Il luogo simbolico della Cultura milanese occupato da un manipolo di lavoratori dello spettacolo. Per contestare lo stallo di un settore chiuso da un anno. Per segnalare le risposte insufficienti delle istituzioni.
Da stamattina settanta fra artisti, teatranti, danzatori, performer, uniti a studenti delle accademie, delle scuole, delle università, hanno occupato il Piccolo Teatro di Milano. Alle 11 è iniziato un “presidio di solidarietà”, alle 17 si è tenuta un’assemblea pubblica davanti alla sede del Teatro Grassi in via Rovello.
Una protesta non tanto per chiedere una riapertura immediata delle sedi culturali, quanto per dare forza alla richiesta di un dialogo reale (e leale) con il Ministero della Cultura. Che finora ha prodotto risposte velleitarie e bonus avvilenti, sia economicamente sia professionalmente.
Una data non casuale, il 27 marzo, Giornata mondiale del Teatro, che doveva coincidere con la riapertura delle sale nelle zone gialle. Ma di giallo, in questo scorcio di primavera 2021, c’è solo l’itterizia di chi da mesi mastica amaro (i lavoratori) e di chi non ha fegato per risposte adeguate (le istituzioni).
Occupare il Piccolo a oltranza. Per creare un parlamento culturale permanente. Per rilanciare le lotte dei lavoratori dello spettacolo e le richieste di riforma, tutela e reddito di continuità.
Il Piccolo è il primo teatro di prosa comunale d’Italia, come scritto nel programma di sala del 1947. «Per noi è un simbolo» spiega Marco Cacciola uno degli attivisti di Coordinamento Spettacolo della Lombardia, piattaforma che raccoglie Lavoratrici e Lavoratori Spettacolo Lombardia, A2U-Attrici Attori Uniti, Sarte di Scena, Movimento di scena, Cub informazione e spettacolo, Attrezzismo Violento, Saltimbanchi Senza Frontiere, Teatranti Uniti Como e Provincia, Brescia Unita Lavoratrici e Lavoratori dello Spettacolo e singole individualità.
Cacciola si richiama al primo programma di sala del Piccolo, aperto a due anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: «Un luogo dove una comunità liberamente riunita si rivela a sé stessa, dove ascolta una parola da accettare o da respingere, perché quella parola la aiuterà a decidere nella propria vita individuale e nella propria responsabilità sociale».
Rossella Raimondi, anche lei tra gli attivisti in prima linea, ripercorre le tappe di un percorso che i lavoratori dello spettacolo hanno avviato il 30 maggio 2020: «Il primo passo è stato la creazione di un Manifesto Unitario dei gruppi del Coordinamento. Da questo impegno, e dopo mesi passati a studiare le nostre problematiche, è stato necessario per noi sintetizzare concretamente gli strumenti che possono garantire le tutele e i diritti di tutte le lavoratrici e i lavoratori in tutti gli ambiti dello spettacolo, includendo le esigenze delle molteplici figure professionali del nostro settore, quelle artistiche e quelle tecniche, le maestranze e gli operatori, fino ai formatori delle arti e delle tecniche dello spettacolo. Sono mesi che tutti i coordinamenti regionali chiedono una riforma fiscale e previdenziale del settore spettacolo, industria culturale e creativa, intrattenimento, eventi e musica, unita a un sistema di semplificazione delle comunicazioni e a una vigilanza sugli inquadramenti e sui versamenti dei contributivi corretti nel Fondo previdenziale dello Spettacolo. Nella nostra proposta definiamo le azioni che permetterebbero la semplificazione della gestione delle comunicazioni, con l’obbligo da parte dei datori di lavoro e committenti di versare i contributi previdenziali per l’intera cifra concordata, così da incentivare l’eliminazione dell’intermediazione di manodopera, con l’obbligo di assunzione diretta, evitando l’abuso di inquadramenti scorretti in tutti gli ambiti del settore dello spettacolo, dai teatri agli eventi, dalla musica alla didattica. Una riforma in questa direzione porterebbe a un aumento del gettito contributivo e fiscale nelle casse del F.p.l.s. di cui tutti potremmo beneficiare. Molte delle proposte potrebbero avere legittimità come decreti attuativi della Legge 175/2017, alla scrittura dei quali riteniamo fondamentale partecipino le lavoratrici e i lavoratori».
L’occupazione di via Rovello si è aperta ai lavoratori della scuola, alle compagnie, agli studenti dell’Accademia di Brera: «Vogliamo che si rimetta al centro dell’agenda della politica la cultura e la scuola» ribadisce l’attrice di prosa Francesca Biffi. «Vogliamo partecipare alla discussione sul Recovery fund, e fissare una riforma dal basso che non discrimini tra lavoratori dei grandi teatri stabili e lavoratori delle piccole realtà, che al momento sembrano tagliati fuori da aiuti e ripartenze programmate. Ormai non riceviamo ristori da dicembre. Gli aiuti non arrivano, per esempio, a chi è in cassa integrazione con una somma irrisoria. Così il mosaico composito delle Arci rischia di scomparire. Anche dopo la pandemia, vorremmo costruire un futuro che non sia di precariato cronico. Per questo ci stiamo coordinando tra novanta realtà dello spettacolo dal vivo e audiovisivo di tutta l’Italia. Non pretendiamo una riapertura immediata. Chiediamo un sostegno per le piccole realtà fagocitate da meccanismi di darwinismo economico che tutelano solo le grandi realtà. Chiediamo anche di essere inseriti nella campagna vaccinale. Siamo stati bravissimi a proteggere gli spettatori, se è vero che risulta un solo caso di contagio tra tutte le sale cinematografiche e teatrali in Italia dalla metà di giugno alla fine di ottobre. Ma è evidente che noi non possiamo recitare in mascherina. Il cluster tra i lavoratori del Teatro alla Scala parla chiaro. Perché non tutelare anche noi? E intanto il ministro-tweet Franceschini si preoccupa di rifare il look tecnologico al Colosseo: mi chiedo se davvero questa sia una priorità».
Intanto proseguono le trattative tra i manifestanti e la direzione del Piccolo per decidere che forma dare alla protesta. Il Piccolo vorrebbe che l’occupazione si limitasse alle ore diurne. Vi terremo aggiornati.