Scritto nel 1936, e ispirato a un fatto di cronaca dell’epoca narratogli dal giornalista Lukas Kristl, è la macabra parabola di Elisabeth, commerciante multata perché senza permesso di vendita, che per coprire il debito con lo Stato escogita un disperato tentativo di lucro, vendere il proprio cadavere all’obitorio in cambio di un compenso anticipato.
Il tentativo naufragherà e non basterà l’affetto di un poliziotto caritatevole per evitargli il più tragico dei destini, il suicidio nelle fredde acque di un fiume, soffocata prima ancora che dai flutti dalla disoccupazione e da una burocrazia lancinante.
Tema comune a diversi lavori di Horváth è la pietà per la condizione della donna, una donna che combatte e reagisce al destino di sottomissione all’uomo, ma qui fede e amore sono assenti, e senza loro la speranza è condannata ad evaporare. Come condannata è Elisabeth a fallire, affogata dall’oppressione della macchina statale, senza la concessione di una qualsivoglia pietà e circondata da un cinismo quasi sbeffeggiante.
Questo terzo ed ultimo capitolo mette in risalto le difficoltà, già a tratti emerse nei precedenti episodi, insite nella riscoperta e nella rilettura attualizzante dei testi dell’autore austro-ungarico. Horváth pone incessanti domande ricostruendo le tragedie di una società di massa in cui gli individui sono in balìa di frustrazioni individuali, ricerca spasmodica di sicurezze, incapacità di capire il diverso, l’aggressione nei confronti della donna, la trasformazione del cittadino in soldato, l’ammirazione per la menzogna politica e il successo arraffato senza ombra di scrupoli. Una tenace critica al soggetto individuale sempre più magnetizzato dall’allora prominente ideologia nazi-fascista.
Tutti questi argomenti sono ancora pienamente radicati nella realtà contemporanea, ma vengono qua resi irrimediabilmente incorporei da una messa in scena approssimativa e attualizzata con una certa indolenza, in un’ambientazione minimale che non restituisce particolare incisività all’impianto drammaturgico.
Le cinque scene di cui ci informa il sottotitolo rimangono troppo poco scandite e non riescono a trovare un loro spessore autonomo all’interno della narrazione, dissolvendosi in un appiattimento generale in cui si scorgono più delle variazioni di circostanze anziché dei veri e propri quadri espletati.
Gli intenti di Horváth di condurre, tramite il peso della parola, alla presa di coscienza della nostra posizione di soggiogati alle regole dello stato sociale con tutte le sue ipocrisie e contraddizioni, vengono in parte vanificati da una recitazione irrigidita che, anche se impreziosita da qualche tocco di mestiere, si trascina senza particolari sussulti.
I personaggi rimangono fin troppo abbozzati, concedendo solo centellinati spunti di colore che rendono comunque i ruoli incastrati in una farcitura di humor grottesco.
L’impossibilità di comunicazione e di condivisione in un mondo regnato dall’indifferenza, tratti distintivi dell’opera, sembrano quasi pervadere le stesse dinamiche interpretative.
Sicuramente la lettura di Horváth risulta di gran lunga più agevole della realizzazione scenica, sarebbe quindi interessante riuscire ad approfondire con una più cospicua lungimiranza di visioni le retoriche di una produzione letteraria in un’epoca estremamente analoga a quella horváthiana.
FEDE, AMORE, SPERANZA (piccola danza macabra in 5 scene)
di Ödön von Horváth
con: Cristina Cattellani, Laura Cleri, Paola De Crescenzo, Francesco Gerardi Sergio Filippa, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi, Nanni Tormen
scene: Laboratorio Progettazione Scenica Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche del Teatro, Università IUAV di Venezia
Luca Giombi*, Giovanna Pozzato*, Martino Zabeo*
tutor: Margherita Palli, Alberto Nonnato (assistente)
costumi: Gianluca Falaschi
luci: Claudio Coloretti
regia: Walter Le Moli
assistenti alla regia: Giacomo Giuntini, Ginevra Le Moli
e Francesco Bianchi*, Francesco Lanfranchi*
produzione: Fondazione Teatro Due
*Studenti dell’Università IUAV di Venezia, Dipartimento PPAC – Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche del Teatro
durata: 1h 16′
applausi del pubblico: 2′ 17”
Visto a Parma, Teatro Due, il 26 febbraio 2014