Ma torniamo a un anno fa…
Gli ospiti sono seduti lungo i muri perimetrali della stanza. La performance è iniziata da tempo e ha raccontato di gesti dell’uomo, di canti dell’uomo.
Di ogni tempo. Senza tempo.
La ragazza con le sonagliere alle caviglie e i capelli tirati su in testa a mo’ di airone cenerino entra nella sala. E’ di una bellezza e di un’eleganza che solo il profondo lavoro sul training possono portare a raggiungere. La luce di un riconoscimento dentro di sé nel percorso.
Centro di Modena. Teatro Storchi. Benoit Chevelle, Jessica Losilla Hébrail, Teresa Salas, Philip Salata, Cécile Richards e lo stesso Thomas Richards hanno appena finito la loro performance, durata un’ora e mezza, e iniziata con una sorta di accoglienza degli ospiti in un piccolo banchetto domestico.
Come se si fosse entrati in una casa, in una piccola comunità che ti accoglie, che poi pian piano inizia la sua performance, la svolge e la porta a conclusione. Senza iniziare con un buio di sala, senza terminare con gli applausi. Con la necessità del teatro e senza le necessità più logore dei “teatranti”.
“The Living Room”, performance elaborata come opera e riflessione sull’arte come veicolo, è volutamente ambientata in casa, nel luogo in cui accogliamo l’altro.
Il quesito che Richards, erede della scuola del maestro Grotowski a Pontedera, pone a sé, al suo gruppo di lavoro e agli stessi ospiti riguarda le potenzialità del mestiere performativo e le modalità attraverso cui possono essere arricchite dalla realtà e dalle relazioni interpersonali quotidiane. Insomma, il termine living può diventare qualcosa di concreto, o è solo un modo di dire?
Come può la stanza diventare viva? E come una riflessione così alta e meditata può aver luogo nel centro della città, mentre le auto passano e la frenesia prende la gente? Insomma, Richards, era il posto giusto questo per una riflessione così alta sul senso del lavoro teatrale e performativo?
Thomas sorride. E ci risponde.
Se lo erano chiesto anche loro. Anche loro avevano riflettuto sul modo in cui rispondere all’invito del festival VIE (dal 24 maggio la nuova edizione) a portare all’attenzione del pubblico due performance così diverse come “The Living Room” e “I am America”.
Come si può essere con l’altro in modo che il quotidiano fluisca senza rotture nel non-quotidiano? L’arte come veicolo è uno dei punti di accumulazione della prassi che, fin dagli inizi del Workcenter, Richards ha inteso portare avanti fra quelli che il maestro Grotowski aveva lasciato nelle sue mani.
E’ sicuramente uno spettacolo che non può lasciare indifferenti. Si respira
il sapore della ricerca e dei percorsi degli anni Settanta, è innegabile. Ma si respira anche un’atmosfera che va oltre quel momento, va oltre quel tempo, per raccontare di un sempre vivo.
Dire degli spettacoli e del Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale che vive nel cuore della toscana operaia dal 1985 è lunghissimo e forse inutile in poche righe.
La ricerca pratica sulle arti performative al Workcenter, dopo la scomparsa di Grotowski, è passata nelle mani di Thomas Richards, con Mario Biagini a sostenere l’attività creativa in una sorta di tandem che continua a distanza di 25 anni a dare frutti.
Di tutto questo, e del mistero di una creazione che nel teatro trova modo di rinnovarsi, parliamo proprio con Thomas Richards, in una stanza cui il suo gruppo è riuscito a dare vita. A room transformed in a LIVING room.