un progetto, non un lavoro continuo. Gli altri membri non fanno parte dell’Institutet för Scenkonst, ma il percorso di ricerca che si fa è la continuazione del nostro cammino. Gli artisti non sono membri di una sola compagnia ma di tante, e collaborano solo su quello specifico progetto. Il nostro lavoro è sempre lo stesso è però cambiata la modalità. Ecco quindi che ritorna l’utopia. In questo caso l’utopia di riuscire a garantire la stessa continuità che prima riuscivamo a raggiungere attraverso una condivisione di tempo e spazio oggi non più possibile, visto che, quando ci vediamo in un determinato luogo, restiamo insieme per un periodo di un mese circa invitati da diverse realtà, non in una compagnia stabile e senza un posto fisso. Occorre quindi affrontare ogni volta un nuovo contesto venendo da fuori, da ospiti, e lasciando quel posto senza diventare concittadini di chi lì abita, ma lasciando un seme che permetta a quel luogo di continuare nel cammino iniziato.
E’ l’eterno problema di tutte le utopie, che falliscono nel momento in cui trovano applicazione concreta. Il dilemma di come tenere sempre viva una cosa bella che hai trovato in un percorso di ricerca esattamente come quando l’hai trovata.
Secondo voi oggi chi è l’attore?
Roger Rolin: Nel corso degli anni abbiamo incontrato attori diversi. L’attore si può dividere principalmente in due tipi: l’interprete e l’attore-autore (che è quello che cerchiamo noi). Ci interessiamo molto anche a quell’attore attento agli aspetti socioculturali del suo lavoro, quello cioè che cerca di trasformare l’esperienza creativa in un rapporto sociale e culturale trascendendo lo spazio del teatro.
E il regista?
Roger Rolin: Il regista è sempre l’autore della totalità, un punto di riferimento per tutti quanti, colui che deve collegare il tutto. Funziona un po’ come uno specchio e anche come una sorta di memoria per l’attore. E’ anche l’unica figura in grado di vedere la totalità, l’attore non può vederla.
Da artisti di teatro come vedete il futuro?
Roger Rolin: Sto cercando di vedere gli ultimi quindici anni di teatro come il teatro del futuro, in senso positivo, però devo dire che non c’è ancora un vero cambiamento che prima o poi dovrà per forza arrivare, perché l’esigenza umana di assistere nuovamente a qualcosa di vivo non può sparire… Se scompare sarà un pericolo per l’uomo stesso… Nel nostro piccolo abbiamo fatto la scelta di renderlo più dinamico, abbiamo capito che non è importante creare dei piccoli teatri qua e là, per poche persone, e qui in Svezia è più difficile che in Italia perché la gente non va nei teatri per così dire ‘alternativi’; è quindi importantissimo creare ambienti che superino il teatro tradizionale, è lì che vedo il futuro. Se non si mette in moto un meccanismo per includere il pubblico, anche in senso creativo, non vedo un futuro possibile, ma la gente si è stufata di essere passiva davanti alla televisione. Quando una persona decide di andare a vedere qualcosa a teatro vuole farsi partecipe di un cambiamento che non sia solo un ennesimo momento di svago.
Magdalena Pietruska: Quando è nato il Teatro Laboratorio (oggi si chiama così un po’ qualsiasi cosa) c’era già la necessità di interrogarsi su cosa fosse il teatro e il suo ruolo con il pubblico. Noi, ad esempio, non abbiamo mai coinvolto il pubblico in scena durante lo spettacolo, c’è una distinzione netta tra attore e spettatore, con ruoli separati e ben definiti; però c’è un momento di incontro prima dello spettacolo in cui si riceve lo spettatore e uno posteriore, in cui ci si confronta a tu per tu. E’ un aspetto per noi molto importante. In X Project facciamo incontri aperti durante tutta la nostra permanenza, incontriamo preventivamente il pubblico durante tutto il mese.
Quando tornerete in Italia?
Magdalena Pietruska: Torniamo ogni anno. A luglio ad esempio parteciperemo con tre spettacoli al festival Lunatica organizzato da Teatri del Vento con l’Associazione Entrambe, membri di X Project.
Correzioni apportate. Grazie.
“ERRATA CORREGE: “abbiamo capito che è importante creare dei piccoli teatri qua e là”, la versione corretta è: “abbiamo capito che NON è importante creare dei piccoli teatri qua e là, “. ERRATA CORREGE 2: Teatri del Vento (La Spezia), non Teatri dei Venti (Modena). ERRATA CORREGE 3: Lunatica, non Lunathica,