Nasce AssoDanza Italia, nuova realtà per tutelare le scuole di danza

Miriam Baldassari
Miriam Baldassari

Il momento di emergenza che stiamo attraversando, oltre ai tanti interrogativi e successive riflessioni che ha innescato riguardo lo statuto dello spettacolo dal vivo e la sue possibilità e modalità di rimanere in vita, ha portato allo scoperto anche la fragilità delle figure professionali che si muovono in questo settore, il loro scarso riconoscimento e la lacuna delle tutele, a volte addirittura inesistenti.

Proprio riguardo le problematiche intorno ad alcune di queste figure, in particolare i proprietari, che spesso sono anche direttori, e gli insegnanti delle scuole di danza, abbiamo intervistato Miriam Baldassari, presidente della neonata associazione AssoDanza Italia.

Per iniziare, raccontaci cos’è una scuola di danza privata e come si colloca giuridicamente.
Le scuole di danza sparse sul territorio, secondo una raccolta dati abbastanza empirica, risultano essere 30.000. Chiaramente il bacino di utenza è enorme; secondo i dati del CONI si parla di oltre 2.000.000 di praticanti della danza. La forma più comune di assetto giuridico è l’Associazione Sportiva Dilettantistica, una identità che le scuole di danza hanno sposato per la necessità di ottenere dei benefici dal punto di vista retributivo per gli insegnanti di danza, dal punto di vista fiscale per avere una gestione sostenibile. Questo ha fatto sì che le scuole di danza entrassero nel mondo dello sport, anche se la danza è altro; condivide con lo sport l’allenamento, che spesso avviene in contesti anche sportivi come centri e palestre, ma contiene un aspetto culturale e pedagogico che la differenzia in maniera sostanziale.

Cos’è successo nel vostro mondo con lo scoppio dell’emergenza Coronavirus?
Che questa ibridazione forzata è saltata macroscopicamente agli occhi. Nel form di compilazione presente sulla piattaforma Sport e Salute per la richiesta del bonus erogato dallo Stato alle figure professionali che gravitano nel mondo sportivo, tra tutte le diciture relative alla varie discipline sportive l’insegnante di danza non compariva, una identità completamente trasparente. C’erano istruttori, tecnici, dirigenti… ma questa figura non era contemplata. E’ stato un passaggio molto delicato, che ci ha messo di fronte in maniera un po’ brutale al fatto di essere invisibili come categoria.
Usando gli strumenti attuali di comunicazione, quindi chat e videochiamate, insegnanti e direttori di scuole di danza si sono radunati, confrontandosi su come affrontare l’emergenza. E’ nato così un primo movimento spontaneo chiamato Danza e Sport Italia, perché appunto accomunava questa realtà ibrida delle scuole di danza che sono sì dentro il macro contenitore sport, ma che presentano tante differenze da quelli che sono gli sport canonici. Abbiamo presentato una prima petizione con oltre 3500 firme “vere”, non raccolte tramite social ma secondo una procedura che contempla la produzione di documenti; questo ci ha portato all’attenzione immediata di diversi politici sia di maggioranza che di opposizione. Siamo rimasti favorevolmente colpiti da questo interesse, evidentemente le istanze che portavamo come settore danza erano credibili e corrette: ci hanno supportati.

Siete quindi arrivati a formalizzare il movimento in un’associazione vera e propria.
Sì. AssoDanza Italia nasce non con la finalità della promozione ma con quella della tutela. Il suo codice Ateco specifico riguarda la tutela dei diritti dei cittadini. Questo ci differenzia dagli Enti di promozione Sportiva, che stanno facendo molto ma su larga scala. Sono oltre 380 le discipline sportive che appartengono al CONI, di cui la danza è una e oltretutto con caratteristiche così peculiari da non poter rientrare nella trattazione totale riservata alle altre.
Noi vogliamo agire nella tutela di due fasce di lavoratori: i proprietari di scuole di danza, che si trovano in questo momento a fronteggiare difficoltà economiche enormi, legate agli affitti, alle utenze, alle tasse, agli oneri, e gli insegnanti di danza, affinché possano essere considerati insegnanti appunto e non istruttori, perché il loro lavoro riguarda anche la pedagogia, la cultura, la psicologia, la gestione delle emozioni: sono educatori, e da oggi lo vogliono poter fare a testa alta con una figura professionale ben individuata che Assodanza Italia, nello specifico, ha già iniziato a tutelare nelle dovute sedi governative, amministrative, sindacali. Assodanza vuole essere il contenitore di rappresentanza che mancava.

Che organizzazione vi siete dati?
Mi piace dire che siamo nati ora ma siamo nati già grandi. Abbiamo una copertura capillare sul territorio con un comitato regionale, attivo con uno o più rappresentanti, in ogni regione di Italia; questa capillarità ci sta permettendo di dialogare con le amministrazioni locali per trovare risposte concrete per l’emergenza e la ripartenza, definire dei parametri a livello regionale e comunale che possano tenere conto delle differenze territoriali.
Abbiamo poi un direttivo composto da nove persone, un Vice Presidente Vicario, la maestra Federica Comello, che è del Friuli Venezia Giulia dove dirige tre centri di danza, Venusia Maria Grillo, il nostro Vice Presidente siciliana, e poi ci sono io come Presidente e responsabile della regione Lazio; diciamo che, a livello di organi rappresentativi, abbiamo coperto tutta l’Italia da Nord a Sud. Siamo una forza, lo dico con grande orgoglio, perché fare tutto questo con videoconferenze, messaggi, chat, senza poterci incontrare fisicamente e rimanere uniti è stato veramente un bel miracolo: è il miracolo la danza. Nel giro di 10 giorni più di 1500 scuole si sono affidate a noi, una chiara dimostrazione dell’esigenza di veder portare avanti quelli che sono i nostri obiettivi.

Cosa chiedete nel breve periodo, per questa ripartenza agognata ma ancora nebulosa e forse lontana?
Nell’immediato ci sono tutte le risposte alle istanze urgenti per la riapertura. Su tutte il problema degli affitti. Abbiamo ventilato delle proposte: in primis un allineamento con eventuali bonus affitti imprese, che possano essere dati come gettone a fondo perduto, così come abbiamo chiesto che, nelle opportune sedi, vengano tutelati i proprietari degli immobili che ci ospitano; poi ovviamente ci stiamo preoccupando di chiedere una estensione, sia per aprile che per maggio, del bonus che ancora non è stato erogato a moltissimi di noi, considerando che non abbiamo stipendi da tre mesi, come anche un aiuto concreto a identificare i protocolli di sicurezza specifici per il nostro settore da adottare al momento della riapertura.

Sul lungo periodo invece?
Anzitutto lavoreremo per definire, all’interno della riforma del Terzo Settore, una forma associativa specifica per le scuole di danza di base; poi vorremmo definire un inquadramento e un riconoscimento giuridico della figura professionale dell’insegnante di danza, di pari passo una regolamentazione fiscale ad hoc per loro. Infine l’identificazione di un percorso unico di certificazione delle competenze, per fare chiarezza sulla nostra professione, una voce univoca che normi un panorama al momento molto confuso in cui purtroppo vengono parificati anni di formazione a diplomi di abilitazione all’insegnamento presi in un giorno. Di questo deve essere lo Stato ad occuparsene come emergenza professionale.

Ritorna l’annoso problema dell’art.33 della nostra Costituzione “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.
Sì, purtroppo questo articolo viene usato come spauracchio per difendere alcune facilitazioni nel conseguimento dei diplomi, o legittima a dire che non c’è bisogno di diplomarsi per insegnare l’arte. Ma visto che l’articolo unisce nella citazione l’arte e la scienza, io domando se per esempio un professore di matematica potrebbe insegnare senza avere una laurea. Certo che no, dovrebbe dimostrare la sua preparazione.
Se si vuole portare avanti l’idea che l’insegnamento della danza resti libero, obietto che la libertà finisce nel momento in cui la mia libertà di individuo viene lesa dall’incompetenza. Gli insegnanti di danza lavorano sul corpo degli individui, possiamo fare del bene ma possiamo fare anche molto male ai nostri allievi, quindi non è solo una questione di libero insegnamento dell’arte, ma anche di rispetto della persona che si ha di fronte, di responsabilità, perché si entra nella sfera corporea e della salute di individui che oltretutto ci vengono affidati spesso in tenera età. Poi è ovvio che tanta medicina nel tempo si è schierata contro la danza o non l’ha tenuta da conto nella sua potenzialità, vedendo nell’altro campo insegnanti senza una adeguata competenza biomeccanica, fisiologica, anatomica, senza dubbi di livello scientifico, senza approccio di una didattica responsabile sul corpo dell’allievo.

E’ assolutamente necessario riprendere il discorso della formazione.
Noi abbiamo l’Accademia Nazionale di Danza che è la nostra Università, la scuola di Stato relativa al nostro settore, da cui escono gli insegnanti che poi legittimamente andranno a insegnare all’interno dei Licei Coreutici; ma come riconoscere e tutelare tutti quegli insegnanti la cui formazione non è passata da lì, e spesso parliamo di formazioni avvenute all’estero in enti anche prestigiosi, e il cui lavoro ogni giorno si esplica sul campo in una formazione di base che affianca quella statale?
Perché questa professionalità deve essere considerata meno istituzionale solo perché non ha fatto il percorso nella scuola di stato? Altra categoria sono i maestri di chiara fama, i professionisti che, dopo una carriera da danzatori e da performer, arrivano all’insegnamento senza alcuna tutela; ad oggi come possono questi professionisti correttamente e doverosamente chiamarsi maestri? Chi garantisce loro un riconoscimento professionale? Sono queste le grandi perplessità ma anche i grandi obiettivi che si pone AssoDanza Italia. E’ chiaro che oggi, agli occhi di molti, sembra la battaglia epocale di sempre, ci chiedono se non abbiamo paura di esagerare, ma io penso che se non abbiamo orizzonti ampi non riusciremo ad ottenere nulla, sarà una battaglia lunga e durissima ma noi vogliamo portarla avanti.

Hai citato l’Accademia Nazionale e aggiungo io l’AIDAF, altro ente che si occupa delle scuole di danza private. Come vedete il vostro rapporto con loro? Ci sono già stati contatti?
Desideriamo fortemente collaborare con tutti quelli che, già prima di noi (che siamo figli di questa emergenza), stanno combattendo e lottando sugli stessi temi. Siamo veramente aperti a un dialogo propositivo, vorremmo camminare al fianco di queste realtà, unendo le nostre voci, scavalcando i particolarismi, cercando di non mostrarci sempre come quel mondo competitivo, arrivista, dove ognuno vuole portare avanti solo una propria bandiera personale.
Abbiamo invece il sogno di radunare sotto la bandiera di AssoDanza Italia tutte le forze, anche quelle professionistiche, per esempio i corpi di ballo dei teatri, che sinergicamente possano lavorare per riuscire a portare avanti un “sistema danza”, per quello che riguarda la produzione, la programmazione e la divulgazione.
Ci confronteremo sicuramente con l’Accademia, non è stato possibile farlo in via ufficiale ed è questo un rapporto che va costruito su base istituzionale, ma è un nostro preciso obiettivo.
AIDAF si muove da parecchio tempo in sostegno alle problematiche soprattutto legate allo spettacolo dal vivo, dal momento che lavora in partnership con AGIS, e anche in questo periodo abbiamo visto che ha portato avanti iniziative importanti. Ci sono al momento alcune realtà ponte che sono affiliate ad entrambe le associazioni, le quali ci riferiscono di risultati nel tempo non molto consolanti; ma i ponti ci sono, la nostra disponibilità per poter creare alternative efficaci anche.

Vi sentite di essere andati a colmare un vuoto?
Sì, penso ci fosse proprio un vuoto. Attualmente sui social ci sono molte polemiche di cui siamo stati vittime anche noi; una prende di mira le persone che prendono iniziative imputando loro un desiderio di mettersi in luce per trarne un beneficio personale. Ci sono poi molti che, per sottolineare la propria figura, sono saliti sul carro della difesa delle Associazioni Sportive Dilettantistiche Scuole di Danza di Base, spacciandola come una azione portata avanti da anni. Questo non è corretto: se si volevano difendere le scuole di danza private, questo doveva essere stato fatto nel momento in cui le scuole avevano bisogno di aiuto e sostegno, perché non sapevano dove inserirsi; in quel momento in cui la base era in difficoltà tutte queste associazioni che declamano a gran voce il sostegno da anni, mi chiedo cosa facessero e cosa hanno fatto… Nulla, purtroppo i fatti parlano. Sono stati sostenuti gli artisti, è stato sostenuto lo spettacolo dal vivo, sono stati sostenuti alcuni organismi e identità importanti e blasonate, ma mai ci si è interessati delle piccole scuole che nutrono i territori con la loro presenza. Noi siamo nati per colmare un vuoto totale. Non c’era e non c’è niente che veramente pensi alle scuole di danza di base.

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