Il Flauto magico di Graham Vick e i 100 di Macerata

Il flauto magico|L'installazione We can be waves (photo: Alfredo Tabocchini)
Il flauto magico|L'installazione We can be waves (photo: Alfredo Tabocchini)

Portando in scena “Il Flauto magico” di Mozart al Macerata Opera Festival, Graham Vick compie (come anche Damiano Michieletto per “L’elisir d’amore”) un’operazione di cambio di contesto, ma lo fa nel senso di comporre un teatro d’opera partecipato, più del regista che dell’autore del libretto e del musicista.
Innanzitutto fa cantare l’opera in italiano e non in tedesco, perché sia comprensibile a tutti, poi coinvolge nell’allestimento 100 cittadini di Macerata, che spesso si interfacciano, anche recitando, con gli avvenimenti sul palco. E questo negli intenti ci pare molto positivo e, alla fine, la ragion d’essere del tutto.

La fiaba di Emanuel Schikaneder viene trasportata ai nostri giorni. I protagonisti vengono tramutati in diseredati che vogliono entrare nei tre templi del potere, a cui non hanno mai avuto accesso, proposti in altro modo dal libretto: la sede della Banca Centrale Europea, lo store dell’Apple e la Basilica di San Pietro, luoghi che, una volta osservati internamente, contengono svelamenti disdicevoli e armi di morte. Alla fine dunque precipiteranno inesorabilmente, perdendo tutti, anche l’illuminato Sarastro.
Solo l’amore dei protagonisti Pamina e Tamino, sembra dirci Vick, potrà condurci in un mondo migliore.

Nell’avvicendarsi degli eventi alcune cose dell’allestimento ci sono piaciute molto. Come il grande occhio di Pamina, letteralmente costruito dai cento cittadini di Macerata, o il rapporto che intercorre tra Pamina e la Regina della notte, con la figlia che cerca in ogni modo di assomigliare alla madre; e ancora il Drago, trasformato in ruspa, che assale Tamino; gli accampamenti ai lati del palco, che si fondono in modo congruo con il tutto, nelle belle scenografie immaginate da Stuart Nunn.

Meno ci è piaciuto l’impianto moralistico dato all’opera da Vick, che alla fine ci pare diventi più retorico della (pur sgangherata) fiaba massonica proposta da Schikaneder. Tutto è troppo invasivo: eccessivi i cambi di scena con fastidiosi rumori, belli i fuochi d’artificio che suggellano la conclusione dell’opera, ma che disturbano il meraviglioso finale.
Insomma, al contrario della regia di Michieletto, troppe cose invadono il piacere di ascoltare e di gustare in modo nuovo “Il Flauto magico”, che qui allo Sferisterio vive come esperimento partecipato di un regista visionario, piuttosto che come proposta di uno dei capolavori mozartiani.

Dal punto di vista musicale tutto ci è sembrato funzionare in modo positivo, a cominciare dalla direzione di Daniel Cohen, che ha debuttato allo Sferisterio alla guida dell’Orchestra Regionale delle Marche.
Molto bene il Tamino del comasco Giovanni Sala; corretta, anche se non stratosferica, nelle sue due arie famose la Regina della notte di Tetiana Zhuravel, buono anche il Papageno di Guido Loconsolo, e nel complesso soddisfacente la Pamina di Valentina Mastrangelo.
Meno ci ha convinto Antonio Di Matteo come Sarastro, alle prese con una delle arie più belle dell’opera “Qui sdegno non s’accende”, eseguita con evidente difficoltà.
Ottimo il Coro Lirico Marchigiano Vincenzo Bellini guidato da Martino Faggiani.

L'installazione We can be waves (photo: Alfredo Tabocchini)
L’installazione We can be waves (photo: Alfredo Tabocchini)

Tra gli appuntamenti teatrali organizzati intorno al festival, abbiamo anche apprezzato, al Teatro Lauro Rossi, “We Can Be Waves”, progetto vincitore del concorso Macerata Opera 4.0.
La bella e intrigante installazione con concept e regia di Matteo Marziano Graziano ci ha permesso di scoprire i luoghi più nascosti del teatro maceratese attraverso un percorso effettuato con cuffie wireless.
Questa riscoperta intima del teatro si accompagna alla riappropriazione, da parte dello spettatore, del proprio corpo e senso del tempo, che ognuno rischia di perdere a contatto con una vita sempre più tumultuosa. Ogni stanza, percorsa in diversi modi, pone lo spettatore davanti a situazioni, a prove, che lo inducono a riflettere sul senso del proprio essere, sulla possibilità di dedicare l’attenzione a mansioni in cui il tempo possa fermarsi, per offrirsi ad una dimensione di cura e di affezione anche verso le minime cose che ci circondano, e di cui rischiamo di non accorgerci, perdendone la preziosità.

IL FLAUTO MAGICO
Direttore: Daniel Cohen
Regia: Graham Vick
Scene e Costumi: Stuart Nunn
Coreografie (movimenti mimici): Ron Howell
Luci: Giuseppe Di Iorio
Assistente alla regia e ai dialoghi: Stefano Simone Pintor
Personaggi e Interpreti:
Tamino Giovanni Sala
Papageno Guido Loconsolo
Prima Dama Lucrezia Drei
Seconda Dama Eleonora Cilli
Terza Dama Adriana Di Paola
Astrifiammante Tetiana Zhuravel
Monostato Manuel Pierattelli
Pamina Valentina Mastrangelo
I tre Geni Ilenia Silvestrelli, Caterina Piergiacomi, Emanuele Saltari*
Oratore Marcell Bakonyi
Sarastro Antonio Di Matteo
Papagena Paola Leoci
Sacerdote/Armigero Marco Miglietta
Armigero Seung Pil Choi
con la partecipazione di 100 cittadini

Orchestra Regionale delle Marche e Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”
Martino Faggiani e Massimo Fiocchi Malaspina maestri del coro

Coproduzione dell’Associazione Arena Sferisterio con il Palau de Les Arts Reina Sofía di Valencia; in collaborazione con la Birmingham Opera Company

*Pueri Cantores “D. Zamberletti” (maestro Gian Luca Paolucci)

Visto a Macerata, Sferisterio, il 4 agosto 2018

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