Siamo andati alla presentazione ufficiale per cercare di capire meglio i dettagli di questo “azzardo” produttivo e abbiamo ascoltato raccontare il progetto direttamente dalle voci dei suoi principali protagonisti: l’autore Stephen Amidon (conosciuto soprattutto per il romanzo “Il capitale umano”, dal quale è tratto l’omonimo film di Virzì) e Serena Sinigaglia, regista di tutto il progetto.
Accanto a loro, a confermare l’interesse o la curiosità per un progetto inedito in Italia, Mario Martone ed Evelina Christillin in rappresentanza dello Stabile, Alessandro Baricco e Martino Gozzi per la Scuola Holden, parte viva del progetto.
Secondo la Christillin, che appare entusiasta e fiduciosa per questa novità, “6Bianca è soprattutto una sfida: quella di riuscire a portare gli spettatori (e soprattutto i giovani) a teatro per sei volte di fila”, da febbraio a maggio, per seguire le tormentate vicende degli otto personaggi che danno vita al lavoro.
In un’ottica di coinvolgimento del pubblico e di narrazione transmediale, “6Bianca” “non vivrà solo di teatro ma di un confronto con il pubblico attraverso i backstage e la narrazione attraverso i social”.
E per tutti quelli che si chiedono come farà lo Stabile a “convincere” gli spettatori a tornare a teatro per sei volte (con due settimane di pausa tra un episodio e l’altro) Mario Martone risponde fiducioso: “Funzionerà come nelle serie! Abbiamo lavorato pensando all’idea di “catena di trasmissione”, qualcosa che non si chiude ma che si trasforma in una sfida. Prima che un prodotto, 6Bianca sarà un processo che lega anche gli spettatori”.
L’idea di teatro seriale era già stata sperimentata da Spregelburd, che per primo aveva lavorato su questo format. Il suo progetto, ricorda Martone, era nato per fare fronte prima di tutto alla necessità lavorativa degli attori e dei professionisti dello spettacolo.
La serialità infatti produce occupazione nel tempo, nella televisione come nel teatro. Ecco allora nascere l’idea di un progetto a puntate nostrano ma con un’attenzione alle grandi serie tv americane, che catturano il pubblico con il loro perfetto mix di fotografia, sceneggiatura, regia e recitazione cinematografica.
Il progetto è intrigante, e potrebbe rappresentare una nuova modalità per “fidelizzare” il pubblico teatrale e farlo tornare a teatro con una frequenza insolita.
La storia racconta le vicende della famiglia Ferraris e della morte di Bianca, figlia del capofamiglia trovata senza vita in una delle fabbriche del padre. Quali misteri si nascondono dietro questa famiglia “bene” di Torino?
Il “plot narrativo” è nato dalla contaminazione tra Stephen Amidon e quattro giovani scrittori della Scuola Holden, Riccardo Angelini, Sara Benedetti, Filippo Losito e Francesca Manfredi. Raccontando del processo di scrittura e sviluppo della trama, Amidon ammette di aver vissuto “una delle esperienze più gratificanti dei suoi 30 anni da scrittore”.
Nella stesura della prima traccia (più di 300 pagine) Amidon e la sua squadra hanno creato la storia di Amedeo Ferraris e della sua famiglia, una sorta di tragedia tardo capitalista che indaga l’impatto che i grandi patrimoni posso avere sulla vita delle persone.
“Questa visione, non esattamente ottimista, ha trovato in Serena Sinigallia un compagno perfetto: Serena ha spinto il progetto ad esplorare strade che non avrei mai immaginato”.
Per la Sinigaglia, regista del milanese Atir che firma tutte e sei le puntate di “6Bianca”, lo spettacolo è cattivo e, se dovesse trovare una definizione, lo descriverebbe come “un thriller psicologico con una tensione fortissima dall’inizio alla fine”.
Analizzando il lavoro di allestimento dei sei spettacoli la Sinigaglia mette al primo posto la qualità di relazione che si è instaurata sul palco con gli attori e con i tecnici, tutti professionisti la cui competenza è ciò che fa davvero la differenza.
Lavorare sulla serialità per la regista è stata la scoperta di un genere sconosciuto che permette però al teatro di sperimentare: “E’ un meticciato di linguaggi che permette una trasversalità che a volte ci perdiamo quando facciamo un ‘genere’”.
La ricetta segreta di questa sperimentazione sembra quindi quella della qualità professionale, aspetto ribadito anche da Mariangela Granelli, attrice nel ruolo di Giulia Ferraris, che ha descritto i mesi di prova come un “cantiere aperto con professionalità ad altissimo livello”.
Il teatro torinese più stabile prova insomma a sperimentare, e lo fa senza trascurare alcun dettaglio. Per gli spettatori sono stati previsti abbonamenti ad hoc e anche la possibilità di rivedere le puntate in streaming. L’appuntamento con il primo episodio è da domani fino a domenica 15 febbraio al teatro Gobetti, mentre l’atto finale si concluderà a maggio.
Noi aspettiamo curiosi il primo episodio per potervi raccontare qualcosa in più. Chissà che il teatro, da oggi, non si rinvigorisca scegliendo una nuova strada…