Dopo un po’ di assenza (e un articolo in lavorazione che mai verrà ultimato), il Troll del Teatro stava scrivendo ben due articoli: uno riguardo Luca Barbareschi (e il Teatro Eliseo) e uno riguardo l’assegnazione di alcuni teatri romani tramite bando.
Ora questi articoli sono nel frigo, ad ammuffire, vicino ad un mezzo limone rinsecchito e un barattolo di capperi.
Dopo questo periodo, quando lo riapriremo, cosa ritroveremo in quel frigo? Cosa sarà ammuffito e cosa ancora commestibile?
E poi, siamo così sicuri che, quando abbiamo chiuso il frigo, le cose che avevamo dentro fossero tutte fresche e non ci fosse già molta roba ammuffita?
Il giorno il cui lo potremo riaprire, dovremo ripulire un po’ dalla muffa i formaggi, tagliare i pezzi verdognoli e far mangiare i nostri commensali o buttare e ricomprare tutto?
E se il frigo non si aprisse più?
Ipotizziamo che i teatri non aprissero più: chi si lamenterebbe, chi scenderebbe in piazza (oltre a noi teatranti, è ovvio)?
Siamo sicuri che qualcuno sia disposto a lottare per noi o assecondare la nostra lotta?
Siamo sicuri che stiamo mancando a qualcuno?
In questi anni cosa abbiamo creato? Cosa abbiamo coltivato?
Quanta muffa abbiamo coltivato il quel frigo? Quanta roba andata a male abbiamo nascosto dietro i i tubetti di maionese e salsa barbecue?
Molti teatri hanno iniziato a fare una programmazione online: penso che siano gli unici che, offrendo un servizio sul web, non abbiano avuto problemi di sovraccarico dei server. Come mai?
Ora come ora siamo impegnati a restaurare lo status quo e a domandarci quando riprenderemo, quando quel frigo si potrà riaprire; ma siamo sicuri che, sia artisticamente che economicamente, siamo stati in grado di non “andare a male”?
C’è gente che già sgomita per prendere più o meno i finanziamenti di prima, senza domandarsi se quei finanziamenti hanno senso o se lo avranno o soprattutto se lo avevano.
Ci sono artisti che già fanno di tutto per farsi vedere, senza domandarsi da chi e perché.
Soffrono un silenzio forzato, senza domandarsi se le loro parole prima arrivassero a qualcuno.
Siamo certi che dobbiamo guardare avanti e non indietro? Guardare al futuro e non ragionare sul passato? Guardare alla fase 2 anziché alla fase -2?
Anche ridistribuire in maniera differente i finanziamenti, per aiutare chi in questo periodo ne soffre, è pensare al futuro; eppure sembra che nessuno si domandi come mai siamo arrivati a questo punto.
Per la natura del nostro lavoro, dovremmo essere i più abituati ad un periodo di fermo o di stasi: un artista non DEVE (e non ho scritto dovrebbe) produrre sempre, ma lo dovrebbe fare quando può e sa di potere. Per la natura “intermittente” del nostro lavoro, il nostro equilibrio economico dovrebbe essere il meno intaccato; ma per la maggior parte dei nostri colleghi non è così.
Chi detiene i finanziamenti o i pochi soldi che girano? Chi produce! Cioè chi dovrebbe puntare sugli artisti, chi dovrebbe cercarli per dare vita ad un prodotto. Invece per anni sono stati gli artisti a cercare chi li distribuiva, li faceva andare in scena o li pagava o chi doveva vedersela con il pubblico.
Lo Stato da anni finanzia il teatro e non investe sulla cultura.
La differenza tra investire e finanziare qual è?
“Finanziare” vuol dire assumersi l’onere di colmare i passivi di industrie o settori economici ritenuti di pubblico interesse, perciò pagare le perdite e quindi le industrie artistiche devono produrre e giustificare le spese.
“Investire” implica invece impiegare utilmente somme di denaro in capitale o in imprese fruttifere.
Ma noi siamo un’impresa fruttifera? Economicamente non ne parliamo nemmeno, ma culturalmente cosa costruiamo? Su quale immaginario operiamo?
Il pubblico non c’è (più), i giornali cartacei hanno quasi tutti ridotto o eliminato le pagine dedicate al teatro e noi ci preoccupiamo, quando riapriranno i teatri, di quanti spettatori potranno entrare, senza pensare a come li apriremo, e se alla tavola presenteremo ancora le stesse pietanze ammuffite che nessuno mangia più… o se saremo in grado di andare a comprare pietanze fresche e cucinarle per qualcuno.
Ma cucinare le pietanze e fare la spesa, a chi spetta? Ai distributori? Ai produttori? Ai teatri? Ai festival? Allo Stato? Ai critici? Ai consessi di formazione del pubblico? Agli uffici stampa? …O agli artisti?
grazie mille Salvatore
Visione reale, bravi. Grazie. Quando si trovano gli stessi pensieri si prova un senso comune, appartenenza senza domini. Non è così semplice comprendere il grande cambiamento che sta avvenendo. In questo guazzabuglio vince chi vede e pratica l’alternativa dell’opportunità senza lamentele. Chi ha, sa. Chi non sa, non ha. Chi mantiene rotta e coraggio. Tutto torna e nulla accade per caso. Il mio rapporto con lo spettacolo, l’arte dialogata, la reciprocità della rappresentazione palco platea è ciò che sento, vocazione, mestiere, Inizia tutto da bambino grazie al fatto che a casa mia si mangiava pane e teatro, soprattutto avanguardia, quella autentica che ti protegge, ti tiene sempre in forma, la vera palestra dell’artista. Oggi il mio essere uomo di teatro si è allargato, finalmente, al cinema concretizzando una passione. Vi partecipo che ho pubblicato per qualche giorno il mio primo lungometraggio, sperimentale, su YouTube. Il titolo è Esame di Lealtà, 2019, 85′ Questo è il link https://youtu.be/YHfQgylxa3g . Vi invito a guardarlo. Sono a Vs. disposizione per parlarne. Se visitate https://www.facebook.com/turi.greco leggete le fasi di questa esperienza e alcuni commenti. Se vi piace condividete, dite! Cordiali saluti da Catania. Salvatore