Iniziamo il 2018 raccontandovi il meglio del teatro ragazzi italiano 2017, almeno secondo noi, un anno senza eccessivi bagliori ma con alcune perle che lo hanno illuminato.
Iniziamo da “Racconto alla rovescia” di Claudio Milani che, oltre a parlare in modo poetico di un tema tabù del teatro ragazzi come la morte, ha il merito di utilizzare in modo innovativo e profondo la tecnologia, non come mero supporto, come troppo spesso accade, ma finalmente come linguaggio emotivamente e teatralmente forte.
“Racconto alla rovescia” parla dell’incontro tra un bambino, Arturo, e la morte, incontro che avviene proprio per il suo compleanno: ecco allora che la morte porta in dono ad Arturo ben 7 regali, tutti di diversa grandezza e in bella vista sul palco.
Nel grande racconto alla rovescia, che Claudio Milani narra sul palco, tutti questi doni verranno, pian piano, svelati. Il festeggiato potrà così scoprire tutte le meraviglie che gli sono finora servite e che gli serviranno in futuro per diventare grande, perché di tempo, nonostante la presenza incombente della nera signora, ne avrà comunque in abbondanza per diventare adulto.
Tutti i regali che Arturo scopre appaiono al pubblico dei bambini attraverso dei meccanismi tecnologici nascosti, come fossero veri miracoli, ma affidati a segni di semplicissima materia che fanno parte dell’infanzia (fili di lana, palloncini, uova, strisce di carta, fiori ed erba colorata). Miracolosi appunto, perché è proprio del grande teatro far apparire tale tutto ciò che avviene sul palco, e non solo con le parole.
Tra le riuscite migliori del 2017 c’è poi l’incantevole versione di una celeberrima fiaba, già attraversata decine di volte dal teatro ragazzi, “Biancaneve”, dovuta stavolta a Michelangelo Campanale per i tarantini del Crest, recente vincitrice del Premio del Festival di Padova.
E’ Cucciolo, l’ultimo dei sette nani, a narrarcela, ponendo al centro del racconto una bambina coraggiosa, vissuta senza un padre, all’ombra di una madre altezzosa e boriosa, da cui dipende.
La storia si dipana in modo crudo e terribile, come è stata raccolta dai Grimm, divisa in sette racconti, che il nostro nano narratore legge da manoscritti lasciati dai fratelli.
“Biancaneve, la vera storia” pone al centro del suo percorso il tema della bellezza, che ha la sua origine più vera e naturale non nell’aspetto esteriore, ma piuttosto nella profondità dell’essere umano.
A Campanale riesce il miracolo di raccontare tutto questo in una cornice di assoluta bellezza, in cui tutti gli aspetti tecnici – luci, musiche, scene, costumi e conformità dei tre interpreti – concorrono a porre in risalto le “trame speciali” di cui ancor oggi Biancaneve, tra verità e leggenda, è composta.
Passiamo ora a due spettacoli di teatro di figura, assai diversi tra loro, ma entrambi di notevole composizione.
La pugliese Daria Paoletta dei Burambò, ne “Il Fiore Azzurro”, mette prepotentemente in sintonia le arti in cui è maestra, la narrazione e il teatro di figura, per raccontare una esemplificatrice storia zigana che narra le avventure di Tzigo, un bambino che si mette in cammino alla ricerca della felicità e della fortuna, seguendo le indicazioni ereditate dalla madre, attraverso un fiore azzurro.
Per mezzo di questo spirito guida, il ragazzo (un pupazzo creato con perizia da Raffaele Scarimboli, e che l’attrice muove con assoluta veritiera maestria) parte all’avventura attraverso boschi e villaggi, incontrando animali magici disposti ad aiutarlo, ma affrontando al contempo anche una terribile strega.
L’attrice, in modo credibilissimo, attraverso una lingua che si nutre anche di diversi dialetti, riesce a rendere vivi tutti i numerosi personaggi e luoghi che Tzigo incontra, dialogando con il pupazzo, che diventerà alla fine umano, pur rivendicando in modo profondamente naturale la sua vera e particolarissima natura.
Ecco poi “Becco di rame” del Teatro del Buratto che invece, utilizzando l’arte che gli è stata negli anni più congeniale, il teatro di figura su nero, narra, traendola dal vero, la storia di una bruna oca di Tolosa.
Una notte, per proteggere l’aia e il pollaio, perché è quella la sua mansione, in una lotta furiosa con una volpe, l’oca perde la parte superiore del becco, rischiando di non poter sopravvivere.
Un veterinario, il dottor Briganti, ha però un’idea geniale e fruttuosa: gli offre una protesi di rame che gli permette di continuare a vivere una vita normale nonostante la disabilità acquisita.
Una storia vera e meravigliosa, realizzata con assoluta padronanza dagli animatori del Buratto che, utilizzando la splendida metafora del mondo animale, affronta nel contempo temi importanti e coniugati tra loro come quelli della diversità, della disabilità e dell’importanza di essere accolti, accettati.
La scienza e tutte le materie ad essa applicate hanno avuto quest’anno diverse esemplificazioni sul palco. Due gli spettacoli che ci hanno particolarmente coinvolto.
“Accross the universe” e “L’universo è un materasso”.
“Accross the universe”, del Teatro delle Briciole, con in scena i giovani Daniele Bonaiuti, Chiara Renzi e Riccardo Reina, imbastiscono un vero e proprio collage di quadri scenici, legati tra loro emozionalmente e concettualmente da libere associazioni di idee, che indagano, sotto diverse forme, il rapporto tra uomo e universo, attraverso una forma teatrale significante che mescola in modo intelligente l’alto e il basso, il dentro e il fuori, il finito e l’infinito, impastando la drammaturgia di poetica ironia.
Ne viene fuori una specie di zapping, molto vicino al pubblico di riferimento, che pone domande, suggestioni, composto in modo intelligentemente lieve su materie che spesso, al contrario, contengono concetti vissuti dai ragazzi come noiosi.
Ma quello che più conta, è che ogni spettatore viene invitato a guardare dentro di sé, a misurarsi con uno spazio che non riesce più a contenerci, e con un tempo che corre troppo velocemente, impedendoci di vivere la vita pienamente, in tutta la sua complessità e poesia.
Anche Flavio Albanese della Compagnia del sole, su testo di Francesco Niccolini, ci narra, in “L’universo è un materasso”, del tempo e della sua meravigliosa evoluzione, fin da quando si chiamava con un altro nome, Crono, ed era imperatore dell’universo, fino ad oggi che è quasi scomparso dalle leggi della fisica. Infatti l’uomo ha cominciato a comprendere che non solo le cose non sono come sembrano, ma probabilmente tutto, come in teatro, è solo illusione.
Narrato in mezzo ad un cielo trapuntato di stelle, l’attore sa rendere effervescente un testo intelligente, dialogando spesso con se stesso ma soprattutto con luci e voci che piovono dall’alto. In modo fervido, ma semplice e divertente, Albanese ci fa alla fine comprendere come noi esseri umani, che ci crediamo così potenti, siamo solo una piccola parte dell’universo.
Per i piccolissimi, un’età di solito abbastanza trascurata dal teatro ragazzi italiano, abbiamo scelto “Una storia sottosopra” del La Baracca di Bologna, affidata a Carlotta Zini, Andrea Buzzetti ed Enrico Montalbani, che ne cura anche la realizzazione grafica e i disegni.
La storia, raccontata senza parole in modo piacevole e leggero, è quella di due individui e del loro incontro. In scena un semplice trabattello di ferro bianco. I due “abitano” lui il piano terra, lei il primo piano, conducendo una vita separata, con l’unica eccezione delle visite del gatto rossiccio, che “frequenta” entrambi i piani e li mette, loro malgrado, in una indiretta comunicazione che farà cambiare la loro relazione.
E’ a questo punto che il favoloso trabattello, su cui si svolge lo spettacolo, come la scatola dei sogni, si apre e si trasforma, vestendo lo spazio scenico semplicemente di pezzi e rotoli di carta dipinti e magistralmente nascosti, che vengono srotolati.
Uno spettacolo delizioso sia per la forma, che per il contenuto, che parla di amicizia e di condivisione in modo semplice e poetico.
Ci piace qui sottolineare di converso uno spettacolo per un pubblico di solito ancora più dimenticato: quello adolescenziale.
In “Short Skin”, scritto e diretto da Massimiliano Cividati per Aia Taumastica, sei attori, attraverso situazioni spesso paradossali, soliloqui, confessioni disarmanti, si immergono in un vero e proprio percorso all’interno dell’adolescenza, non osservata però negli aspetti più gioiosi di un’età che ci trasporta in modo sereno dall’infanzia direttamente verso la giovinezza, ma come un’età vissuta con angoscia, piena di dubbi ed incertezze, piena di voglie inespresse.
“Short Skin”, con il suo linguaggio diretto, spesso urticante, risulta essere uno spettacolo “manifesto”, coraggioso, da proteggere in un progetto altamente condiviso, che deve essere “partecipato” tra adulti e adolescenti per guardarsi allo specchio e trarne le conseguenze e possibilmente le vie di uscita.
Ecco poi “Superabile”, realizzato dal Teatro La Ribalta–Kunst der Vielfalt (Accademia Arte della Diversità), diretta da Antonio Viganò, con la regia di Michele Eynard, uno spettacolo teatrale creato da una lavagna magica e quattro attori, di cui due in carrozzina. Teatro La Ribalta è infatti una compagnia teatrale professionista, di Bolzano, costituita da uomini e donne con e senza disabilità, che non dissimulano affatto la loro condizione, ma anzi, su di essa, fondano la loro essenza artistica.
“Superabile” in qualche modo ne rappresenta la carta di identità per la capacità che hanno i suoi protagonisti di mettere in scena, con semplicità, naturalezza e grande forza espressiva, la loro quotidianità, con i sogni, le difficoltà nel muoversi, ma soprattutto le necessità di non poter mai essere autonomi, incapaci di vivere una propria sana intimità, una situazione dove sempre gli sguardi degli altri sono pieni zeppi di pregiudizi e stereotipi.
Il tutto viene accompagnato dalle illustrazioni create dal vivo da Michele Eynard della compagnia Luna e Gnac, dentro le quali gli attori si muovono coerentemente a loro piacimento.
Come ogni anno infine ci piace scoprire nuove compagnie mai viste all’opera, ne abbiamo scoperte con piacere due, attraverso altrettanti spettacoli.
I pugliesi di Kuziba Teatro con “Vassilissa e la babaracca” e la compagnia pesarese Meccaniche Semplici con una versione assai interessante di Alice.
Kuziba ci racconta ancora una volta ma in modo esemplare, la famosa storia di Vassilissa, la bambina coraggiosa che viene mandata dalla matrigna a cercare il fuoco dalla Baba Jaga. Figurativamente splendida questa versione della fiaba russa( molto bravo Bruno Soriato, qui scenografo e anche attore, che si è ispirato chiaramente al mondo di Hieronymus Bosch per costruire tutti gli ambienti in cui si svolge la storia) che sa creare atmosfere di paura e speranza con pochissimi tratti dove le musiche di Mirko Lodedo e Francesco Bellanova sono fondamentali per catturare l’emozione dei bambini e dove finalmente un’attrice Annabella Tedone è una bambina e non fa finta di esserlo.
“Alice nella scatola delle meraviglie” della compagnia pesarese Meccaniche Semplici, invece, ci ha fatto gustare una delle più belle versioni teatrali del capolavoro di Carrol, una vicenda assai difficile da rendere scenicamente, nonostante le grandi suggestioni che provoca, e spesso considerata, data l’estrema carica surreale che contiene, poco adatta all’infanzia.
Clio Gaudenzi e Valeria Muccioli, che ha creato le portentose e malleabili scenografie dello spettacolo (piene di anfratti, uscite ed entrate, che proiettano la protagonista in un continuo dentro e fuori in mondi fantastici), si muovono a loro agio in un gioco teatrale vario e coinvolgente, insieme a tutti gli altri personaggi, che vengono serviti a dovere dal teatro di figura.