È stata un’edizione che ha parlato principalmente italiano Tramedautore 2020 (11-20 settembre), festival internazionale delle drammaturgie diretto da Angela Lucrezia Calicchio e Andrea Capaldi giunto quest’anno alla ventesima edizione.
Poche celebrazioni, però, al Piccolo Teatro di Milano, tradizionale tempio della rassegna: il Covid impone un numero di spettatori contingentato e la riduzione rilevante di momenti come conferenze, talk, occasioni conviviali, incontri ravvicinati tra pubblico e artisti. Tutti aspetti che caratterizzavano le passate edizioni.
Anche i contributi dall’estero sono stati ridotti in una rassegna che, negli anni, ha visto susseguirsi drammaturgie di 56 Paesi europei ed extraeuropei. Lavori che spesso erano solo il punto iniziale di una ricerca, studi, letture sceniche, che permettevano comunque uno sguardo variegato sul teatro internazionale, intercettando espressioni artistiche spesso difficili da raggiungere anche per gli addetti ai lavori.
Aperto con “Stranieri” per la regia di Gianluca Merolli, omaggio al drammaturgo Antonio Tarantino scomparso di recente, il festival in questo 2020 si è focalizzato sull’Italia non solo per le limitazioni alla circolazione imposte dall’emergenza sanitaria, ma anche per offrire una boccata d’ossigeno agli artisti del Belpaese provati dal lockdown. L’ultimo weekend ha visto in scena due spettacoli al femminile: “La calciAttrice” e “Taddrarite”.
Sicuramente naïf nella costruzione, nella messinscena e nell’interpretazione, “La CalciAttrice”, di e con Lucia Mallardi, è un monologo autobiografico dai toni comici. Immediato e sincero, questo one-woman show ripercorre due passioni della protagonista, il calcio e la recitazione.
Mallardi parla di sé in terza persona. Tra lazzi e narrazione, giostrando tra varie lingue e una pluralità di dialetti, l’attrice rallegra il pubblico e si diverte. Ripercorre con brio gli anni dall’infanzia (nata a San Vito Chietino, in Abruzzo, da genitori pugliesi) all’adolescenza, quando scatenava l’ilarità per la sua capacità di fare le imitazioni. In quegli anni giocava a calcio per strada. I ragazzi ne invidiavano le capacità balistiche. Tuttavia ne inibivano le ambizioni, bollando il calcio come sport unicamente maschile.
All’agonismo Mallardi si avvicina negli anni dell’università (si era iscritta a Economia, senza però riuscire a dare un esame). Inizia a giocare in serie C nel Giulianova. Poi approda in serie A, prima con la Lazio, poi con la Roma. Infine il salto verso il professionismo a Berlino, dove il calcio femminile – diversamente dall’Italia – non è etichettato come sport “rosa” o “in gonnella”.
Il sogno di affermarsi, tuttavia, naufraga. Dopo varie peripezie, Mallardi riesce a riciclarsi come artista di strada, giocoliera ai semafori. Viaggia per il mondo con un cappello e un pallone, guadagnandosi da vivere. Fino al presente, quando decise di portare in scena la sua vita di traversie e sogni realizzati a metà.
Una scenografia semplice (di David Salvatori). Un fondale nero, su cui campeggia, luminescente, un dipinto astratto: linee indefinite, come sono indefiniti i progetti di un’adolescente, tanto più se condizionati dagli stereotipi e dai pregiudizi altrui.
“La calciAttrice” è un monologo sull’arte di arrangiarsi, sulla tenacia e la perseveranza, sulla volontà di ripartire dopo una battuta d’arresto, sulla capacità di rimodellare una passione naufragata trasformandola in una nuova opportunità. È uno spettacolo artigianale contro la discriminazione, il sessismo, l’omofobia, il machismo dominante.
Con la regia di Stefano Sarra, Lucia Mallardi propone lo sport e l’arte come mix di disciplina, sacrificio e diletto.
La protagonista cerca un posto nel mondo affidandosi solo alle proprie risorse. Due talenti coltivati tardivamente, che forse si sono ostacolati a vicenda. E che ora, congiunti e ridisegnati, hanno permesso questo spettacolo.
Quanto è abile nel produrre piroette e acrobazie con la palla, l’attrice dovrà ora lavorare per sgrezzare la recitazione e perfezionare gli automatismi scenici. Affinando il proprio stile, cercando collaborazioni stimolanti (e impegnative) Mallardi potrà rendere il teatro una chance meno aleatoria ed effimera del calcio.
Maria, Franca e Rosa: tre donne e un funerale. Una morte e tre rinascite. “Taddrarite”, scritto e diretto da Luana Rondinelli, con Donatella Finocchiaro, Claudia Potenza e Antonia Truppo, è una storia di ordinaria sorellanza ambientata in una Sicilia patriarcale. Ma qui il Sud è categoria dello spirito: una terra non atavica, bensì presente, viva, universale, dove la donna fatica ancora a emanciparsi.
Taddrarite in siciliano sono i pipistrelli, creature delle tenebre che dormono di giorno ma poi escono allo scoperto, con quel mix di diabolico e misterioso che le attraversa. Ma taddrarita è anche sinonimo di “svolazzante”. E in Sicilia i pipistrelli che svolazzano troppo incutono fastidio, timore, e vengono picchiati e abbattuti con le canne.
Una bara. Una veglia funebre. Il silenzio spazzato dalla sincerità. Il velo delle bugie squarciato dal gorgo delle confessioni e dal vortice delle pulsioni. Un chiacchiericcio pungente. Un coro di musicalità linguistica che parte dalle donne sul palco e investe gli spettatori, assorbiti in un’atmosfera grottesca.
Lo spazio scenico è tetro, essenziale: tre sedie, davanti alle quali ricevono le condoglianze di rito tre donne, due in lacrime, e una che non riesce a dissimulare una gioia troppo a lungo sopita. È lei, Maria (Claudia Potenza), la più giovane, la protagonista della pièce. Si celebra la morte del marito Carmelo.
“Protagonista” è tuttavia termine inappropriato. In un palleggio serrato e vivace in siciliano stretto, nessuna delle attrici in abito nero (i costumi sono di Francesca Di Giuliano) domina sulle altre. In una sorta di maieutica corale, da un intrigo tragicomico e surreale emerge un sottosuolo di violenze fisiche e psicologiche, vessazioni volgari, oppressioni misogine, ritualità maschiliste.
“Taddrarite” è uno spettacolo di donne. Gli uomini sono evocati di sfuggita, accennati e maledetti. Luana Rondinelli, come la conterranea Emma Dante di “Le sorelle Macaluso”, utilizza un cast femminile. Lo mette in scena con naturalezza primitiva.
A differenza della Dante che lavora sulla complessità, qui affiora il cliché del contrasto oppositivo uomo cattivo/donna buona. Il rosario recitato dalle tre sorelle per accompagnare la veglia funebre del defunto, non è un atto di pietà cristiana. Piuttosto è un rito liberatorio, apotropaico, per scongiurare la permanenza sulla scena di uno spirito indesiderato.
La morte genera la rinascita. Il rosario è costantemente interrotto da esternazioni pungenti, confessioni ironiche, pezzi di memoria, rimpianti, rinnegamenti di un passato dominato da una mentalità vessatrice che faceva della donna un oggetto addomesticato. Affiora da questo batti e ribatti esilarante, una ribellione salvifica. La sorellanza è guscio solidale. È forza assertiva e proattiva.
Tre donne si scoprono guerriere. È la forza dell’amore. Insieme si è più forti che da sole.
Le luci di Alberto Tizzone disegnano vie d’uscita. Scolpiscono ritratti di gruppo e individuali. Sbozzano smorfie ironiche o di disappunto, di rabbia e di sollievo. Sbalzano la scollatura e le forme del corpo di Franca (Donatella Finocchiaro), la più spregiudicata delle tre sorelle, la prima capace di violare il tabù della donna sottomessa, capace di chiedere il divorzio senza bisogno di attendere (o di accelerare) la vedovanza.
Le musiche degli Ottoni Animati e di Roberta Prestigiacomo oscillano tra ritmi sfrenati e temi sacri, armonizzano folk ed elettronica. Sono sonorità fragorose, alticce, affidate agli ottoni, alternate ad altre solenni, toccanti. È una mistura scoppiettante.
Su tutto domina la freschezza evocativa e icastica della lingua siciliana, la sua musicalità, un gioco di rimbalzi vitale, capace di catturare lo spettatore per tutti i cinquanta minuti di uno spettacolo pluripremiato (premio Afrodite per il teatro, premio della critica Etica in Atto 2013, miglior spettacolo e drammaturgia al Roma Fringe Festival 2014). Un copione collaudato (forse va perfezionato il finale) vivificato da un cast nuovo, ottimamente assortito, che cura i singoli dettagli della recitazione e persino ogni attimo scenico.
La CalciAttrice
di e con Lucia Mallardi
regia Stefano Sarra
aiuto regia Andrea Pergolari
scenografia David Salvatori
durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Milano, Piccolo Teatro Grassi, il 18 settembre 2020
Taddrarite
scritto e diretto da Luana Rondinelli
con Donatella Finocchiaro, Claudia Potenza, Antonia Truppo
aiuto regia Silvia Bello, musiche Ottoni Animati e Roberta Prestigiacomo
costumi Francesca Di Giuliano
produzione Pierfrancesco Pisani e Isabella Borettini per Infinito Teatro, Argot Produzioni
premio Afrodite per il teatro
durata: 50’
applausi del pubblico: 3’ 20”
Visto a Milano, Piccolo Teatro Grassi, il 19 settembre 2020