Dopo aver molto apprezzato, su Rai 5 in diretta da Bergamo, “Marino Faliero”, che ha aperto il Festival dedicato a Gaetano Donizetti, essendoci anche emozionati di fronte agli artisti che, in silenzio, si presentavano davanti alla platea vuota del teatro, abbiamo gustato in altro modo, ovvero attraverso la web tv creata dalla Fondazione Donizetti, “Le nozze in villa”, un’opera giovanile del maestro, mai più rappresentata da quasi duecento anni, e di cui si hanno poche notizie, a noi giunta incompleta e senza l’autografo del suo autore sulla partitura.
Ci sembra interessante accostare un’opera realizzata attraverso la regia del celebrato duo Ricci/Forte (che, come era prevedibile, ha alimentato le reazioni dei melomani tradizionalisti), a quella del giovane Davide Marranchelli (già vincitore con il progetto “Don Gaetano – A Speed Date With” del primo concorso bandito dalla Fondazione Teatro Donizetti per l’ideazione di progetti di teatro musicale destinati alla Donizetti Night), che si è trovato davanti alla sua prima regia importante.
“Le nozze in villa” è il terzo lavoro del compositore (dopo “Enrico di Borgogna” e “Una follia”), un’opera buffa in due atti composta su libretto di Bartolomeo Merelli, che trae il soggetto da “Die deutschen Kleinstädter (I provinciali tedeschi)” di August von Kotzebue.
Non si conosce esattamente la data della prima rappresentazione, avvenuta con scarso successo (pare dovuto alle bizze della Primadonna), forse nel 1819, durante la stagione del Carnevale presso il Teatro Vecchio di Mantova.
L’ultima replica ottocentesca di cui si ha notizia avvenne al Teatro Sant’Agostino a Genova, nella primavera del 1822, con il titolo “I Provinciali”.
Ecco dunque che la possibilità di assistere ad un’opera dimenticata, di cui è stata proposta un’edizione critica curata da Edoardo Cavalli e Maria Chiara Bertieri, ha acuito ancor di più il nostro interesse, anche perché parte della musica mancante (corrispondente al quintetto “Aura gentil che mormori”) è stata completata curiosamente da Elio, Rocco Tanica e Enrico Melozzi.
La trama dell’opera mette al centro le vicende amorose della giovane Sabina, che deve scegliere tra Claudio, di cui è innamorata, e il maestro di scuola Trifoglio che la corteggia, essendogli stata proposta, come si usava allora, dal padre di lei, Don Petronio, il Podestà.
Della partita è anche Anastasia, la nonna della ragazza. Sabina, allora, alquanto contrariata dalla cosa, si beffa di tutti, facendo passare il ritratto dell’amato come quello del Re.
Claudio, arrivato come forestiero al villaggio, viene osannato e ricercato da tutti gli abitanti, che lo credono effettivamente un monarca.
Dopo varie incomprensioni e fraintendimenti, Trifoglio decide di rinunciare alla mano della ragazza, poco invogliato in verità anche dalla misera dote promessagli da Don Petronio, e lasciando così campo libero al rivale, che si scoprirà essere alla fine un ricco proprietario terriero, che deciderà di sposare Sabina rinunciando alla dote.
Una divertente commedia degli equivoci dunque, quella che si evince dalla trama di quest’opera giovanile di Donizetti, che ovviamente, dato il clima durante il quale è stata composta, risente in modo palese dell’influsso rossiniano sin dalla sinfonia e dal suo crescendo. Ma l’influenza del genio pesarese è anche evidente nell’aria di Petronio “Ombre degli avi miei” molto simile a “Sia qualunque delle figlie” della Cenerentola, nel duetto tra Petronio e Trifoglio “Per si bel nodo amico”, che rimanda ai duetti consimili presenti in molte opere di Rossini, ma soprattutto nel finale dell’atto primo, tipicamente rossiniano, con un primo momento di smarrimento “Oppresso e stupido” e la conseguente follia, dove il cervello non può credere a quello che sta per succedere (Claudio non è un re ma l’innamorato di Sabina): “Che strano accidente… Non puote esprimere… non sa spiegar”. Ma in nuce c’è ovviamente anche il melodioso incedere di Donizetti, come nell’aria di Claudio “E potrei… Dai suoi bei lumi il core”, in cui troviamo echi del personaggio di Ernesto del “Don Pasquale”.
Nel complesso l’opera è di felicissimo ascolto, nonostante lo squinternato libretto che la regge.
Il regista Davide Marranchelli immagina tutta l’opera sul prato verde di una magione, come quelle che oggi vengono di solito affittate per le feste di nozze. Lo spirito dell’impostazione divertito e divertente (fino a un certo punto, e lo vedremo) è presente sino dall’inizio, quando i figuranti, presenti nell’allestimento per sottolineare diversi momenti dell’opera, giocano a pallone sul prato, interrotti ad un certo punto dal direttore d’orchestra, che, indispettito perché finalmente il tutto deve ricominciare, li esorta al loro lavoro bucando la palla.
Nel gioco teatrale ripensato da Marranchelli, Trifoglio viene immaginato come il maestro di cerimonia degli eventi, un po’ tronfio nei modi, che deve avere a che fare con Petronio, non più Podestà ma sindaco del villaggio, mentre Sabina è incaricata di fare i reportage fotografici delle cerimonie che vi si svolgono, presa però dall’arrivo di Claudio, che si presenta come un villeggiante in tenuta molto casual (con gli appropriati, ironici costumi di Linda Riccardi).
Tutta la prima parte è giocata su un’atmosfera gioiosa, attraverso un allestimento volutamente kitch, proprio come i gusti provinciali di chi lo abita (le scene sono di Anna Bonomelli), capeggiato da due diversi grandi cigni formati da innumerevoli palloncini: un ambiente in cui vige una forma priva di ogni contenuto, e dove l’amore è solo l’ultima cosa che conta, tra fotografie, preparazioni di pranzi e torte inverosimili.
Diversa la seconda parte dell’opera, dove l’atmosfera è completamente differente: un triste parcheggio prende per larga parte il posto del prato (simbolo di quel tappeto sotto cui si nascondono le proprie magagne) e Sabina, pian piano, diventa la vittima sacrificale del potere dei maschi (insieme alla sorella, che nessuno vuole, e alla nonna, a cui Donizetti concede un’aria da sorbetto, simile a quella della serva Berta nel Barbiere Rossiniano (“Se la Donna non ci fosse”), ben esposta da Manuela Custer.
Tutto è proposto con garbo attraverso diverse situazioni di felice ironia (che a volte l’occhio della telecamera indugia troppo a cogliere): il rimpiattino di Claudio e Sabina dietro la torta, il rendez-vous degli amanti coperti dal telone nella macchina della cerimonia, il forziere di Petronio, ben nascosto dal sindaco, che però non contiene che vecchi pezzi di prato.
Tutti da apprezzare gli interpreti (e anche i figuranti Ester Bonato, Marco Continanza, Federica Cottini, Riccardo Dal Toso, Andreyna de la Soledad, Leonardo Larini, Simone Severgnini, Daniele Tessaro) che, quando occorre, indossano una mascherina, rigorosamente in pendant con i costumi. Tra essi ci sono particolarmente piaciuti Gaia Petrone come Sabina, alle prese con un’aria corrisposta con il coro assai ardua da interpretare “Non mostrarmi in tale istante”, il Don Petronio di Omar Montanari, autorevole e autoironico quanto basta, e il sempre sopra le righe (come il personaggio richiede) Trifoglio di Fabio Capitanucci.
Appropriato nei modi il phisique-du rôle di Claudio Giorgio Misseri alle prese con la difficilissima aria, preceduta da recitativo, “Giusto Cielo! E potrei – Dai suoi bei lumi il core”, che affronta nel complesso in modo soddisfacente.
Infine è doveroso segnalare il quintetto “Aura gentil, che mormori”, risolto in modo piacevolmente espressivo da Elio, Rocco Tanica e Enrico Melozzi. L’orchestra “Gli originali” diretta da Stefano Montanari, impegnato anche al Fortepiano, e il Coro Donizetti Opera governato da Fabio Tartari, restituiscono in tutta la sua giovanile freschezza, con strumenti rigorosamente d’epoca, l’opera donizettiana, facendocela finalmente riscoprire dopo 200 anni di oblio.
Davide Marranchelli, perché un ragazzo della tua età ha scelto di misurarsi anche con l’opera?
L’opera non è stata una scelta ma un incontro. Come tante storie d’amore inizia con: “All’inizio non ci piacevamo”, ed è andata davvero così. Dopo la mia prima opera da spettatore sono scappato, pensando che quella sarebbe stata l’ultima volta. Poi ho iniziato a lavorarci, a darmi del tempo per conoscerla, e le stesse cose che all’inizio mi tenevano alla larga, hanno iniziato a piacermi.
Cosa ti interessa di un’opera rispetto a una semplice pièce teatrale?
Dire la musica sublime dal vivo sarebbe troppo semplice. Trovo che l’opera abbia mantenuto, molto più che altre forme teatrali, il concetto di “rito”: c’è un prima, un durante e un dopo la rappresentazione. E poi quella finzione, quel “troppo” teatrale che la caratterizza, che allontana molti, ma che in realtà è l’essenza stessa della teatralità, contro l’eccesso di “reality” dei nostri tempi. Non farei però classifiche, mi piace il linguaggio del teatro, e ogni sua forma ha la sua particolare meraviglia.
Che differenza di approccio hai quando affronti una regia teatrale e una lirica?
Nella prosa la musica è molto importante, ma nell’opera è padrona, prim’attrice, regina suprema.
L’opera lirica richiede molta più disponibilità, una costante dialettica con l’ego registico.
Gli spazi da riempire o da svelare sono molto più stretti, e a volte questi spazi diventano vere e proprie rivelazioni nell’ascolto reiterato, come un messaggio segreto che il compositore ha voluto lasciarti.
In che modo pensi che si possa far diventare contemporanea un’opera scritta ai primi dell’800?
Ogni opera racconta l’uomo, e in fondo due secoli non sono molti nella nostra storia di esseri umani. Sono diverse solo le forme e gli abiti, ma le nostre debolezze, le emozioni e le convenienze restano più o meno le stesse, da molto più di duecento anni. Credo che una buona parte del lavoro spetti anche al pubblico, chiamato a fare lo sforzo di calarsi in un altro tempo e in un altro linguaggio, per vivere oggi le stesse emozioni di ieri.
Come hai inteso rendere contemporanea “Le nozze in villa”?
Il matrimonio, oggi come allora, è l’emblema delle contraddizioni e delle convenzioni del nostro vivere. Può essere un meraviglioso patto d’amore o un triste contratto. Ecco allora l’idea di questo “matrimonificio” per rappresentare un mondo in cui quello che raccontiamo è più importante di quello che siamo, un grande gioco di teatro nel teatro che allestiamo ogni giorno per filtrare le nostre vite a favore dei social media.
Al di là del Covid, quali sono le difficoltà che un ragazzo della tua età ha trovato nel mondo del teatro?
Le difficoltà ci sono sempre state e sono tuttora moltissime, e le mie combaciano esattamente con quelle di migliaia di artisti dello spettacolo dal vivo. Credo però che non ci si possa sedere sulle legittime lamentele, ma lavorare con ottimismo, ascolto e concretezza, tre parole troppo spesso dimenticate in questo ambiente, per far tornare il bisogno di teatro non solo a chi lo fa, ma anche a chi lo guarda.
Ho molta fiducia nell’onda nuova degli ultimi mesi, una presa di coscienza del settore che da una parte chiede il riconoscimento dello status di “lavoro vero”, mentre dall’altra si fa un esame di coscienza e si chiede se, da dentro, abbiamo fatto abbastanza per uscire verso il pubblico, senza parlarci addosso.
LE NOZZE IN VILLA
Dramma buffo in due atti di Bartolomeo Merelli
Musica di Gaetano Donizetti con un rammendo di Elio e Rocco Tanica
Prime esecuzioni: Mantova, Imperial Regio Teatro, carnevale 1819;
Treviso, Teatro Dolfin, primavera 1820 (seconda versione)
Edizione a cura di Edoardo Cavalli e Maria Chiara Bertieri
Nuovo quintetto di Elio e Rocco Tanica (realizzazione di Enrico Melozzi)
©Fondazione Teatro Donizetti
Direttore e fortepiano Stefano Montanari
Regia Davide Marranchelli
Scene Anna Bonomelli
Costumi Linda Riccardi
Lighting design Alessandro Carletti
Assistente alla regia Caterina Denti
Assistente alle luci Ludovico Gobbi
Orchestra Gli Originali
Coro Donizetti Opera
Maestro del Coro Fabio Tartari
Sabina Gaia Petrone
Don Petronio Omar Montanari
Trifoglio Fabio Capitanucci
Claudio Giorgio Misseri
Anastasia Manuela Custer
Rosaura Claudia Urru
Anselmo Daniele Lettieri
Figuranti Ester Bonato, Marco Continanza, Federica Cottini, Riccardo Dal Toso, Andreyna de la Soledad, Leonardo Larini, Simone Severgnini, Daniele Tessaro
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti
Si ringrazia ITALGREEN spa