Urge? Nell’impero dei sogni di Alessandro Bergonzoni

Alessandro Bergonzoni in Urge
Alessandro Bergonzoni in Urge
Alessandro Bergonzoni in Urge (photo: alessandrobergonzoni.it)

Alessandro Bergonzoni fa “voto di vastità” e interpreta “Urge”, monologo di un’ora e quarantacinque minuti in cui questo autore e artista quanto mai poliedrico fa sfoggio di uno stile di scrittura che gli è proprio tanto da poterlo definire un marchio di fabbrica: inverosimile, iperbolico, pirotecnico, volutamente snervante. Ma cos’è questa “vastità” a cui Bergonzoni ha deciso di votarsi? Potremmo dire che “Urge” cerca di rispondere continuamente (ed esclusivamente) a questa domanda, coniando una catena infinita di definizioni che si inanellano a ritmo allucinatorio e che finiscono sempre per trasformarsi in un mosaico di immagini assurde e schizofreniche. Immagini dalla fisionomia deforme, la cui ragion d’essere risiede proprio nell’assurdità delle parole con cui vengono costruite.

E’ così che, nella scatola nera di una scena occupata da aste microfoniche sormontate da piccole luci e strutture in ferro (che, grazie a fogli di lamiera, possono diventare il tavolo su cui Bergonzoni crea e redige i suoi arabeschi verbali), prende vita il mondo dei sogni dell’autore: quelli che egli dichiara di aver effettivamente sognato (col fratello “incartatore di serpenti” o una balia in skateboard e il cappello da d’Artagnan), ma anche quelli che riesce a creare con la penna, immaginando di scrivere, ad esempio, la sceneggiatura di un film in cui il sonoro è separato dalle immagini, e cha ha per protagonisti montagne parlanti, la “Peppina” della celebre canzone e animali di cui si conosce a mala pena il nome e ancor meno l’aspetto (dal licaone al cormorano, passando per topi in ambulanza e capre che guidano motoscafi).

A unificare questo caleidoscopio isterico di figure è proprio, paradossalmente, la lingua che le dice, le racconta e le fa parlare, anch’essa (si sarà ormai capito) altrettanto nevrotica e delirante.
E’ sugli usi (e sugli abusi) del linguaggio che lavora infatti Bergonzoni, cercando di rompere le abitudini connesse ai modi di dire, nella convinzione che esse inducano modalità di pensiero obsolete e anestetizzati: una tendenza allo scardinamento di simili consuetudini, quindi, che dovrebbe portare un’iniezione di dubbio e di messa in discussione di quello che ci appare scontato e ordinario. Una riattivazione del pensiero, insomma.

I tecnicismi oratori di cui Bergonzoni si serve saltano fuori progressivamente nel corso dello spettacolo, sebbene si trovino a emergere da sotto una fittissima coltre di comicità spesso irresistibile e quasi automatica: le frasi fatte vengono alterate attraverso la sostituzione o distorsione di qualche elemento minimale (di una parola, ma anche semplicemente di una lettera o dell’intonazione), che spesso ci riconduce al significato letterale dei termini impiegati, al di là del loro utilizzo consueto e convenzionale. Si produce così un effetto di rimbalzo, un gioco di specchi: dalla norma alla rottura e dalla rottura alla norma, il tutto per rendersi conto che, pur nell’assurdità di un discorso che è ‘anche’ comico, è possibile intendere le cose anche in accezioni diverse dal solito, “altre” rispetto al costante rimpallo di concetti che avviene ogni giorno e che finisce per costruire letteralmente i “mondi”, siano essi reali, immaginari, politicamente manipolati (e manipolabili) o costrittivamente moralistici.

Che la vastità sia questo atteggiamento di uscita da abitudini mentali indotte dalla selva di discorsi in cui tutti ci troviamo immersi? Sembrerebbe di sì, soprattutto dato che Bergonzoni saluta – fuori programma – con una frase dai toni poco in linea con l’irriverente fatica oratoria profusa fino a quel punto: “Non smettete di pensare”.
Pericoloso passo verso una dimensione insopportabilmente retorica, ci sembra che queste poche parole rivelino un rischio sotteso – forse – all’intera operazione linguistica che è all’origine di “Urge”, così come di altri lavori dell’artista bolognese: si tratta del pericolo che il gioco verbale condotto con finalità “altre” rispetto al puro e semplice intrattenimento non sia in grado di avere una ricaduta davvero incisiva su un pubblico che, preso dalla fascinazione per tali funambolismi e dall’assurdità delle immagini cui danno vita, rimane intrappolato in un labirinto di parole da cui la luce del sole si vede poco.
Come dire che, se l’opera riesce a produrre gli effetti che desidera, di frasi languidamente paternalistiche non ce n’è nemmeno bisogno.

Urge
scritto e interpretato da Alessandro Bergonzoni
regia: Alessandro Bergonzoni e Riccardo Rodolfi
scene: Alessandro Bergonzoni
durata: 1’ 45’’
applausi del pubblico: 2’ 41’’

Visto a Bologna, Teatro delle Celebrazioni, il 24 novembre 2011

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