Il tormentato personaggio di Johann Christian Woyzeck di Büchner deve interessare molto a Claudio Morganti (“La prima volta che lessi Woyzeck, ormai molti anni fa, fu come uno spaventoso immoto cataclisma”) se il regista e attore, dopo averlo attraversato in vari modi (ricordiamo ad esempio “Woyzeck” e “Ombre Wozzeck“), torna ad interrogarsi ancora una volta su di lui con “Il Caso W.”, per la drammaturgia di Rita Frongia.
Lo abbiamo visto a Torino con un nutrito cast di valentissimi attori.
Johann Christian Woyzeck, prima ancora di essere un personaggio di un’opera teatrale dello scrittore tedesco, fu un uomo realmente esistito, un barbiere disoccupato e senzatetto di Lipsia, decapitato nel 1824 per aver accoltellato, tre anni prima, la sua amante Johanna Christiana Woost. La Corte chiese al dottor Clarus, autore di una prima perizia, di approfondire il caso, su richiesta della Difesa, che aveva chiesto una controperizia, auspicando che divenisse processuale, ma la Corte rifiutò. Il dottor Clarus fu l’unico perito del processo e dichiarò l’imputato sano di mente; Woyzeck venne così giustiziato.
Il dramma di Büchner, composto secondo la tecnica delle brevi scene staccate, fu scritto tra il 1836 ed il 1837, rimanendo incompiuto a causa della sua prematura morte. Andato perduto per diversi anni, ricomparve nel 1879 per merito delle ricerche di Karl Emil Franzos, dove si presenta come Wozzeck, lo stesso nome che utilizzò anche il compositore Alban Berg per il suo meraviglioso capolavoro musicale, la cui prima avvenne il 14 dicembre 1925 allo Staatsoper Unter den Linden, diretto dal grande Erich Kleiber.
Rappresentato per la prima volta nel 1913 a Monaco, Büchner fa del protagonista un soldato, costretto a sottoporsi da un sedicente dottore a degli esperimenti per guadagnare qualche soldo, così da poter mantenere la fidanzata Maria, considerata da tutti come una prostituta perché con un figlio e non sposata.
Per il paese ad un certo punto passa la banda militare, con il tamburmaggiore in testa, che flirta con Maria, ingelosendo Woyzeck, schernito pesantemente dal capitano dell’esercito. Preso da continue e diverse ossessioni, tra realtà e immaginazione, alla fine l’uomo uccide Maria.
Morganti è quindi stato affascinato da quest’opera così straordinariamente anticipatrice nella forma e nei temi sia del naturalismo (l’uomo condizionato dall’ambiente e dalla classe) ma soprattutto dell’espressionismo, per la sua cupa violenza intrisa di epica poesia.
Ne “Il Caso W.” Rita Frongia intende dare una nuova chance al personaggio di Woyzeck, istituendo in scena quel processo che non gli fu mai accordato, e ponendo agli spettatori una domanda lacerante: chi fu giustiziato? La scimmia inabile o l’uomo sano di mente?
Eccoci dunque, nello spettacolo di Morganti/ Frongia, proiettati direttamente nel tribunale. Al centro della scena disadorna la sedia per l’interrogatorio, su cui sfileranno ad uno ad uno i testimoni. In fondo, la cattedra del giudice, lo stesso Morganti, e vicino a lui è posto il tavolo del cancelliere (Massimiliano Ferrari), con alla destra l’accusa (Gaetano Colella) e a sinistra l’avvocato della difesa (Francesco Pennacchia).
Ogni personaggio è nominato anche con il nome del suo interprete, mentre in alto giganteggia la frase: “La legge è uguale per tutti”, dove la parola tutti si staccherà all’improvviso per scomparire. In mezzo ai due avvocati, curvo su una sedia, vestito da soldato ottocentesco, c’è Woyzeck, interpretato da Gianluca Balducci. E’ lui che dovrebbe essere il protagonista del tutto, ma per tutto il tempo dello spettacolo Woyzeck sembra non esserci, nemmeno nel nome c’è, esiste solo quella piccola lettera W, e tutti quelli che gli si pongono intorno – a cominciare dal giudice, fintamente bonario – sembrano interessati ad altro, men che meno al suo destino, già segnato.
L’avvocato dell’accusa sembra assente, più interessato alle caramelle che scarta continuamente, sempre in lite con quello della difesa, non sulla sostanza dei fatti ma soprattutto sulle procedure formali, pur dichiarando di trovar compassione per quell’uomo, una “compassione umana non deve però impedire alla Giustizia di manifestarsi nella sua sacralità”.
L’avvocato della difesa si presenta con un tutore che gli tiene fermo il collo, pare, slogatosi durante un ballo troppo sfrenato, che si confessa dicendo “beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno giustiziati”; c’è poi il cancelliere, che si intuisce non saper nulla del cerimoniale a cui dovrebbe essere preposto, che attraversa goffamente la scena con in mano i fogli di un protocollo di cui non conosce forse neppure i termini.
I testimoni non sono da meno per pressapochismo: la ballerina musa del locale (Isadora Angelini) dove si recava l’imputato, la madre di Marie (Paola Tintinelli) su sedia a rotelle, che inveisce continuamente sulla figlia chiamandola “cretina” perché si è innamorata di quel Tamburmaggiore, che tra l’altro si presenta pure lui tra i testimoni (Luca Serrani) nel suo tronfio aspetto di improbabile sex simbol dei poveri. C’è poi un veterano militare, collega dell’imputato (Gianluca Stetur) coperto di bende.
Ma se Woyzeck è mentalmente labile come faremo a saperlo, se nessuna diagnosi medica viene posta in essere? Se non ne percepiamo nemmeno la presenza, e se alcuna parola plausibile è detta in sua difesa?
Solo alla fine rivedremo il protagonista che, in modo incerto, si alzerà, trascinandosi dietro la sedia e lasciando le catene per terra, se ne andrà preceduto dalla candida immagine spettrale di Maria, affidata alla stessa Frongia.
Tutto scorre in modo impercettibile nello spettacolo, tutto rimane – tra commedia e tragedia – sospeso in un’aura in cui il dramma dell’ingiustizia e della violenza verso un essere umano non compare mai in modo diretto e sanguigno. E’ una scrittura sapiente quella di Rita Frongia, che abbiamo molto amato nella Trilogia del Tavolino: lì il male e il mistero del vivere si percepiva vigoroso e tagliente; mentre qui, nel gioco pur perfetto del teatro, manca qualcosa di forte, che ci possa in qualche modo toccare nel profondo, e riesca a renderci partecipi delle miserie di un’esistenza profondamente colpita da un destino avverso e crudele.
Il caso W.
regia Claudio Morganti
di Rita Frongia
con Isidora Angelini, Gianluca Balducci, Gaetano Colella, Massimiliano Ferrari, Rita Frongia, Claudio Morganti, Francesco Pennacchia, Luca Serrani, Gianluca Stetur, Paola Tintinelli
produzione Teatro Metastasio di prato, TPE
durata: 1h 30′
Visto a Torino, Teatro Astra, il 15 gennaio 2020