Un atto di devozione verso la lingua italiana. La difesa di una tradizione che partendo da Dante, attraverso Boccaccio e Pasolini, arriva dritta ai giorni nostri.
È questo “La lingua langue”, il nuovo spettacolo di Francesco Frongia di scena all’Elfo Puccini di Milano fino al 25 novembre. Protagonista Nicola Stravalaci nei panni del professor Stravalcioni (da non confondere con il professor Strafalcioni, protagonista di una serie di libri per ragazzi che vogliano mettersi alla ricerca di errori strampalati su vari argomenti storici): Stravalcioni è qui curiosa crasi tra il nome dell’attore e quegli strafalcioni ortografici, semantici, sintattici che incombono sulla nostra attendibilità ogni volta che comunichiamo.
Alzi la mano chi non ha mai sbagliato un congiuntivo. Si faccia avanti chi ha la certezza di collocare articoli, accenti e apostrofi con l’acribia di un amanuense.
«Chi parla male, pensa male e vive male»: è ormai un aforisma la celebre battuta di Nanni Moretti in un film di trent’anni fa. Eppure la desuetudine a scrivere, la dimestichezza con l’errore grammaticale anche nel parlato, non guardano in faccia nessuno. Non risparmiano neppure i possessori dei titoli di studio più elevati. Sulla questione dell’analfabetismo di ritorno si sono ripetutamente spesi linguisti, semiologi ed eruditi, da Umberto Eco a Tullio De Mauro, fino all’accademico della Crusca Luca Serianni. Ma quanti sono prigionieri più o meno inconsapevoli di quella che Italo Calvino chiamò l’antilingua?
Un umorismo sottile. Un approccio sardonico. Una lezione interattiva semiseria, eppure accuratissima. Una riflessione sulla lingua nella sua complessità, non priva di sfumature psicologiche e sociali. Ad esempio, quanti di noi hanno paura di apparire maschilisti se premettono l’articolo “la” a un cognome femminile? O quanti temono di sembrare snob o asettici nel momento in cui evitano di farlo? E poi, attenzione alla virgola, soprattutto quando manca. Una frase come «Andiamo a mangiare nonna» preoccuperebbe molto Cappuccetto Rosso; e «La tratta delle ragazze dell’Est costrette a prostituirsi nel talkshow di Vespa» apre uno sipario inquietante sul noto presentatore televisivo e sui vertici Rai.
Una scuola strampalata. Una classe che non si vede ma c’è. Una cattedra vecchio stile in legno massello. Una lavagna girevole che quasi ti vien voglia di andarci dietro tua sponte, quando t’accorgi che quella cosa lì proprio non la sai. Il gessetto bianco. Il cancellino. E poi, dato che siamo nel terzo millennio, una tv che apre squarci di multimedialità 2.0. Perché l’istruzione sta pur sempre nell’armonizzare tradizione e innovazione, senza demonizzare la tecnologia. Infine, poiché l’autocompiacimento nella propria cultura sconfina spesso nel sussiego e questo nel sadismo, un frustino nelle mani di un prof che sembra un fantino. I cavalli da redarguire, anzi, da scudisciare, siamo noi. Che a volte dovremmo avere l’umiltà di riconoscerci un po’ asini. E sottoporci, tra ironia e masochismo, alla gogna didattica e pedagogica di un docente all’antica, dalla fisionomia da film felliniano.
A quali supplizi ricorrerà questo matto di scena pur di estorcere la risposta corretta? La campanella ci salverà da una brutta figura?
Stravalcioni, ossia la rivincita dei prof. Che la cronaca recente presenta arrendevoli, vittime del bullismo degli alunni o dell’arroganza dei genitori. E invece hanno anche armi inestimabili per essere credibili: la forza di una preparazione autorevole; la dialettica argomentativa; una buona dose di personalità.
Stravalcioni mette alla berlina i politici tromboni «che coniugano al futuro le proprie promesse anziché declinare al congiuntivo le proprie speranze». Non risparmia i presentatori televisivi, le celebrità del jet set. A proposito, stigmatizza il divampare dilettantesco dell’inglese e del burocratese, i modi di dire artefatti, l’eccentricità intellettualoide, la sciatteria grossolana. Con l’ausilio di un mega-dizionario che non è un mattone ma una cassapanca, una pietra tombale sulla crassa ignoranza, ci diverte con la potenza esplosiva del linguaggio.
Si sentiva anche su un palcoscenico, nel divampare delle drammaturgie sbrindellate, il bisogno un’ora di lezione dedicata all’italiano.
Se è vero, come affermava Galileo Galilei, che «il buon insegnamento è per un quarto preparazione e per tre quarti teatro», allora non perdete la conferenza di questo docente spiritato e spiritoso.
LA LINGUA LANGUE – una lezione del prof. Stravalcioni su come imparare l’italiano e vivere felici
scritto e diretto da Francesco Frongia
con Nicola Stravalaci
produzione Teatro dell’Elfo
durata: 55’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, l’11 novembre 2018