Nel buio di sala la luce dell’abitacolo di una vettura allerta lo sguardo. Il conducente litiga con il meccanismo di accensione. Una. Due. Tre volte. Poi uno scoppio dal tubo di scarico. L’uomo si rassegna. Sbadiglia. E si addormenta.
Sulle note de “La Cenerentola” di Rossini, “Un soave non so che, In quegli occhi scintillò. Io vorrei saper perché, Il mio cor mi palpitò”, placidamente entrano dalla platea quattro personaggi, e quando lo raggiungono, il palcoscenico s’illumina di una luce notturna.
Sembrano figuri di un circo ottocentesco, un venditore di sigarette da cabaret in cilindro e logoro frac, un gentiluomo similmente abbigliato, una fanciulla e una dama biondissima con gabbia per uccelli e cappelliera. Tutti recano bagagli e si installano attorno all’unico elemento scenico di questo minimalissimo allestimento: un furgoncino Volkswagen anni Sessanta, che una volta doveva essere stato azzurro cielo, ma adesso è arrugginito e ormai casa di muschi e licheni.
Entriamo così nel ‘Sogno’ di Dan Jemmett che, con il suo “Je suis invisible!”, presentato in prima assoluta al Théâtre de Carouge di Ginevra nella primavera del 2019, e ora riproposto in video, raggiunge quasi la decina di ‘attraversamenti’ shakespeariani nell’arco di un ventennio. Una frequentazione sui generis poiché quasi esclusivamente occorsa in lingua francese nelle mani di un regista britannico. Intenzionalmente esule per mettere una distanza, ed esplorarne le potenzialità alla maniera continentale.
Ma non è solo questa la peculiarità dello Shakespeare di Jemmett. C’è una narrativa, che è anche narrazione non solo nel senso teatrale, ma esistenziale del termine, che lo accompagna. L’estetica shakesperiana di Jemmett è, come risultava già particolarmente evidente e quasi da repertorio in “Shakes” del 2002, tutta giocata su uno scavo biografico che si trasforma in prodotto teatrale.
Sono sempre memorie d’infanzia, o d’adolescenza, cartoline vintage, dischi in vinile, ‘ricordi del cinematografo’, vecchie canzoni, a nutrire un’esperienza teatrale di narrazione che viene prima della messa in scena.
Come racconta nelle note di regia, il cortocircuito autobiografico di questo specifico lavoro intreccia “Io sono invisibile”, che Oberon sussurra al pubblico quando vuole sottrarsi allo sguardo degli amanti, e il ricordo di un vecchio film americano del 1940, “che mio padre amava molto”, “My Little Chickadee”, con Mae West e W.C. Fields. E’ così che le due star di Hollywood, immortalate nella lunga sequenza iniziale su un treno in corsa sui binari del Far West, si sono piano piano trasformate nella royal faerie couple.
Un teatro di narrazione al contrario, quasi diaristico. E molto corale. Non sono mai molti gli attori, tuttavia. Nel caso di cui raccontiamo sono solo cinque — quanti sono gli ‘artigiani’ nella foresta-sala prove. Il che aderisce pienamente alle esigenze originarie del plot, giacché la sovrabbondanza di coppie consente spesso di riutilizzare gli attori. E così il conducente appisolatosi, quando si sveglia all’improvviso, altrettanto repentinamente diventa il duca di Atene. Il che avviene non appena entra nel suolo del ‘sogno’, ovvero quando esce dal suo veicolo…
Gli attori entrano ed escono da questo furgoncino, che è quasi una macchina del tempo, e così facendo entrano ed escono dai ruoli. E in quello che sembra essere un campìng (da leggere alla francese) un po’ fatiscente, o il backstage di un circo d’epoca, si avvicenda la triplice plotline.
Una colonna sonora come sempre impeccabile, che spazia da The Ink Spots, “We Three”, per presentare il mondo delle fate — una sola, qui, e un po’ infelice, a Jack La Forge, “Cleopatra Kick”, per il numero di prestidigitazione che Mae-Titania, presto addomesticatrice d’asini, opera sul bambino conteso con W.C.-Oberon.
E poi Roy Orbison, “Beautiful Dreamer”, mentre la bionda regina si addormenta sotto una costellazione di lumicini; Winifred Atwell, “The black and white rag”, per il numero di tip tap che ci regala il più mansueto Puck della storia; Blondie, “The Tide is High”, mentre i giovani dormono e il succo del fiore d’amore fa il suo lavoro di magia; Fred Astaire, “Cheek to Cheek”, quando la dama-regina si riconcilia con il suo gentiluomo-re, e Sam Cooke, “Cupid”, quando il conducente rientra nell’abitacolo e riprende a dormire. Uscito questa volta dal suolo del sogno nei panni di Bottom, all’indomani di un altro spettacolo e di un altro risveglio…
Je vous prie, pas d’épilogue…
Notre pièce n’a pas besoin d’excuses
Mais ne vous excusez jamais
Car quand tous les acteurs sont morts
Nul besoin d’excuse,
Ni de blâmer qui que ce soit
Je suis invisible! D’après Le Songe d’une nuit d’été de William Shakespeare
Metteur en scène Dan Jemmett
Avec David Ayala, Valérie Crouzet, Camille Figuereo, Mathieu Delmonté, Joan Mompart
Traduction et collaboration artistique Mériam Korichi
Scénographie Dick Bird
Lumière Arnaud Jung
Costumes Sylvie Martin-Hyszka
Assistante costumes Magali Perrin-Toinin
Perruquière Véronique Pflüger
Accessoires Georgie Gaudier
Régie générale Denis Tisseraud Passation
régie Thierry Capéran
Production Les Monstres de Luxe
Producteur délégué Le Théâtre de Nîmes – scène conventionnée d’intérêt national – art et création-danse contemporaine
Coproduction Théâtre de Carouge, Le Théâtre National de Nice – CDN Côte d’Azur, Les Bords de Scènes Spectacle
créé en mars 2019 au Théâtre de Carouge
Si ringrazia Jane Carton per avere condiviso le riprese di Bruno Ochoa durante una delle repliche di debutto nella primavera del 2019 al Théâtre de Carouge di Ginevra
durata: 1h 50’