Teatro popolare di ricerca. Per Luca Radaelli si può

Luca Radaelli
Luca Radaelli
Luca Radaelli
Diciassette paesi tra Lecco e Como dai nomi imprevedibili e imperscrutabili: Bulciago, Calco, Camparada, Casatenovo, Lomagna, Merate, Missaglia, Monticello Brianza, Olgiate Molgora, Osnago, Perego, Rovagnate, Sirone, Sirtori, Usmate Velate e Vigano, che incoronano la bellissima valle del Curone.
Sono stati loro lo scenario naturale ed emozionale della quindicesima edizione de L’ultima luna d’estate, il festival di teatro popolare di ricerca organizzato dal Teatro Invito di Lecco che si è svolto per tre settimane dal 24 agosto al 9 settembre. Un paesaggio bellissimo che sfata definitivamente l’idea di una Brianza cosparsa solo da fabbriche e immersa perennemente nella nebbia. Il contesto degli spettacoli, quando il cielo è limpido, è popolato invece da ville, giardini fioriti, piccole fattorie, anfiteatri naturali.

Teatro popolare di ricerca, “L’ultima luna d’estate” si presenta subito con una frase programmatica nata da una famosa dicitura di Gerardo Guccini. “Abbiamo cercato – ci racconta Luca Radaelli, direttore artistico del festival, – di far uscire dal ghetto un teatro che era considerato solo per pochi addetti ai lavori, coniugandolo indissolubilmente con la scelta di un pubblico il più eterogeneo possibile e con il territorio, in qualche modo unico e speciale, che ci circonda. Insomma le nostre scelte sono state sempre contraddistinte per un teatro mai banale, che potesse entrare anche nei gangli della realtà che stiamo vivendo e che fosse accessibile a tutti, soprattutto al pubblico più curioso che, mi preme sottolinearlo, è aumentato esponenzialmente.”  

Così, 400 persone paganti hanno ascoltato in religioso silenzio per un’ora e mezzo la nuova tappa del “teatro del pensiero affabulante” che Marco Baliani ha dedicato al concetto di “Ama il prossimo tuo”. Non più un teatro che narra solo storie ma che le incanala in un percorso più complesso, di ridefinizione di concetti che sembrano in realtà acquisiti ma che invece, nel nostro mondo contemporaneo, devono essere ridiscussi e precisati. Nello spettacolo visto a Sirone, prendendo le mosse dalla parabola del Buon Samaritano, Baliani si interroga sul concetto di “prossimo”, oggi,  mescolando esperienze personali con racconti e leggende che spaziano in culture diversissime tra loro.
Un teatro dunque, come si può intuire, di grande spessore umano e civile, che forse ha spiazzato un pubblico che era arrivato per ascoltare solo una semplice narrazione e invece si è mosso verso nuovi ambiti meno prevedibili ma assolutamente più necessari.

“Nell’era del post-berlusconismo, in cui si sono persi i punti di riferimento – prosegue Radaelli – cerchiamo di proporre un teatro più diversificato, che ponga nuove domande, che ci interroghi sul presente”.  
Negli ultimi anni il festival ogni volta si è dato un tema, per il 2012  non poteva che essere dedicato alla famosa profezia dei Maya sulla fine del mondo, vista però in chiave per lo più comica e con prospettive intrise di speranze: da “The end” dei Babilonia Teatri agli Araucaima con il loro “L’ultimo capodanno dell’umanità” a “La buona novella” di Riondino.
Ma c’è stato anche molto teatro-ragazzi, commedia dell’arte e un laboratorio di Fabio Mangolini sulla maschera.

Abbiamo vissuto il festival per un  week-end che è stato quasi interamente dedicato alla cosiddetta “nuova scuola romana”. “Iconoclasti, comici, concettuali, poetici” li aveva definiti con il solito acume Nico Garrone, sono i nuovi autori che operano nella capitale, e tutto ciò l’abbiamo trovato perfettamente negli spettacoli di Daniele Timpano e Elvira Frosini e di Andrea Cosentino.
Frosini-Timpano hanno presentato “Sì l’ammore no”, tragicomica commedia sul concetto di amore. La lotta dei sessi, espressi con le loro specificità e debolezze è servita con tanta ironia, intrisa spesso di corrosivo sarcasmo che lascia poco spazio al romanticismo. La scena è vuota, vi è solo una bambola di gomma e un piccolo dinosauro che poi si scoprirà essere il figlio della strana coppia, che sogna qualche volta di uccidere mamma e papà.  
Elvira Frosini e Daniele Timpano si confessano con le loro certezze e le debolezze, coppia vera e falsa, nascosti dietro grandi occhiali si cercano e nello stesso tempo si evitano, coinvolgendo e manipolando anche il pubblico; il risultato è sempre lo stesso, forse l’amore non esiste, forse c’è solo la forte necessità di avere qualcuno da toccare, magari da amare, come del resto dicevano tanto tempo fa Mozart e Da Ponte nel “Così fan tutte”, solo che qui c’è Rita Pavone, sommersa da un nugolo di pallottole.

In apparenza di semplice costruzione ma di grande rilevanza nella sua complessità è anche lo spettacolo di Andrea CosentinoPrimi passi sulla luna”.
L’attore è solo in scena, accompagnato da uno scatolone e un mixer con una grande bandiera americana. Lo spettacolo, partendo dal video dell’allunaggio del 20 luglio del 1969, dove il recentemente scomparso Armstrong in mondovisione sbarca sul nostro satellite, ci parla del labile confine che esiste tra reale e falso, riconducibile anche ai semplici fatti della nostra vita.
Sarà veramente andato sulla luna, Armstrong, o il filmato è stato girato in studio da Kubrik (esilarante anche la ricostruzione della prima scena di “2001 Odissea nello spazio”), raccattando un sosia dell’astronauta a Viterbo?
E lo spettacolo è un vero spettacolo o ogni cosa è improvvisata, visto che viene costruito in tempo reale dall’autore, che parla di sé stesso in chiave autocelebrativa?
Poi Cosentino, tirando fuori dallo scatolone un libro per bambini, diventa serio, riporta l’ironia al dolore, al sentimento paterno di un attore ora uomo che scopre da una fotografia che la figlia potrebbe avere una malattia incurabile. Tutto è narrato mescolando reale e falso, comico e tragico con grande lucidità e con un determinato tempo verbale: l’imperfetto. Il tempo del sogno, del gioco, della favola, ci ricorda il narratore.

Pur su altri registri, curiosamente il falso ed il vero è uno dei temi trattati anche da Dario Aggioli di Teatro Forsennato nel suo spettacolo “Gli ebrei sono matti”.
La scena è anche qui assolutamente scarna, due sedie e una valigia piena di maschere. Sul palco c’è lo stesso Aggioli con Angelo Tantillo, e i due sono internati di un manicomio: Aggioli è Enrico, matto reale, fascista convinto nelle sue elucrubazioni  a cui fa da contraltare l’ebreo Ferruccio che, per sfuggire ai nazisti, come gli è stato consigliato, si pone l’obiettivo di imitare Enrico nella sua follia, e ci riesce così bene da diventate lui stesso Enrico.
Lo spettacolo si ispira a fatti realmente accaduti nell’ospedale psichiatrico Villa Turina Amione. Aggioli, che lavora su improvvisazione a canovaccio, nello spettacolo – per ingannare ulteriormente lo spettatore – usa anche le bellissime maschere di Julie Taymor.
C’è anche qui tanta ironia in modo da far risaltare ancora meglio una pazzia, quella sì vera, che può essere contrastata solo con una finta.

Ma “L’ultima luna d’estate” ha avuto anche il suo lato godereccio, che i luoghi del festival suggeriscono in pieno, e quindi gli spettacoli si sono alternati nei giorni di festa con letture musicate e degustazioni di prodotti tipici.
“Mi piacerebbe ritornare sul tema dell’amore e dedicargli tutto il festival l’anno prossimo – conclude Radaelli – come pure creare progetti speciali collegando artisti diversi, sperando che le risorse ce lo possano permettere e che qualcuno finalmente ci dia una sede adeguata. Penso che ce lo meritiamo!”, e mentre lo dice la luna sta sparendo dietro il Resegone. 
 

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