W. I tre atti pubblici dei Motus

Motus - tre atti pubblici|Enrico Casagrande e Silvia Calderoni
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Enrico Casagrande e Silvia Calderoni
Enrico Casagrande e Silvia Calderoni (photo: shorttheatre.org)
Where, When, Who. I Motus tornano a Roma con “W. Tre atti pubblici”. Ma le famose domande del giornalismo, nonostante il titolo, non c’entrano niente. Il lavoro presentato dalla compagnia fondata da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò è infatti uno stadio intermedio in vista del debutto, previsto per maggio 2013, di “Animale politico”.
I Motus vogliono arrivare al risultato finale attraverso un percorso graduale di performance e laboratori, e di questo percorso i tre atti di cui ci accingiamo a parlare fanno appunto parte: un Atto-assemblea (“Where”), un Atto-solitario (“When”) e un Atto-corale notturno (“Who”).

In “Where” il pubblico viene fatto accomodare sul pavimento di una sala ricoperto di tappetini. Non c’è un orientamento visibile, uno spazio vuoto che potrebbe diventare scenico: così ognuno si siede rivolto in una direzione diversa, guardandosi attorno in cerca di indizi su cosa succederà.

Fra il pubblico qualcuno ha un microfono a portata di mano, qualcuno un computer: una di loro è Silvia Calderoni, gli altri sono testimoni e attivi partecipanti dei più importanti spazi occupati (o liberati) e autogestiti d’Italia: rappresentanti del Macao di Milano, dell’Angelo Mai, del Teatro Valle Occupato e del Nuovo Cinema Palazzo di Roma, dell’Ex-Asilo Filangieri di Napoli e delle Sale Docks di Venezia.

Qualcuno comincia a parlare e dà il là a un dibattito, una vera e propria assemblea, che (come ogni assemblea) è anche e soprattutto gesto teatrale.
Forse i momenti più belli di tutti i “Tre atti pubblici” sono proprio quelli immediatamente iniziali, quando le voci amplificate di persone di cui non conosciamo il volto, sedute fra noi, ci arrivano senza la possibilità d’individuarne la provenienza se non visivamente, e allora cerchiamo attorno una bocca in movimento, un corpo leggermente più sollevato degli altri; finché non si conclude il primo giro di interventi, per qualche secondo la voce di ognuno realizza un vero miracolo di democrazia, cioè è solo sé stessa, nasce dal ed è diretta al pubblico, senza alcuna codificazione se non il timbro, la qualità vocale.

Ma il momento dura poco, si scoprono le carte in tavola e rimane soltanto un’assemblea autoreferenziale e densa di ammiccamenti, che lasciano più di una perplessità sull’effettiva volontà di parlare a tutti e non soltanto a chi già frequenta spazi non istituzionali. La Calderoni si inserisce fra un intervento e l’altro, spezzando il ritmo con brani che anticipano l’Atto successivo o con citazioni del Living Theatre.
A tratti ci sono problematizzazioni interessanti (il no al teatro di residenza ma anche la consapevolezza che pure il nomadismo non evade dalle regole del mercato; oppure la trapezista laureata in giurisprudenza che studia modi per «stressare» il diritto e far riconoscere il suo spazio come bene comune), ma la sensazione prevalente è un certo fastidio per un’assemblea non dissimile da quelle cui si può assistere nei rispettivi spazi, senza che fra l’altro ci sia dato intervenire.  

Non è un caso, forse, che le due W del giornalismo sfuggite al titolo di questo spettacolo siano il “Why” e il “What”: i partecipanti attivi dell’assemblea non sembrano aver tenuto abbastanza in considerazione proprio gli ipotetici “perché” e “che cosa”. Ovvero: quali sono gli obiettivi sistemici degli spazi autogestiti e in quale modo è possibile estendere concretamente un modello alternativo di produzione, culturale e non? Ma soprattutto: in “che cosa” consiste questo modello alternativo, oltre al fatto assodato che dev’essere frutto di elaborazione collettiva?
La domanda non mi sembra banale, perché finora nessun collettivo ha saputo fare a meno, nella sua lotta, dei prodotti messi a disposizione proprio da quel sistema rispetto a cui si afferma la radicale alterità (anche durante “Where”, per fare un esempio, sia la Calderoni sia gli altri impugnano mac e ipad).
E se è permesso pensare, più che giustamente, di rivoltare le armi del sistema contro sé stesse, d’inventare arte antagonista con le invenzioni di Steve Jobs, allora perché sarebbe troppo «istituzionale» pensare di costituirsi in associazione culturale? Non può valere la stessa strategia? 

Motus - tre atti pubblici
Enrico Casagrande di spalle e Silvia Calderoni in video (photo: Sara Bugoloni)
Veniamo a “When”, il più canonicamente teatrale dei tre atti. Casagrande, di solito regista, stavolta è in scena: le spalle al pubblico, le dita sulla tastiera di un computer la cui schermata è proiettata sullo sfondo. Apre un nuovo documento vuoto e comincia a scrivere: lacerti di monologo, frasi a metà fra l’angoscia e l’ingenuità, che introducono il tema della paura, della necessità di controllo su spazio, tempo e corpo.

Proprio la «digitalizzazione ossessiva» dello spazio pubblico è il nucleo di “When”, il proliferare di apparati di sicurezza e telecamere. Difatti è dall’occhio scolorito di una telecamera che arrivano in sala le immagini di Silvia Calderoni, sul tetto del teatro: con la sua solita fisicità, l’attrice corre in lungo e in largo, e con lei corrono parole smunte dal microfono, angosce di chi per ritrovarsi ha bisogno di riavvicinare l’animalità, il pulsare ritmico del cuore.
Casagrande, sul palco, comincia a reagire alle frasi che giungono dal tetto: sta sicuramente in quest’interazione la maggiore potenzialità dello spettacolo, in questa fase ancora inespressa.
Dopo l’ingresso in sala di Calderoni e l’incontro vero, fisico, i due escono e chiudono lo spettacolo con un inchino dall’esterno, sempre ripreso dalla telecamera.

Come già in “Alexis. Una tragedia greca”, i Motus mostrano abilità e freschezza nell’utilizzare tecnologie comuni per creare nuovi espedienti drammaturgici: la videoscrittura, le telecamere, un contabattiti cardiaco amplificato. Riescono a farne un uso sincero, senza affettazione, e ciò può soltanto far ben sperare per l’esordio del lavoro concluso. Allo stato dei fatti, però, lo spettacolo è ancora troppo grezzo: l’instabilità della struttura finisce anche per banalizzare il contenuto, con diverse cadute retoriche (perfino quando si cita quel geniaccio di Philip Kindred Dick) e poco più di quanto già nel 1948 Orwell aveva abbondantemente profetizzato.

“Who”, per concludere, è un incontro diretto fra spettatori e performer. Al centro della sala alcuni corpi oscillano, danzano, in una vicinanza che sfiora l’abbraccio: nelle note di regia il movimento è chiamato «orgonico», un aggettivo mutuato dalla psicanalisi. Al pubblico è offerto di indossare dei cappucci colorati e di unirsi, al buio, alla danza corale. La voce di Jim Morrison amplifica la ritualità lenta del movimento: un movimento di unione e simbiosi, ma anche di nascondimento ed evasione. Dal gruppo infatti emerge nuovamente la Calderoni, che si toglie il cappuccio e guida il volo di un elicottero radiocomandato sopra gli «orgonici»: la danza resiste alla sorveglianza, la benzina finisce e l’elicottero crolla. Il rito è compiuto, si può uscire: la stessa attrice ci apre la porta.
“Who” ricorda molto la drammaturgia di massa vista di recente nell’Atelier dei Duecento al Teatro India: soltanto che all’India i registi dovevano inventar qualcosa con un colosso di duecento persone; in questo caso i coinvolti non sono più di trenta, e sarebbe lecito aspettarsi un pochino di più.

I “Tre atti pubblici” lasciano insomma dubbi sia formali sia di contenuto e potenzialità politica, che per una compagnia come i Motus è senz’altro centrale: starà a loro dimostrare come, raffinando la forma e potenziando la drammaturgia, si possa rendere più efficace e profondo il messaggio, e magari trovare una lingua capace di arrivare oltre i limiti di un pubblico già scelto. Ad maiora.

W. Tre atti pubblici
concept: Daniela Nicolò, Enrico Casagrande, Silvia Calderoni
regia: Daniela Nicolò & Enrico Casagrande
partecipano: Enrico Casagrande, Silvia Calderoni, Marco Baravalle, Ciro Colonna, Giorgina Pilozzi, Camilla Pin, Laura Pizzirani, Chiara Colasurdo
in collaborazione con: Angelo Mai Altrove Roma, Ex Asilo Filangieri / La Balena Napoli, Macao Milano, Nuovo Cinema Palazzo Roma, Sale Docks Venezia, Teatro Valle Occupato Roma
suono: Massimiliano Rassu
video: Aqua-Micans Group
produzione: Motus_Making The Plot 2011-2068 con Centrale Fies-Dro
durate: Where 1h,  When 45′, Who 20′

Visto a Roma, La Pelanda, il 15 settembre 2012
Short Theatre


 

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