Una stagione estiva tutta all’aperto. Intervista a Ippolito Chiarello (2^ parte)

Ippolito Chiarello (photo: Lucia Pagliara)|I rider teatrali (photo: Lucia Pagliara)
Ippolito Chiarello (photo: Lucia Pagliara)|I rider teatrali (photo: Lucia Pagliara)

Riprendiamo oggi la nostra conversazione con Ippolito Chiarello, che avevamo iniziato affrontando il suo ben rodato barbonaggio teatrale.
Chiarello, a fine intervista, lancia anche una proposta: con l’arrivo della stagione primaveril-estiva, non sarebbe travolgente se il mondo italiano del teatro (teatri Stabili e non, festival, compagnie…) uscissero fuori dai propri “spazi” per organizzare gli spettacoli tutti in giro, all’aperto? Una modalità anti-Covid che garantirebbe un approccio diverso con le persone, permettendo anche a chi a teatro non ci va di conoscere meglio quest’arte, creando magari nuovi spettatori.

Durante il lockdown il barbonaggio si è espresso in modo diverso? 
Prima di tutto voglio dire con forza che questa mia iniziativa non è stata un atto disperato di un artista che non sa cosa fare, non è assolutamente animazione teatrale, non è “famolo strano”.
Per me, in questo momento di assenza, la cosa fondamentale era fare qualcosa con la mia “funzione” di artista e mettermi a disposizione di un’emergenza sanitaria che coinvolgeva anche il cuore, un organo di cui mi occupo per lavoro. Mi sono detto che se sono necessario come i medici e come gli insegnanti (un concetto urlato a più voci) dovevo dimostrarlo. Ho cercato di trovare soluzioni che non fossero legate al web e al video, ma che recuperassero il contatto diretto con il pubblico. Non volevo usare nessuna mediazione o artificio ma, come il barbonaggio teatrale mi aveva insegnato, solo io, il palchetto, le storie e un pubblico che le ascolta.

Che differenze ci sono con il “teatro delivery” che sta prendendo piede in giro per l’Italia?
Con la pandemia e la chiusura dei teatri, la parola delivery è stata solo un’aggiunta contingente, per quanto mi riguarda, ma di fatto ho continuato un lavoro già iniziato 11 anni fa e che a mio parere dovrebbe sempre esistere, al di là dell’emergenza.
Sono anche pentito di aver usato questa parola, che ha creato malintesi, banalizzazioni e considerazioni che non fanno giustizia delle origini di questa mia azione.
Mi sono ispirato alle immagini più forti e che più mi avevano inquietato e illuminato in questi mesi, come i rider che portano beni di prima necessità, gli unici a circolare nelle città deserte, i balconi, le USCA, il lockdown, ecc. Tutto si è materializzato naturalmente e mi sono detto che, se i teatri sono chiusi, io posso in qualche modo ri-aprirli, portando gli spettacoli sotto le case delle persone.
Tutto si poteva fare in massima sicurezza, mantenendo le distanze e all’aperto e con il pubblico alla finestra. Le persone prenotano la loro “serata a teatro”, dietro il versamento di una donazione liberale, con regolare ricevuta, agibilità e quant’altro, rispettando quindi anche la dignità del mio lavoro.
Subito ho preso in prestito l’immagine dello zaino dei rider in cui mettere il mio palchetto, una bici e il mio repertorio, che già portavo in giro con il barbonaggio teatrale.
Da subito ho lanciato l’idea delle USCA artistiche (unità speciali di continuità artistica), parafrasando quelle sanitarie (che secondo me, in uno Stato utopico, dovrebbero essere composte da un medico da un infermiere e da un artista). Ho semplicemente proposto ai miei colleghi, in Italia e all’estero, di aderire a un pensiero e non a una rete burocratica. Ho proposto alle esperienze già esistenti e simili e ad artisti e compagnie che avessero voluto ripetere la mia modalità di usare un’unica voce, perché in questo modo possiamo dimostrare con forza che ci muoviamo e siamo capaci di reinventarci per rispondere prima di tutto a un’emergenza, e in seconda istanza perché crediamo in un’azione strutturale nei confronti del pubblico, che debba poi continuare anche in futuro, fuori dall’emergenza e nelle forme che ognuno sceglierà.

Com’è stata la risposta?
La risposta è stata eccezionale. Eccezionale da parte degli artisti, con una massiccia ed entusiasta adesione, con attualmente una quarantina tra artisti e compagnie che stanno facendo gli spettacoli sotto le finestre o sui pianerottoli in tante città italiane; e con almeno 100 contatti in Italia e all’estero, in Brasile e in Francia, di possibili nuove adesioni.
Ed eccezionale è la risposta del pubblico: sono 35 giorni che faccio due o anche tre spettacoli al giorno, e così tutti gli artisti che si sono uniti a me.
Eccezionale infine anche la reazione delle istituzioni, che in varie parti d’Italia, apprezzando questa proposta artistica e cogliendone delle opportunità, hanno cominciato ad investire economie per offrire al proprio pubblico, costretto a casa, il teatro che non potrebbe vedere altrimenti. Si veda la Regione Sicilia che attraverso l’interessamento di Spazio Franco ha fatto una call per 50 artisti, o ancora l’Umbria, con lo Stabile che si sta attivando per sostenere gli artisti di quella regione in questa azione stradale, e ancora i tanti comuni che hanno investito in questo progetto…

I rider teatrali (photo: Lucia Pagliara)
I rider teatrali (photo: Lucia Pagliara)

Come si collega quest’attività con la tua carriera teatrale?
E’ la naturale continuazione di un pensiero e si sposa totalmente con la mia carriera teatrale, la affianca, la nutre, la sostanzia di realtà, gli fornisce argomenti e scambia pratiche. Sia con il barbonaggio delle origini, che con questa versione a domicilio, delivery, sono cresciuto molto come artista e come persona. Ho imparato a non perdermi, a non chiudermi nell’atto della creazione teatrale, a non chiudermi nelle mie stanze senza porosità e nella vita di tutti giorni e come artista; ho ritrovato il senso dell’appartenenza a una comunità, che curo e che si prende cura di me.
Questa pandemia ha solo amplificato le criticità del nostro mondo, del mondo del teatro, e ha evidenziato l’inadeguatezza dei suoi meccanismi e, a volte, lo scollamento con la comunità e chi pensa o desidera tornare a come eravamo prima, a mio modestissimo parere, entrerà inevitabilmente in un altro tunnel. Oggi (e come dovrebbe essere sempre) abbiamo bisogno di fare grandi spettacoli per il pubblico, ma anche e soprattutto sviluppare grandi azioni spettacolari con il pubblico.

Come cambia il tuo modo di porti in scena in queste due situazioni?
Quando sono in strada, o comunque mi esibisco con la modalità del barbonaggio teatrale e in questo periodo portando a domicilio il mio lavoro, mi accorgo di fare un allenamento straordinario al mestiere, che mi porta ad essere molto più sicuro e pieno, convincente, nella finzione sul palcoscenico. In strada, non facendo giocoleria, ma replicando gli spettacoli che faccio in teatro, usando la parola, sono io l’intruso e devo conquistarmi l’attenzione, devo scavalcare gli ostacoli, devo capire fino in fondo quello che sto dicendo e dove lo sto dicendo, per fare in modo che davanti a me rimanga qualcuno ad ascoltarmi.
A teatro, spesso, le persone andrebbero tranquillamente via anche a metà dello spettacolo, ma per rispetto e convenzione rimangono fino alla fine, e tre applausi te li concedono sempre.
Io sento di fare assolutamente il mio mestiere, sia per strada che sul palcoscenico, con la stessa forza, dignità e impegno. Per me non cambia nulla.

Come pensi che questa esperienza si possa sviluppare?
La nuova esperienza di portare il barbonaggio teatrale sotto le finestre, a domicilio, nei cortili delle scuole, non morirà con la fine dell’emergenza e della pandemia, almeno per me. Sarà un altro strumento per continuare e integrare la mia proposta teatrale e proseguire il mio lavoro iniziato 11 anni fa, che ha l’obiettivo di raggiungere nuovo pubblico, portare nuovo pubblico a teatro, per esercitare l’arte più antica e più bella tutti giorni.
Non è qualcosa – come qualcuno ha detto – che potrebbe abituare le persone a non uscire più da casa, o l’ossessione di apparire e di esserci, ed è inspiegabile l’espressione usata da altri e tutta da indagare: non è teatro. “Non lo fare altrimenti non ci danno i bonus”. Tutto dipende sempre dalla storia e dagli obiettivi di ogni esperienza. Sicuramente non rappresenta la verità, nessuno dei tentativi che facciamo può esserlo, ma se fatti con serietà, possono contribuire tutti a una nuova sintesi e a nuove scoperte.
Anche l’uso del video, che io cerco di praticare con parsimonia e scegliendo le esperienze che mi sembrano più pertinenti e riuscite, non deve essere demonizzata, ma indagata, capita, sviluppata. Sono convinto che molte sperimentazioni su questo mezzo aiuteranno il teatro dal vivo.

Che invito vorresti fare a tutti?
Mi sentirei di lanciare una provocazione, che per me è anche una proposta concreta e realizzabile.
Premetto che l’obiettivo principale, per me e per tutti noi, è l’urlo forte per la riapertura dei teatri, per tornare a costruire in questo luogo deputato le nostre “narrazioni” e magari con un’apertura e una consapevolezza diversa. Sono convinto che l’impegno economico dello Stato per “ristorare” la nostra categoria sia necessario e da incrementare, al di là delle possibili iniziative che possiamo mettere in campo. Sono pronto a lavorare e a stimolare in rete l’idea fondamentale che bisogna finalmente riformare e dare una veste giuridica adeguata alla nostra categoria, senza legarla necessariamente a valori numerici, ma al valore della funzione che svolge.
Assodato che abbiamo scoperto uno strumento nuovo come il video e il web, adesso sarebbe molto potente concentrarsi su una possibile e massiccia azione dal vivo e all’esterno, con tutte le precauzioni del caso.
I teatri tarderanno ad essere aperti, e se anche apriranno saranno sempre molto limitati nella loro attività e dovranno riorganizzarsi. Io dico allora: perché non lanciare e preparare una campagna di primavera, strutturare una stagione teatrale, di danza, musica, arti performative… speciale, all’aperto, nei quartieri, sotto i condomini, anche per il pubblico scolastico negli spazi all’aperto, in tutta Italia. Gli Stabili, i festival, le istituzioni, le compagnie, potrebbero organizzarla con i fondi che hanno a disposizione e/o che si possono stanziare e/o trovare, e facendo lavorare non solo gli artisti, ma anche tutte le maestranze: gli abitanti dell’edificio teatrale che vanno incontro al loro pubblico. Un assaggio degli spettacoli, proposte dimensionate, agili, diffuse.
Una grande ed epica operazione verso l’esterno, che sarebbe una testimonianza di esistenza e di attenzione verso il proprio pubblico, in un momento così difficile e di nostra assenza. Un’iniziativa da usare anche e soprattutto come promozione per chi non conosce, e per lanciare la prossima stagione in teatro, per invitare e informare le persone su cosa proporremo per il ritorno in autunno nel luogo deputato. Una straordinaria occasione per illuminare con l’arte una rinascita. Mettere in campo un’energia e una visione diversa, di chi ha imparato la lezione ed è riuscito a interpretare i tempi.

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