The blue moment. L’attore e le proprie ossessioni

Kind of Blue
Kind of Blue
Kind of Blue
Miles Davis, autore di un altro celebre “Kind of Blue”, diceva “don’t play what’s there, play what’s not there” (non suonare cosa c’è, ma cosa non c’è).
L’assenza – declinata in tutte le sue forme emozionali (mancanza, nostalgia, ricordo, rimpianto..) – è forse la vera protagonista della performance ideata e diretta da Cecilia Bertoni e costruita con altri 11 artisti di varie nazionalità e percorsi.

“Kind of Blue” è infatti la terza parte della “Trilogia dell’Assenza”, progetto strutturato in tre performance, con gli stessi artisti, sul tema del perdere e del vincere e della loro relazione con il tempo.

Nella prima parte “Tesorino perché hai perso” si realizzava uno spettacolo composto da fasi e condizioni (anche climatiche) differenti che possono essere scisse fondamentalmente in due momenti: una prima fase di studio, sviluppata negli spazi aperti, immersi nella natura e negli interni di casolari diroccati della tenuta dello Scompiglio; e una seconda fase, a progetto finito, di fronte al pubblico, in un ambito teatrale vero e proprio.

Da questo punto prende forma la seconda tappa del progetto: “Riflessi in bianco e nero”, passando dall’elaborazione di materiali attinti dal quotidiano, a un percorso itinerante che si concentra sul tempo, sulla perdita (come opposto della vittoria) e sulla memoria.

In “Kind of Blue” la performance è ancorata alla  tematica della solitudine dell’individuo attraverso i contenuti e i testi (in parte degli artisti ma anche tratti dal “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche), ma evade attraverso i filmati e la musica, che ne rappresentano la parte estetica e maggiormente poetica, andando a costituire un lavoro a metà tra performance e video-arte.

Lo scenario è atipico e coinvolgente. Una piccola impalcatura sopra lo spazio scenico contiene al massimo una ventina di spettatori, che si ritrovano di fronte ad una torretta altrettanto alta, unico componente della scena, dove Mauro Carulli condivide il poco spazio con una decina di oggetti, inclusa una bici da bambino, suo gioco d’infanzia preferito che rappresenta quindi la sua personale mancanza, qualcosa che fa riaffiorare un ricordo dal gusto dolce-amaro. Lo spazio della torretta è compresso e soffocante, e dagli oggetti (spazzolino, specchio, libri) si avverte la opprimente prigionia del quotidiano.

I video, enfatizzati dalla potenza della musica e proiettati sul pavimento e sulle pareti laterali, vedono come protagonisti gli artisti stessi, messi a confronto con le loro ossessioni e con il loro rapporto con il corpo, dando vita a ritratti che evidenziano caratteristiche ricorrenti dell’uomo di oggi: alienazione, solitudine dopo il momento frenetico – che in questo caso può essere il dopo-creazione, o il dopo-performance – nevrosi e follie.

Carulli, inizialmente nudo, indossa una tuta da astronauta e si sposta nella parte alta della torretta, dove evade dal quotidiano, dominando il mondo sottostante come un alieno che osserva la terra. Da lì osserva anche i suoi compagni di viaggio, gli altri artisti, in un video proiettato a terra in cui siedono ad una tavola comune, ma dove manca la comunicazione. Ognuno sembra chiuso nella propria solitudine, noncurante dell’altro, né del Carulli-alieno che cerca invano di interagire con loro.

Un’abbondanza di materiali (forse anche troppi), dove la forma video sicuramente prevale, che apre a molti spunti, riflessioni, riferimenti.
Il tutto costituisce una narrazione percettiva non-lineare, che diventa un generatore di emozioni in cui gli spettatori possono riconoscersi.
Anche il finale resta sospeso, e gli spettatori sono invitati a scendere dall’impalcatura, mentre la musica continua e l’attore è ancora calato nel suo mondo, a sottolineare l’aspetto realistico di una performance da cui non si può uscire, ma si può solo continuare, in qualche modo, in qualche forma.

Kind of Blue
ideazione, regia e scene: Cecilia Bertoni
musiche, suoni e rumori: Carl G. Beukman
l’astronauta (in scena): Mauro Carulli
nei film: Cecilia Bertoni, Carl Beukman, Marco di Campli San Vito, Marialucia Carones, Serge Cartellier, Serena Gatti, Claire Guerrier, Piero Leccese, Mees, Luigi Petrolini e Didi&Gogo
testi: Cecilia Bertoni, Mauro Carulli e i performer
una produzione: Associazione Culturale Dello Scompiglio

durata: 50’

Visto a Vorno (Lucca), SPE Dello Scompiglio, il 17 novembre 2013


 

0 replies on “The blue moment. L’attore e le proprie ossessioni”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *