La donna, pur ricambiando i sentimenti del corteggiatore, deve adoperare mille accorgimenti per far sopravvivere la sua corrispondenza amorosa. E’ infatti segregata in casa dalla smodata gelosia di un grottesco tutore deciso, più che a proteggere la verginità della giovane, a riservarsela per sé.
La commedia teatrale, nata nel 1755 dalla penna di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais, trova il suo meccanismo comico perfetto rubando a piene mani dalla commedia francese del tempo, la quale si strutturava a sua volta su modello delle commedie plautine, ricalcate dalle antiche commedie greche.
Il successo di Beaumarchais è dunque soprattutto il successo dei modelli classici.
Ecco quindi il dubbio naturale di qualsivoglia regista si debba approcciare oggi a questo testo: come trovare una chiave prettamente contemporanea per affrontare la commedia classica per eccellenza?
Considerando che l’adattamento più noto del testo è un lavoro musicale, l’idea di Susanna Baccari e Claudio Orlandini, registi di Quelli di Grock, è quella di avviare il processo di attualizzazione partendo proprio dal discorso musicale: ovvero immaginare lo spettacolo come un concerto rock, anziché un’opera lirica. Ecco dunque gli attori saltare, arrampicarsi, lanciarsi e scivolare sul palco come cantanti scatenati in preda all’adrenalina; ed ecco costumi confezionati con gusto eccentrico e pensati per pop star affamate di glamour.
L’idea funziona: il ritmo incalzante e i toni sopra le righe esaltano tutte le potenzialità comiche del testo; i sei attori, pur non cantando, si muovono con grande energia, eseguendo perfettamente coreografie frenetiche e infilando l’uno i panni dell’altro con un gioco teatrale complesso ma gustoso.
E per quanto riguarda i costumi, disegnati da un’ottima Maria Chiara Vitali, non si è persa occasione per creare capi di grande effetto scenico.
D’altro canto, però, proprio il fattore musicale sembra costituire un punto debole: le impennate rock sembrano inserti non necessari allo spettacolo e le poche volte che si recuperano pezzi di Rossini si guadagna invece in poesia, tanto che si arriva a desiderarne altri.
Peraltro i dialoghi di Beaumarchais, brillanti e raffinati, non perdono il loro fascino retrò e, in definitiva, il processo di modernizzazione risulta toccare solo il versante estetico, ma non i contenuti. Né più né meno, infatti, lo spettatore ha comunque la sensazione di calarsi in una Spagna un po’ francesizzata del ‘700.
Non è per forza un difetto. Il pubblico segue la trama, ride di pancia e alla fine dei due atti tributa lunghi applausi a una squadra attorale molto affiatata e ben preparata.
Sarebbe però stato preferibile, forse, non escludere dal lavoro una riflessione a livello contenutistico. L’insegnamento di Beaumarchais a non eccedere nella castigazione dei desideri più naturali della giovinezza, la sua denuncia dell’ipocrisia nascosta dietro alla pudicizia troppo esibita (il tutore castigatore dei tempi moderni è il primo a desiderare la sua protetta) risulta un appello inutile nella nostra epoca apparentemente tanto disinvolta. Eppure l’indagine psicologica condotta sui personaggi contiene ancora tanta verità meritevole di approfondimento.
Il barbiere di Siviglia, opera rock
produzione: Quelli di Grock
da Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
con Fabrizio Bianchi, Matteo De Blasio, Paola Galassi, Lidia Piraino, Natalia Sangiorgio, Daniele Turconi
regia: Susanna Baccari, Claudio Orlandini
musica: Gipo Gurrado e Lucio Sagone
costumi: Maria Chiara Vitali
assistenti ai costumi: Letizia Bodini, Krishna Oldrini, Monia Manuello
scenografia: Maria Chiara Vitali
luci: Monica Gorla
durata: 2h 15’
applausi del pubblico: 2′ 50”
Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, il 17 maggio 2014