Le 4 tracce impopolari di Ernesto Orrico. Intervista

Ernesto Orrico|Ernesto Orrico (photo: Eros Leale)
Ernesto Orrico|Ernesto Orrico (photo: Eros Leale)

Una nuova sfida creativa per contrastare, attraverso formati innovativi, lo stop forzato che stanno vivendo i lavoratori dello spettacolo.
In attesa di tornare in teatro e nelle piazze per incontrare il pubblico, l’attore e regista cosentino Ernesto Orrico ha lanciato il progetto “4 tracce impopolari” in cui voce e suono si fondono, sfruttando le potenzialità della lingua fluida e carnale del dialetto cosentino. La parola poetica incontra i suoni di Carlo Cimino, che in questo lavoro utilizza diversi strumenti, dal basso elettrico al sintetizzatore, costruendo panorami sonori di natura cinematografica. Nascono così la Canzone del risveglio, la Canzone dei soldati, la Canzone del sangue, la Canzone dei vermi, disponibili sulla piattaforma Bandcamp, un mini-album digitale accompagnato da un testo critico-poetico dell’autrice e etnomusicologa Delia Dattilo e da un artwork curato da Raffaele Cimino.
Quella di Orrico non è solo una necessità dettata dai tempi del Covid, ma un percorso di ricerca artistica che porta avanti da diversi anni, iniziato con “The Cult of Fluxus”, in cui sperimenta forme di scrittura per voce e suono, mettendo in scena originali lavori di contaminazione tra musica e teatro. Una ricerca in cui gli slittamenti sui dialetti e la riscoperta di sonorità ancestrali, conducono l’autore verso un continuo quanto necessario disequilibrio: riscrivere, sovrapporre, accostare.

Un nuovo progetto che guarda e “rielabora” le necessità del presente. Le tue “tracce impopolari” diventano un’occasione per fare sentire la tua voce e proseguire un tuo personale percorso di ricerca. Come nasce?
“4 tracce impopolari” prende le mosse da un monologo del 2012 “La superficie della lotta”, l’intima riflessione di un indefinito guerrigliero sulla condizione dell’uomo in guerra, guerra intesa come scontro di poteri e conflitto interiore. A partire da un breve frammento del “Candido” di Voltaire avevo scritto una partitura nella quale si intrecciavano italiano, dialetto calabrese e musiche elettroniche. All’inizio della seconda metà del 2020 ho ripreso a leggerlo e ho trovato che le parti in dialetto avessero un’aderenza perfetta con la condizione psichica che mi trovavo a vivere in quel momento. È nata quindi l’esigenza di rimetterli in gioco sotto una nuova forma.
Carlo Cimino è un musicista di cui ben conosco l’arditezza sperimentale, e col quale ho intrattenuto negli anni delle sporadiche collaborazioni. Quando gli ho sottoposto i testi ho ricevuto un feedback pieno di entusiasmo e abbiamo subito intrapreso una pratica di riflessioni sul mood sonoro, di tentativi su singoli strofe o stralci musicali, in un continuo scambio di file digitali attraverso messaggi whatsapp e email… fino a giungere, nel giro di qualche settimana, alla realizzazione delle quattro canzoni. Successivamente nel progetto abbiamo coinvolto l’etnomusicologa Delia Dattilo, che ci ha offerto una prima lettura del nostro lavoro e il suo testo è presente, insieme all’artwork dell’artista visivo Raffaele Cimino, nel booklet dell’album.

Drammaturgia e poesia che si incontrano a partire dal monologo del 2021 “La superficie della lotta”: quali temi hai approfondito e quali le chiavi da te utilizzate per far dialogare differenti forme espressive?
Il mio approccio al teatro può assumere forme differenti, ma si evidenzia nel continuo dialogo tra parlato e musica, tra voce e suono. Mi interessa continuare a sperimentare questa direzione, niente di nuovo sotto il sole, anzi, ma è proprio questa pratica antichissima l’essenza del teatro, la sua vitalità. La condizione ideale, basica, primordiale, resta quella del teatro greco, la compresenza di parola e musica, il coro come specchio partecipante dell’agorà.
L’ambiente teatrale deve vibrare, affermando così la sua forza, rigenerando il dialogo sempre mutevole che si instaura con il pubblico, tra respiri e battiti dei performer e quelli degli spettatori. Forse per questo siamo considerati così pericolosi in periodo di Covid19? È possibile.
Ma tornando alle forme espressive, il mio ultimo lavoro, prima del lockdown di marzo 2020, è stato “La fuga di Pitagora lungo il percorso del sole”, una drammaturgia originale scritta da Marcello Walter Bruno con le musiche di Massimo Garritano, un polilogo di stati d’animo nel quale la voce si sposta dall’invettiva all’evocazione, tra orazione e lezione, in un movimento sonoro che è moltiplicazione di storie, incastri, accenni, rimandi, citazioni e i suoni della chitarra costruiscono panorami acustici che si frangono in pulviscolo elettrico, le ripetizioni, i loop, i disturbi costituiscono un impasto narrativo che dialoga con la voce, poi la sovrasta, la abbandona… la libera.

Ernesto Orrico (photo: Eros Leale)
Ernesto Orrico (photo: Eros Leale)

Hai scelto come lingua il dialetto, spesso presente nei tuoi lavori, che in questo caso si plasma sulla musica. Come è nato questo incontro?
Il dialetto è la lingua dell’infanzia, la lingua dei miei nonni, del quartiere dove sono cresciuto, un suonare della parola che nonostante l’incontro con il teatro professionale non ho mai abbandonato. Nel corso del tempo è un eterno ritorno, dai primi esperimenti con Teatro Rossosimona, passando da “Jennu brigannu” di Vincenza Costantino a “U tingiutu” di Dario De Luca, fino ai miei testi “‘A Calabria è morta” e “La mia idea. Memoria di Joe Zangara”, il lavoro sui dialetti calabresi, impiegati in maniera fluida e contaminata, resta una delle mie marche poetiche più forti.
Anche nell’esperienza che ho avuto con il Teatro delle Albe per lo spettacolo “Va pensiero” ho sperimentato un approccio alla lingua dialettale, in quel caso con Marco Martinelli abbiamo scelto di non scavare eccessivamente nella densità dei suoni aspri del “calabrese”, ma la figura dell’imprenditore ‘ndranghetista Antonio Dragone mantiene, nel suo parlato, una sonorità legata alla cadenza della mia inflessione cosentina; ne è conseguita una trasparenza espressiva risultata efficace nel rapporto con le altre figure del dramma.

Insomma, ora voce e musica agiscono nel digitale in attesa di tornare a scuotere teatri e piazze…
Con Carlo Cimino abbiamo deciso di distribuire le “4 tracce impopolari” attraverso Bandcamp perché questa piattaforma offre possibilità molto interessanti, anche in relazione al periodo storico che stiamo attraversando. I brani sono disponibili in streaming gratuito, ma chi vuole può acquistarli sostenendo in maniera diretta gli artisti. Una scelta che ci ha consentito, grazie alla forte partecipazione dei nostri sostenitori, di poter disporre di un piccolo gruzzoletto che abbiamo deciso di investire nella produzione di un cd in edizione limitata; ci piacerebbe proporlo in vendita alla fine di futuri concerti/spettacoli.
Il nostro auspicio è che nel giro di qualche mese ci sia la possibilità di tornare alle performance dal vivo, pur consci della gravità della pandemia: ci sembra ridicolo che solo teatri, sale per la musica e cinema restino completamente chiusi. Con l’attivazione di protocolli chiari e rigorosi, la prenotazione dei posti, il tracciamento dei contagi e il consolidamento della campagna vaccinale anche il nostro settore dovrebbe ripartire. Il digitale è una risorsa eccezionale, allo stesso tempo è una minaccia gigantesca per la sopravvivenza psichica del performer.

Tra i tuoi ultimi progetti, ha visto la luce anche il volume con il testo di “La mia Idea. Memoria di Joe Zangara” per la nuova sezione “La scena di Ildegarda” di Edizioni Erranti.
“La scena di Ildegarda” è una collana diretta da Donata Chiricò e da mia moglie Vincenza Costantino, loro due lavoravano da tempo all’idea di mettere in piedi un progetto editoriale che unisse la pubblicazione di nuova drammaturgia e la riflessione di taglio scientifico. Il lockdown le ha spinte a tirar fuori “La mia idea. Memoria di Joe Zangara”, che è un’opera che vede indivisibili il mio testo e le partiture musicali originali di Massimo Garritano, come primo atto di questo percorso.
La mia idea è il racconto in prima persona della vicenda umana di Joe Zangara, emigrante calabrese che nel 1933 compì un attentato ai danni del presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt; il testo è basato sulle pagine di diario che lo stesso Zangara ha dettato al direttore del carcere di Raiford (Florida), dove è stato ucciso sulla sedia elettrica. Di fatto tutti i materiali (partiture musicali, traduzione in inglese di Emilia Brandi, il saggio introduttivo di Vincenza, la nota di Laura Caparrotti e le foto) erano già pronti, il libro avrebbe dovuto esser pubblicato negli Stati Uniti in un progetto collaterale a InScena, il festival del teatro italiano di New York, dove lo spettacolo è stato in cartellone, ma poi questa ipotesi si è arenata. Successivamente, nella collana La scena di Ildegarda, è stato pubblicato “Lo psicopompo” di Dario De Luca, ed è in uscita il terzo volume “Lucciole. D’insetti, punk e Calabria paranoica” di Francesco Aiello.

0 replies on “Le 4 tracce impopolari di Ernesto Orrico. Intervista”