Lo Stato da ripensare di Short Theatre 17

Guerrilla (photo © Claudia Pajewski)|Il Pidocchio di Ricci/Forte (photo © Claudia Pajewski)|Be careful|Angela Malfitano (photo © Claudia Pajewski)
Guerrilla (photo © Claudia Pajewski)|Il Pidocchio di Ricci/Forte (photo © Claudia Pajewski)|Be careful|Angela Malfitano (photo © Claudia Pajewski)

A Roma Short Theatre è cominciato giovedì scorso (e proseguirà fino a domenica) con una valanga di proposte: facciamo un rapido riassunto di cosa siamo riusciti a vedere. Ma prima: il tema della rassegna, diretta da Fabrizio Arcuri, è “Lo Stato mentale”, con l’ambigua S maiuscola, che a scuola insegnano sta per entità statutale. Per i curiosi qui l’introduzione e la giustificazione del titolo.

Guerrilla
Ad aprire il festival il 7 e l’8, e a istituire un primo legame con questa ambivalenza della presenza del soggetto come pubblico/privato, è El Conde de Torrefiel con “Guerrilla”.
La compagnia spagnola immagina un futuro non lontano in cui avviene quello che tutti, forniti di un giubbotto antiproiettile più psicologico che scientifico, sotto sotto oggi credono impossibile. O troppo brutto per essere vero. Cioè una guerra, anzi La guerra: non uno scontro atroce ma provinciale, bensì un conflitto fra i blocchi Oriente/Occidente, con le atomiche e il resto.

Appena prima di questo scontro devastante (il testo è ambientato nel 2019, la guerra si immagina nel ‘23) alcuni personaggi “normali” portano avanti le proprie vite ed esplorano i propri dubbi con parenti e amici. Sono i soliti problemi personali, ma anche lampi di riflessione sul senso della cultura, della vita e della storia, più o meno inconsciamente sovrastati dall’ombra già palpabile dell’immane sciagura. (Come noi…).

Il linguaggio teatrale della compagnia si conferma quello che avevamo già visto a Terni due anni fa, ma qui si arricchisce di una prospettiva comunitaria, globale.
Il testo è diviso in tre parti, e distribuito durante tre eventi pubblici: una conferenza, una lezione di Tai Chi e una serata in discoteca. Nessun attore parla – e sono ben 80 le “comparse” in scena –; il testo è proiettato come sovratitolo, e accompagna tutto lo spettacolo, fatto di scene fisse: un pubblico da conferenza, partecipanti alla lezione di Tai Chi, giovani che ballano e casse musicali sparate a palla per la discoteca.

Il testo merita una parola in più, così anche lo stile rappresentativo della compagnia spagnola. La modalità comunicativa scelta è appunto quella del sovratitolo, che riproduce un testo sostanzialmente letterario, anche se accuratamente composto per rientrare nel breve spazio dello schermo di proiezione (frasi asciutte, stringata paratassi), e spesso ricorrente al discorso diretto, a dimostrare la fiducia, nobilmente civile, nella pratica della conversazione.

Una volta impostato il rapporto con il pubblico, nei primi minuti, si prosegue senza ulteriori correttivi né riposizionamenti. Così, ciò attorno a cui si dibatte da sempre il teatro di ricerca, il Problema Formale per eccellenza, gli strumenti e la prassi comunicativi risultano immediatamente e senza ripensamenti risolti – od obliterati?

Per quanto riguarda il testo, per il quale la compagnia nutre una coraggiosissima fiducia, la giustapposizione di spunti talvolta tanto diretti da sembrare naïf, dà al pubblico l’idea di una ricchezza contenutistica, e anche di gradevole freschezza.
L’impressione di fondo che rimane è quella di un teatro facile e comunicativo, vivo per questa facilità, per una lodevole tensione di andare al sodo, sia pure destreggiandosi con un po’ troppa disinvoltura tra i grandi temi. Un teatro orgogliosamente di parola, seppur scritta, di conversazione nel senso elevato del discorso filosofico più che in quello cortigiano, che sa di solidità e maturità.
Se bisogna fare una fastidiosa ma puntigliosa critica, proprio alla luce di quanto appena detto, è alla pericolante traduzione del testo, che ricalca in molti casi costrutti non italiani, oltre a incappare in diversi refusi e leggerezze.

Pasolini, Karge, Taneja
Domenica, in diversi orari, si dà la performance di Ricci/Forte “La persistenza del pidocchio”, pensata a suo tempo nell’ambito delle “celebrazioni” pasoliniane del 2015. Lo spazio è un rettangolo le cui pareti più brevi sono coperte di tubi fluorescenti bianchi. I cinque performer, vestiti da tennis (gonnellino anche per gli uomini) attraversano il “Petrolio” pasoliniano, atterrando soprattutto su stralci descrittivi, romani nella fattispecie.
Evocando immagini esteriori, come in un Govoni quasi depurato dalla componente zuccherina, suscitano emozioni in tono minore – i ragazzi che tirano sassi in un barattolo di conserva, le pennellate atmosferiche, le scene di borgata vergine, come bagnata di una luce tragica e sorgiva. Il tutto in palese scontro con la civiltà dei consumi, evocata dalle istruzioni su come liberare il cuoio capelluto dal pidocchio, parassita frequente e sottile.

L’accurata scelta delle musiche, di sicuro impatto – la naturalistica aria del Freddo dal “King Arthur” di Purcell a “Mi sei scoppiato dentro al cuore” –, rimpolpa la performance, che si giova di una buona solidità di linguaggio. (Retorica dell’antiretorica, direbbe acidamente qualcuno, non priva peraltro di alcuni cliché, come la sezione-rossetto, in cui i performer si spalmano malamente le labbra, o quella in cui sono presi da improvvise convulsioni, in un accostamento di toni e sezioni contrastanti quantomeno risaputo).

Il lavoro risulta comunque delicato e scorrevole, e partecipa della consueta doppia sfida di Ricci/Forte a una decriptazione urgente, imperniata sull’oggi ma mai priva di un ampio margine di interpretazione.

Il Pidocchio di Ricci/Forte (photo © Claudia Pajewski)
Il Pidocchio di Ricci/Forte (photo © Claudia Pajewski)

In serata Arcuri porta la sua collaborazione con i bolognesi di Tra un atto e l’altro a Roma, e ne mette come protagonista del monologo “Giacca come pantaloni” di Manfred Karge la fondatrice Angela Malfitano.
La storia (che in tedesco è in “prosa ritmata”, forma appena qua e là intuibile nella traduzione) è quella di una giovane vedova tedesca la quale, nella buia stagione del ’29, prende l’incarico del marito, morto per mantenere il posto di lavoro.
La sua vicenda attraverserà tutta la parabola hitleriana, fino alla liberazione dell’armata rossa e al lungo dopoguerra, sempre vissuti in un suo singolare disequilibrio tra i generi. Si parla qui di un disequilibrio non interiore – le spinte intime alla maternità, o alla riconquista di un genere che si sente come proprio risultano sporadiche nel testo – ma tutto esteriore, legato alle necessità di sopravvivenza, il farsi riformare come soldato, evitare poi l’accusa di diserzione ecc.

La messinscena alla prova dei fatti è in sostanza abbastanza povera, proprio in senso tecnico: l’illuminazione è (volutamente?) frammentaria e imprecisa, così come l’audio, in costante (voluto?) ritardo e disarmonia nei volumi, l’impianto video è (pensato?) archeologico. E poi la regia/recitazione. Se c’è una linea che da Brecht arriva fino a Karge e ad Arcuri, che al primo ha fatto più volte riferimento nel suo lavoro, questa è l’occasione per affrontarla, soprattutto in quelli che continuano a sembrare gli aspetti più radicali dell’esperimento del drammaturgo di Augusta, cioè l’impostazione del rapporto tra pubblico e attore e tra attore e testo, legati e slegati continuamente in un’ottica dialettica. E in effetti la recitazione mantiene quella distanza dall’oggetto rappresentato che potrebbe alludere a tale distacco, eppure è portata avanti con tale timidezza da sembrare spesso semplicemente poco incisiva, mancante di fibra. È questione di tempi, di intensità, di sguardo agli archi lunghi del teso: di agogica e dinamica. Di conseguenza la catena mondo-testo-attore-spettatore è lasca.

Angela Malfitano (photo © Claudia Pajewski)
Angela Malfitano (photo © Claudia Pajewski)

Chiude la serata Mallika Taneja, giovane performer indiana, con “Be Careful”.
Si tratta di un breve lavoro sul tema della nota sequela di terribili stupri avvenuti in India, la responsabilità dei quali è stata spesso incredibilmente spartita (e non solo laggiù) fra il criminale e la vittima, colpevole di suscitare il dolo con un abbigliamento troppo succinto.
L’operazione di Taneja è poco più di una trovata, ma funziona: lei appare in scena nuda, e durante un monologo sulla responsabilità, sui “buoni consigli” circa vestiario e atteggiamento giusti per evitare rischi, si copre di decine e decine di indumenti, fino a gonfiarsi come un fantoccio deforme e disumano, con tanto di occhialoni scuri e casco da moto, pronta per affrontare… un tragitto in autobus.
Il pubblico applaude la simpatia e il tono grottesco, e un argomento su cui è impossibile non essere d’accordo.

Be careful
Be careful

Guerrilla
ideazione: El Conde de Torrefiel
regia e drammaturgia: Tanya Beyeler, Pablo Gisbert
testo: Pablo Gisbert
in collaborazione con 80 volontari di Roma
assistente: Nicolas Chevallier
disegno luci: Dani Miracle
scenografia: Blanca Añón
suono: Adolfo García
stage manager: Isaac Torres
assistenza alla coreografia: Amaranta Velarde
musica: Pink Elephant on Parade, Salacot
performer: Amaranta Velarde e gli 80 volontari di Roma
coproduzione: Kunstenfestivaldesarts (Brussels), steirischer herbst Festival (Gratz), Noorderzon Festival (Groningen)
con il sostegno di progetto europeo NXSTP e il supporto di Graner, Centre de creació Barcelona, ICEC-Generalitat de Catalunya, INAEM, Ministerio de Cultura de España, Institut Ramón Llull
con il sostegno di LULL

La ramificazione del pidocchio (hommage à Pier Paolo Pasolini)
drammaturgia: ricci/forte
con: Giuseppe Sartori, Simon Waldvogel, Anna Gualdo, Liliana Laera, Ramona Genna
movimenti: Marta Bevilacqua
assistenti regia: Liliana Laera, Ramona Genna
direzione tecnica: Danilo Quattrociocchi
regia: Stefano Ricci
produzione: ricci/forte

Giacca come pantaloni (Jacke wie Hose)
di Manfred Karge
traduzione: Sabrina Venezia
regia: Fabrizio Arcuri
con: Angela Malfitano
set video: Lorenzo Letizia
assistente alla regia: Francesca Zerilli
produzione: TRA UN ATTO E L’ALTRO e ACCADEMIA DEGLI ARTEFATTI
in collaborazione con Ert-Emilia Romagna Teatro Fondazione
con il sostegno della Regione Emilia Romagna
si ringrazia il Teatro di Roma e Studio Spectrum

Be careful
ideazione e performance: Mallika Taneja
direttore di produzione: Pranav Sawhney
Thoda Dhyaan Se (Be Careful) è stato creato per la prima volta al “Tadpole Repertory Theatre come parte del loro spettacolo “NDLS”

Visti a Roma, Short Theatre, il 7-8-9 settembre 2017

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