Santarcangelo 50: quel Futuro Fantastico passa dal corpo

Cherish Menzo (photo: Bas de Brouwer)|MDLSX (photo: Renato Mangolin)|Alessandro Berti (photo: Daniela Neri)
Cherish Menzo (photo: Bas de Brouwer)|MDLSX (photo: Renato Mangolin)|Alessandro Berti (photo: Daniela Neri)

Esiste in Romagna un luogo che è stato consacrato al teatro. Un paese dove, da 50 anni, si tiene un festival da cui è passato tutto il teatro del mondo, coniugato in ogni suo aspetto, e che ne ha viste le minime sfumature e tutti i suoi cambiamenti. Un festival che ci ha visto presenti da quarant’anni, fin da quando, giovani spettatori entusiasti, dormivamo in tenda al campeggio. Parliamo di Santarcangelo di Romagna.
Santarcangelo come sempre ci accoglie con affetto e benevolenza, non ci sono più i ragazzi che affollavano le stradine che portavano alla Rocca chiedendoci 100 lire, tutto ora è più ordinato e pulito. Il grande spazio dello Sferisterio è punteggiato da locali che invitano all’aperitivo.
Piazza Ganganelli è come sempre il centro pulsante della città e del festival, con la biglietteria e un grande schermo per le proiezioni. Il Covid ha limitato un po’ tutto, ma i segni del festival sono ben presenti da ogni parte, anche per terra, per offrire stimoli alla ripresa di una vita normale, in cui il teatro deve e può essere presente.

Il Lavatoio, Lo Sferisterio, il Supercinema, la piazzetta Galassi e, per altri versi, Zaghini, Passatore e Sangiovesa sono nomi che evocano, indelebilmente, momenti bellissimi dell’esistenza di chi ama il teatro. Per cui è stata un’emozione grandissima esserci stati, in questa edizione speciale, la cinquantesima, per assaporarne le suggestioni, i contenuti e le particolarità.

“Futuro Fantastico” è stato il titolo selezionato da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò dei Motus, scelti come curatori di questa significativa edizione del Festival di Santarcangelo: una vera e propria invocazione di speranza, dopo il periodo oscuro che abbiamo passato a causa dell’emergenza sanitaria ancora in atto, come ci avevano anticipato loro in un’intervista di poco tempo fa.

Nei nostri tre giorni di presenza al festival, abbiamo assistito ad un crogiolo di creazioni assai diverse tra loro, fra l’altro in linea con le tematiche degli spettacoli dei Motus, accomunate dal desiderio di esprimere bisogni ed esigenze, che l’angoscia dei mesi passati avevano solo sopito: bisogni ed esigenze da approfondire attraverso angolazioni diverse, da comprendere appunto, per chi desidera un futuro nuovo, diverso, più accogliente e meno divisivo.

Significativamente, poi, le proposte più interessanti viste nei nostri tre giorni avevano al loro centro il corpo, un corpo come emblema di mutazioni, molto spesso come elemento umano sacrificale, come possibilità reale di esistere nelle sue mille forme, senza vergogna alcuna, anzi come meravigliosa essenza mutevole della natura.

Alessandro Berti, artista che spesso abbiamo apprezzato a I Teatri del Sacro, in “Black Dick” affronta, per esempio, il problema del razzismo da un’angolazione nuova, quella del corpo del nero, prima demonizzato e vilipeso, poi ambito e commercializzato.
Lo fa attraverso il racconto, anche per immagini e canzoni, di una storia centenaria spesso sorprendente e per lo più sconosciuta. Dai campi di cotone, col rapporto degli schiavi con i padroni e le loro mogli, a Martin Luther King e Malcom X, fino alla occhieggiante pubblicità dei nostri giorni.

Alessandro Berti (photo: Daniela Neri)
Alessandro Berti (photo: Daniela Neri)

La bravissima performer nera Cherish Menzo, in “Sorry, But I Feel Slightly Disidenfied” di Benjamin Kahn, si offre invece agli occhi dello spettatore col suo bellissimo corpo, un corpo che si trasforma (emozionante il momento in cui una nuova vita sembra uscire dalla sua pancia), che si presenta in mille modi, danzando, vestendosi e rivestendosi, su un apposito palco immerso in un vasto spazio erboso alle porte del paese. Così il nostro occhio si abitua alle infinite possibilità che la natura umana possiede .

Nello stesso luogo Mara Oscar Cassiani fa ballare donne e uomini comuni che hanno partecipato ad un laboratorio. Sono individui dal corpo diverso, a volte ingombrante, a volte ancora in formazione o pieno di rughe, che si presentano gridando i propri sogni. E ciò che conta sono l’energia e il gusto della speranza che vi intuiamo dentro.
E lo stesso fa Virgilio Sieni in piazza Ganganelli, attraverso una dimostrazione pubblica del suo lavoro di insegnante, mettendo in relazione il gesto con alcuni capolavori dell’arte pittorica, e suggerendoci che il nostro corpo contiene in sé una perfetta democrazia, dove ogni sua parte partecipa al bene del tutto.

Del corpo si parla anche nell’ultimo bellissimo e potente spettacolo di Santarcangelo 50, “MDLSX”, dei padroni di casa Motus, con in scena una stratosferica Silvia Calderoni, tratto dal libro “Middlesex”, di Jeffrey Eugenides.
In una profusione di suoni e immagini si affida al pubblico un inno, spesso doloroso, alla libertà del divenire di ognuno di noi, una riflessione poetica, a tratti autobiografica, sulle rivendicazioni e sui confini imposti al corpo di una società perbenista e bigotta.

MDLSX (photo: Renato Mangolin)
MDLSX (photo: Renato Mangolin)

Presenti a Santarcangelo 50 anche Fanny & Alexander che, in “I sommersi e i salvati”, primo tassello della trilogia dedicata a Primo Levi, significativamente posto nella sala del Consiglio Comunale, ci fanno trovare Primo Levi in persona (Andrea Argentieri) che risponde alle nostre domande, testimone di un orrore che ancora oggi viene negato (quanto di più attuale degli insulti al Presidente Mattarella per aver nominato Cavaliere di Gran Croce Sami Mondiano, sopravvissuto all’Olocausto), in inferni in cui il corpo – ma anche l’anima – ogni giorno veniva portato alla consunzione, annientato.

Lo spettacolo che ci ha più colpito e affascinato di questa edizione di Santarcangelo è stato quello diretto della regista romana Giorgina Pi, tratto da “Hold Your Own – resta te stessa” della giovanissima drammaturga inglese Kate Tempest, incentrato sulla figura mitica dell’indovino Tiresia, vissuto in diversi periodi da uomo e da donna e reso cieco da Atena.
Il giovanissimo e talentuoso Gabriele Portoghese, in una specie di dj set, si muove spavaldo sul palco davanti ad un bosco, riempiendolo di versi bellissimi che rimandano all’adolescenza (ci ha ricordato il Cherubino mozartiano), un’età in cui il corpo si sta ancora evolvendo, e dove ogni cosa è piena di meraviglia e di stupore. E il pubblico questa meraviglia e questo stupore lo avverte e lo “beve” tutto d’un fiato.

Altro ci sarebbe ancora da commentare, ma desideriamo concludere il nostro viaggio a Santarcangelo rimandando ad una curiosa ed efficace performance per uno spettatore solo di Pablo Gisbert e Tanya Beyeler, della compagnia spagnola El Conde de Torrefiel, “Se respira en el jardin como en un bosque”.
Lo spettacolo ci invita, attraverso una voce in cuffia, ad essere, alternativamente, attore di una performance creata da noi, con piccolissimi elementi e, nel contempo, poco dopo, spettatore dello stesso spettacolo, compiuto da un altro spett-attore, con le stesse modalità del nostro, ma ovviamente agito in modi diversi. È un invito a usare l’immaginazione per sconfiggere la paura, per invitare a tornare a vivere, per contemplare.
Usciti dal Teatrino del Lavatoio, si assapora il mondo attorno, ascoltandone i torpori e le bellezze, contrapponendo le possibilità meravigliose della finzione a quelle della realtà.

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