Quando, nel 1978, Giorgio Strehler riprese in mano “La Tempesta” di Shakespeare per riportarlo in scena con una nuova consapevolezza, definì il dramma “tutto teatro”, intendendo così la grande riflessione metateatrale che il testo celava, con un Prospero mago alter-ego di Shakespeare e poi dello stesso Strehler, e un’isola allusiva al palco teatrale e al suo gioco di illusioni capace di incantare e di ingannare gli uomini-spettatori.
E’ quindi forse lo spettacolo migliore per ricordare il grande regista e nello stesso tempo inscenare una lezione di teatro.
Perché “Remake”, in scena al Piccolo Teatro di Milano fino al 14 ottobre, è soprattutto questo: una lezione in cui si svela al pubblico l’ampio spettro di speculazioni che deve sottendere ogni spettacolo, richiedendo al regista non solo libera creatività, ma anche una capacità di ricerca sul testo, di documentazione del contesto storico in cui è nato e di ricostruzione del pensiero del suo autore.
Così, scopriamo che “La Tempesta” non è solo una straordinaria fantasia barocca, ma soprattutto una riflessione politica sulla realtà crudele della colonizzazione, uno scandaglio dell’ossessione del potere nell’uomo, di cui il teatro stesso sarebbe in realtà solo un riflesso, quasi un modo per sfogare la frustrazione di non poter dominare la natura, o per dimenticare l’emarginazione sociale, e infine un’indagine della psiche dell’uomo in cui la ragione è come una luce dal sapore divino, mentre gli istinti qualcosa di oscuro e difficilmente controllabile.
A condurre questa lezione è Giulia Lazzarini, fondamentale interprete del teatro strehleriano e probabilmente la miglior Ariel che si sia mai vista in scena. La sua maestria rende coinvolgente il racconto di uno dei momenti più significativi del nostro teatro, emozionando il pubblico e riempiendolo nel contempo di ammirazione. Ma, soprattutto, la sua testimonianza appassionata dimostra come un grande attore è sempre qualcosa di più che un bravo intrattenitore: è una persona dotata di una profonda coscienza civile, tanto consapevole della responsabilità insita nel suo lavoro da essere pronta ad esporsi a rischi e a contemplare sacrifici pur di fare del teatro un luogo di presa di coscienza collettiva.
Ed è importante ricordarlo, perché se lo stile di Strehler ha senza dubbio influenzato il nostro odierno gusto teatrale, non sempre i nuovi registi o i nuovi interpreti riprendono di lui anche la sua lezione etica e il suo rigore artistico e morale.
La scelta della regista Myriam Tanant, collaboratrice di Strehler nel periodo parigino, non è tuttavia solo quella di portare in scena una lezione, ma anche di renderla essa stessa teatrale: e da questo punto di vista lo spettacolo non è molto riuscito. La cornice narrativa e le idee sceniche attuate, probabilmente per spezzare un flusso di parole altrimenti troppo continuo, risultano in realtà poco interessanti.
E poco convincente è la giovane Maria Alberta Navello, tanto che la sua presenza, anziché rappresentare la nuova generazione che accoglie gli insegnamenti di quella precedente, finisce quasi per smentire la speranza che possa rivivere, oggi, una grande stagione teatrale paragonabile a quella ormai tramontata.
Remake. Racconto di Tempesta
drammaturgia e regia: Myriam Tanant
regista assistente: Emiliano Bronzino
scene: Francesco Fassone
costumi: Brigida Sacerdoti
musiche: Matteo Curallo
luci: Antonio Merola
con: Giulia Lazzarini e Maria Alberta Navello
produzione: Fondazione Teatro Piemonte Europa, Il Contato-Teatro Giocosa di Ivrea
durata: 1h 20’
applausi del pubblico: 4’ 30’’
Visto a Milano, Teatro Grassi, il 5 ottobre 2012
Con questo spettacolo, la grande, sempiterna, meravigliosa Giulia Lazzarini ci comunica disgraziatamente e tristemente che il tempo storico della Grande Attrice Italiana è sulla via del declino, facendosi affiancare da una mestierante, tale Maria Alberta Navello, triste e priva di appeal, la quale risulta essere un meccanismo sbagliato che accade intorno alla Grande Attrice. La regista poteva scegliere altri parametri di tributo.
di per sè l’idea era sulla carta fallimentare, il gioco del “remake” funziona quando il remake è fatto da artisti ( e non “operatori” ) di razza pura: Wenders che filma la Bausch è “di razza, un comune documentario sulla Bauch può essere una palla. Bisogna serenamente accettare le perdite. Le cose muoiono, tramontano, ne nascono altre. La cosiddetta “lezione strehleriana” è terminata. Quel tipo di teatro, pure. Ma perché il tempo e i modi della ricezione di fiction cambiano. Strehler è stato l’ABC della recitazione d’accademia italiana, ora il concetto di “accademia” sta perdendo di valore creativo ( non “artistico”, si badi bene. Laddove “arte” e “creatività” non sempre vanno a braccetto). Strehler ci ha insegnato la sintesi della visione, la “scena visiva” che “fa” la regia, e quella è una lezione ancora valida. Cioè come produrre idee indelebili: il giardino dei ciliegi è “bianco” per definizione. Un altro potrà dirci, in realtà, che è “viola”. Quindi, dimentichiamo i remake ma, anche a costo di sbagliare, buttiamoci nei “make”.