Kilowatt 2019: partecipare è normale. Le istruzioni d’uso teatrale di Luca Ricci

Luca Ricci durante Kilowatt 2019. Foto di Elisa Nocentini e Luca Del Pia|Kilowatt 2019 (photo: Elisa Nocentini e Luca Del Pia)|Kilowatt 2019 (photo: Elisa Nocentini e Luca Del Pia)|Shailesh Bahoran – Redouan Ait Chitt (photo: Luca Del Pia)
Luca Ricci durante Kilowatt 2019. Foto di Elisa Nocentini e Luca Del Pia|Kilowatt 2019 (photo: Elisa Nocentini e Luca Del Pia)|Kilowatt 2019 (photo: Elisa Nocentini e Luca Del Pia)|Shailesh Bahoran – Redouan Ait Chitt (photo: Luca Del Pia)

A pochi giorni dalla conclusione di un’edizione, la diciassettesima, che sembrava essere partita sotto cattivi auspici, con la bomba esplosa sui social che ha portato alla defezione di Romeo Castellucci e del progetto che stava costruendo ormai da sette mesi in dialogo col festival per aprire le danze della kermesse di quest’anno, riflettiamo su Kilowatt 2019 con Luca Ricci (direttore artistico con Lucia Franchi), su nove giorni in cui si è stati capaci di rilanciarsi, per creare delle occasioni utili per tutti: oltre che per gli spettatori, per coloro che in questo mondo, quello delle arti dello spettacolo, ci vivono, e cercano di continuare a farlo ogni giorno sempre più consapevoli del proprio ruolo e diritto a essere.

Prima di tutto… perchè “Partecipare è normale”, questo epigramma ideale a corollario di questa edizione?
È un claim che vuol dire tante cose, e anche per questo ci ha convinto: alla fine i messaggi che dai è bene che possano risuonare in modi diversi a seconda del vissuto e delle esperienze di chi li legge.
Da un lato vuol dire che è importante prendere parte, e dentro c’è anche lo schierarsi, prendere la propria parte; dall’altro penso che sia giunta l’ora di dire alle persone, in un festival che ha fatto della partecipazione la sua identità, che è divertente essere parte di qualcosa piuttosto che stare a guardare dai margini con diffidenza. Ed è appunto normale, che è una parola molto ovvia, semplice, diretta, comprensibile a tutti. Anche senza che si realizzi un progetto straordinario per coinvolgere le persone, forse è proprio normale, umano partecipare, e conviene anche a te farlo.

Anche se questa edizione sembrava essere partita col piede sbagliato, con il caos nato all’improvviso sui social.
Penso che tutta la comunicazione che si può fare con questi mezzi sia una straordinaria opportunità del nostro tempo, non penso che debba essere vista solo nei suoi aspetti negativi. Credo che quando, per amore della precisione, per cercare di migliorare chi ti è vicino, finisci per generare un effetto da fuoco amico, credo che quella sia una sconfitta per tutti: per chi viene ferito, in questo caso noi, e per chi colpisce, perché probabilmente non era neanche quello il suo intento.
È una sconfitta per chi si trova nel mezzo, in questo caso Romeo Castellucci, che si è trovato in mezzo a questa confusione, e ha preferito sottrarsi.
È una vicenda emblematica del peso delle parole che utilizziamo e di come possano generare anche conseguenze di questo tipo. La scelta di Romeo di interrompere, di farsi interruttore di questa vicenda, è una scelta che chiaramente a noi ha deluso molto, ma ha dato peso specifico a tutta questa vicenda, perché altrimenti sarebbe stata un’ennesima piccola polemica da social. Per questo gli sono grato, per averci fatto riflettere su quanto le cose che scriviamo, le adesioni o i dissensi che esprimiamo, anche in questo mezzo che appare così lontano dalla realtà, poi ricadano proprio sulla realtà: è la forza di questo strumento.

Da questa “caduta” avete cercato di generare una “risalita”…
Abbiamo provato a fare di questa sconfitta – perché tale è – un’occasione generativa, attraverso un convegno che è stato molto stimolante: ha avuto 5.000 visualizzazioni della diretta streaming, oltre alle molte persone che hanno affollato la sala, che sono venute appositamente a partecipare, se vuoi come testimonianza, come segno di sostegno al festival, oltre che per interesse rispetto ai temi che sono venuti fuori…
Quella giornata è stata bella, perché posso dire che i relatori sono stati capaci di portare i temi esplosi in quei due-tre giorni a un carattere più generale, che interessa a tutti, trattandoli in modo teorico e allo stesso tempo empirico, elevato ma anche divulgativo. Ho imparato anch’io molte cose in quelle 6 ore… Ma non abbiamo parlato della vicenda, abbiamo volato molto più in alto: del nostro mondo teatrale, culturale, coreografico… inserito in un ragionamento generale, del nostro Paese, del nostro tempo, degli stereotipi che ci abitano, del tipo di linguaggio che parliamo, perché spesso ci rinchiudiamo in una dinamica molto ombelicale.
Questa occasione ci ha offerto l’opportunità di riflettere sul nostro mondo, ma con uno sguardo largo e lungo, che spero non finisca qua, che qualcun altro raccolga, divenendo una riflessione che possiamo continuare a fare insieme: c’è tutto un ribollire che abbiamo visto aprirsi, e che ha bisogno di essere portato avanti.

Si ha bisogno forse di una visione che sia di nuovo comune, di un primo mattone per costruire una cammino da intraprendere insieme…
Non credo che ci sia stato dolo da parte nessuno in questa vicenda, è probabilmente scoppiata nelle mani a tutti noi; poi, quando si genera un fuoco amico si perde tutti, questo senza dubbio; dopodiché utilizziamola come occasione generativa. Credo che il centro di tutta questa vicenda sia la lingua, la nostra lingua.
C’è stato uno spettacolo di Elena Bucci che si chiama “Nella lingua e nella spada”: raccontava la vicenda molto nota di Oriana Fallaci e Panagulis, e di come le parole possano essere forti come spade, e modificare la realtà.
Abbiamo alle volte la sensazione che questo mezzo che abbiamo tutti in mano, attraverso gli smartphone e via dicendo, sia altro rispetto al reale; invece, è un pezzo del nostro reale, è un pezzo del nostro mondo; uno strumento, e come tale va maneggiato con la cura che merita, con una consa-pevolezza, una alfabetizzazione nuova, che noi non abbiamo, perché son cose che ci vengono gettate addosso nel sistema dei consumi che ci genera bisogni nuovi, e non ci vengono mai forniti gli stru-menti di addestramento per farlo: è come se fossimo dei bambini rispetto a questi mezzi. Dobbiamo imparare, ma sono certo che ci arriveremo.

Kilowatt 2019 (photo: Elisa Nocentini e Luca Del Pia)
Kilowatt 2019 (photo: Elisa Nocentini e Luca Del Pia)

Rendiamo normale il dialogo.
Certo, anche il dissenso, perché anche il dissentire è legittimo, però ci sono molti modi per dissentire, e soprattutto capire con chi lo stai facendo, e che tipo di parole usare… In questa vicenda, che parte da una leggerezza nostra, c’è una svolta centrale in cui certe parole vengono usate con uno scopo affilato, e forse è da lì che la vicenda prende tutta un’altra strada, proprio perché la discussione lanciata è solo interessante. Per questo l’abbiamo voluta raccogliere tutta, e approfondire: parlare di stereotipi di genere, di condizione del lavoro nel nostro settore, di come comunichiamo, questo è solo un valore.

Torniamo a “Partecipare è normale” e alle sdraio del Dopo-festival al Giardino alla Misericordia…
Sul tema piazza sono molto contento, perché è proprio la goccia che scava la roccia, nel senso che ho avuto la sensazione che quest’anno più che mai si sia modificata la percezione del territorio nei confronti del festival. Kilowatt viene sempre visto come il festival dei Visionari, e siamo contenti che tale sia; però i Visionari sono una comunità che ha coinvolto 180 persone in 12 anni con un risultato straordinario, perché non è coinvolgerli per un giorno, ma per nove mesi a fare un lavoro enorme: vedere 245 video solo quest’anno… Ma 180 non sono i 16.000 di Sansepolcro… Ovvio, 180 sono irradianti. Per arrivare invece a 16.000 c’è molto lavoro da fare, e ci sono, come ogni volta che si affrontano le lingue del contemporaneo, delle resistenze, su cui continuamente anche noi lavoriamo. Ed è importante poterci lavorare, e per farlo devi usare tante lingue, mantenendo la qualità di ciò che si propone. Le persone hanno paura del linguaggio del contemporaneo, vanno spesso in questi luoghi, se ci vanno, come se si andasse a un esame, non avendo studiato. Invece, quello che gli dobbiamo raccontare è che quelle cose possono parlare anche a loro, e che non c’è la risposta giusta, ma che semplicemente tu, come essere umano, hai già, appena nato, tutti gli strumenti per stare di fronte a delle opere d’arte.
In tutto questo, le sdraio sono un modo per creare confidenza, consuetudine, in un’azione che viene da lontano: per questo parlavo della goccia che scava la roccia…

Kilowatt 2019 (photo: Elisa Nocentini e Luca Del Pia)
Kilowatt 2019 (photo: Elisa Nocentini e Luca Del Pia)

Tra i convegni, c’è stato anche quello in cui avete parlato dei vostri progetti.
Più che altro abbiamo voluto fare il punto, non perché siano cose nuove, perché di fatto l’Italia dei Visionari esiste da cinque anni, come estensione del nostro format dei Visionari ad altri teatri, 9 in Italia ad applicarlo. È una cosa partita un po’ in sordina, e ora si è creata una rete e facciamo un bando tutti insieme, con gli artisti che possono essere invitati da ciascuno di essi.
Abbiamo anche presentato la nuova edizione di Be SpectACTive! Un caso quasi unico in Europa, il progetto è stato riconfermato dalla commissione europea per un altro quadriennio: in tutta la storia del programma cultura credo che sia una cosa se non unica comunque rarissima, che per due quadrienni venga rifinanziato un progetto su larga scala.

Un’ultima riflessione su ciò che vi porterete dentro, di forte e simbolico, di questa edizione.
È una sensazione, un momento di questo festival… Domenica sera, allo spettacolo di Shailesh Bahoran e Redouan Ait Chitt, che malgrado i nomi sono entrambi olandesi… Due lavori brevi, di danza contemporanea, estremamente stratificati, e allo stesso tempo estremamente umani: Redouan ha un corpo straordinario, bellissimo, con alcune estremità completamente rovinate – se così possiamo dire -, un handicap notevole su una gamba, un braccio… ma ha fatto di questo pezzo, e oserei dire di questa vita, uno straordinario manifesto di forza, senza un briciolo di pietà, anzi di pietismo. Il pezzo parte proprio con lui che illumina il proprio handicap, una mano con tre dita, l’altra con altre tre dita, una gamba completamente martoriata… e finisce con uno sguardo di fierezza totale, assoluta, di forza, di bellezza interiore; ed è stato l’applauso più bello di tutto il festival, il messaggio più forte, perché è insieme umano ed estetico, per uno spettacolo bellissimo, elegante, senza nessuna concessione alla pietà; o meglio si entra con la pietà, e si finisce con: “Wow! Voglio essere come lui”.
Ecco, per me, questa modificazione dello sguardo, che ci fa vivere, è forse il ricordo più forte che mi porterò dentro di questa edizione, perché è esattamente ciò che un festival deve fare: farti vedere ciò che guardi con uno sguardo consueto, abitudinario, e all’improvviso fartele ribaltare, divenendo il suo contrario, e molto di più. In un’esperienza che è tutta estetica, che sta dentro la bellezza, la capacità che è dell’arte di creare mondi.

Shailesh Bahoran – Redouan Ait Chitt (photo: Luca Del Pia)
Shailesh Bahoran – Redouan Ait Chitt (photo: Luca Del Pia)
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