E’ forse per questo che apprezziamo moltissimo quando, in uno spettacolo, possiamo osservare il ribaltamento di questi due elementi condotto con gusto ed intelligenza.
Per poter ottenere siffatto risultato, Renato Sarti, con azzardo riuscito, ha catapultato tre attori, da trent’anni bravissimi a far ridere, a contatto con uno degli scrittori più nevroticamente “seri” del nostro Novecento, l’austriaco Thomas Bernhard.
Sono infatti Valerio Bongiorno, Piero Lenardon e Carlo Rossi, la Filarmonica Clown per intenderci, a interpretare fino al 3 marzo al Teatro della Cooperativa di Milano uno dei suoi testi più originali, “Ritter, Dene, Voss”.
Il titolo dello spettacolo è già un programma, rimandando in modo originale non a tre personaggi, bensì ai nomi dei tre attori tedeschi, Ilse Ritter, Kirsten Dene e Gert Voss, che per primi interpretarono l’opera al Festival di Salisburgo nell’estate del 1986, per la regia di Claus Peymann.
La piece è ambientata in Austria, tra le due guerre, in un interno che più borghese non si può, cosparso dai ritratti dei parenti dei protagonisti, testimoni, forse essi sì, di un glorioso passato. Qui due sorelle (Lenardon e Bongiorno in credibili, mai parodistiche, vesti femminili) attendono per cena, intorno ad un tavolo, il fratello Ludwig, filosofo paranoico (in cui possiamo ravvedere Wittgenstein) rinchiusosi volontariamente nel manicomio di Steinhof, unico luogo in cui sente di poter esprimere liberamente le sue “verità” contro il dileggio dei familiari, soprattutto del padre, l’industriale Worringer.
Le sorelle sono state ambedue attrici, ma ora rimane loro forse solo la noia, attraverso le monotone azioni di ogni giorno, tutte rinchiuse in quella stanza. La minore vorrebbe sottrarsi al penoso presente bevendo continuamente, leggendo stupide notizie sul giornale, sigaretta sempre in bocca, mentre osserva con disprezzo la maggiore, che meticolosamente attende alle faccende di casa, ma con la non celata speranza di calcare ancora le scene.
Si punzecchiano continuamente, distribuendosi cattiverie, rinvangando il passato, ambedue legate morbosamente e inconsciamente (ma non troppo) al congiunto lontano.
L’arrivo del fratello filosofo (molto bravo Carlo Rossi nell’esprimere tutta la nevrotica paranoia di Ludwig), con la smania distruttrice di ogni preteso valore che lo contraddistingue, fra tensioni, ricordi fraintesi, svelamento di desideri repressi, scoppi di ira ed euforia, trasformerà la cena in una furiosa “danza di morte” che non lascerà superstiti.
Non si piange ovviamente, e l’incessante ribaltamento della tragedia in commedia e viceversa, seppur amarissimo, spinge continuamente lo spettatore al riso, trascinato dalla sapiente e acida scrittura del drammaturgo austriaco, che riesce a comunicare tutte le più nascoste e spesso penose sfumature dell’animo umano.
Nella messa in scena vista a Milano, ci saremmo aspettati forse un tono registico più aspro, meno accomodante, soprattutto nella prima parte, dove le sorelle preparano il desiato arrivo di Ludwig.
Ma su tutto resta la scommessa vinta da Valerio Bongiorno, Piero Lenardon e Carlo Rossi: in un mondo teatrale che, spesso, non osa avventurarsi su cammini inesplorati, affrontano un testo in qualche modo lontano dalle loro corde, reinventandolo, pur lasciandone inalterati movenze e significati.
RITTER, DENE, VOSS
di Thomas Bernhard
traduzione: Eugenio Bernardi
con: Valerio Bongiorno, Piero Lenardon, Carlo Rossi
regia: Renato Sarti
scene e costumi: Carlo Sala
consulenza: Walter Fontanot
coproduzione: Teatro della Cooperativa/Teatro degli Incamminati
con il sostegno di Regione Lombardia – Progetto NEXT
Visto a Milano, Teatro della Cooperativa, il 16 febbraio 2013
Prima nazionale