La dama di picche. Hartmann e il giovane Zangiev dirigono la nuova produzione della Scala

La dama di picche (Ph. Marco Brescia & Rudy Amisano)
La dama di picche (Ph. Marco Brescia & Rudy Amisano)

Dopo la prima recita dell’opera di Čajkovskij, il direttore Valery Gergiev, vicino a Putin, è stato sostituito perché non ha preso le distanze dalla guerra in Ucraina

Ci sono opere a cui ci piacerebbe molto assistere, dei capolavori musicali assoluti ma che sono assai difficili da proporre, o perché di arduo allestimento o perché non in lingua italiana: uno di questi è sempre stato per noi “La dama di picche” di Pëtr Il’ič Čajkovskij, frequentata solo in disco e di cui dentro di noi è sempre echeggiata la frase “Tri carty”, tre carte.

Ma ecco che finalmente, pur tra molte traversie, non ultima il cambio in corsa del direttore d’orchestra, il Teatro alla Scala è riuscito a mettere in cartellone, con nostra immensa gioia, questa meraviglia assoluta.
“La dama di Picche” è un’opera in tre atti e sette scene creata dal compositore russo su libretto del fratello Modest, a cui Čajkovskij pose anche mano, basata sull’omonimo racconto di Aleksandr Puškin. La trama ebbe diversi cambiamenti, colma di fermenti amorosi e di soluzioni tenebrose per renderla più consona alla scena e allo spirito del suo autore.
Il direttore dei Teatri imperiali Ivan Aleksandrovic Vsevolozskij, grande innamorato dell’epoca di Caterina II e del Grand Opéra francese, nel 1887 aveva proposto a Cajkovskij di mettere in musica il racconto di Puskin. Il compositore, dopo un iniziale rifiuto, diede l’assenso a scrivere l’opera che venne realizzata in buona parte tra gennaio e marzo del 1890 in Italia, a Firenze.
“La dama di picche” fu una delle composizioni che risulterà tra le più amate al suo autore; venne messa in scena con grande successo per la prima volta il 19 dicembre al teatro Mariinskij di San Pietroburgo, sotto la direzione di Eduard Nápravník.

Per un certo periodo venne rappresentata in francese con il titolo di “Pique dame”, oggi però viene messa in scena sempre nella versione originale russa: ed è così che l’abbiamo ascoltata.
L’azione ha luogo a San Pietroburgo alla fine del XVIII secolo, e vede come protagonista Herman, un ufficiale di origine tedesca, povero e ambizioso (nel racconto di Puskin è invece ricco e viziato) che ha l’ossessione del gioco, anche se in verità si è sempre risolto ad essere un semplice osservatore, non osando mai parteciparvi realmente.
Il nostro è follemente innamorato di una donna sconosciuta, che apprende in seguito essere promessa sposa al principe Eleckij. La ragazza, Liza, è sempre accompagnata dalla Contessa, sua nonna, che nel fiore della sua bellezza aveva perso tutta la sua fortuna proprio al gioco.

L’incontro con il famoso Conte di Saint-Germain (personaggio che, nell’allestimento dello spettacolo, avrà grande importanza), che le aveva confidato il segreto per vincere al gioco delle tre carte, aveva cambiato la sua contraria fortuna, facendole recuperare tutti i suoi soldi.
La Contessa aveva poi confessato la soluzione del gioco a due suoi amanti, ma in seguito le era apparso in sogno un fantasma, che l’aveva avvisata che il terzo uomo a cui l’avrebbe confidato sarebbe stato accompagnato da sorte avversa.

Hermann, venuto a conoscenza delle qualità profetiche della Contessa, pur amando Liza affronta l’anziana per carpirne il segreto, ma la Contessa, presa da spavento, muore per una sincope.
In seguito al giovane ufficiale appare lo spettro della morta che gli rivela, a condizione di sposare la nipote, le tre carte segrete: il tre, il sette e l’asso. Ma Liza si accorge come per l’amato il gioco sia diventato una vera e propria ossessione, e che lei è stata solo una semplice pedina. Per questo, convinta che oramai tutto sia perduto, si getta nel fiume.
Hermann intanto è corso alla bisca in cui gli ufficiali giocano e si divertono tra canti e risate. Il giovane, convinto della buona fortuna acquisita, vince la prima e la seconda giocata con il tre ed il sette. Nessuno vuole più giocare con lui, temendo di perdere, finché non lo sfida il principe Eleckij che ha rotto il fidanzamento con Liza.
Sicuro della vittoria, Hermann non guarda neppure la carta, annunciando: “Asso!”, invece appare la dama di picche, nella quale Herman crede di riconoscere il ghigno della vecchia Contessa.

Disperato il giovane si suicida e, agonizzante, chiede perdono a Liza.
Nella versione di Puskin invece Hermann è ricco e fuori di testa, tanto che finirà in manicomio, dove ripeterà incessantemente le parole “tre, sette, asso, tre, sette, dama…”, mentre Liza sposerà un altro giovane.

Come abbiamo visto l’opera è centrata su una storia di amore contrastato e di morte, temi assai cari a Čajkovskij, ma il compositore russo va oltre queste atmosfere, disseminando tutta l’opera del suo incondizionato amore per la musica, per le sue infinite gradazioni, per gli autori che predilige e per la musica tradizionale del suo Paese.
Ecco così all’inizio il coro dei bambini nei giardini d’estate a Pietroburgo, che ci ricorda da vicino quello del primo atto della “Carmen”, o le sonorità della tempesta che chiude la prima scena, e ancora l’intermezzo pastorale dedicato a Mozart, la pomposità orchestrale dell’arrivo dei potenti di turno, il dolore di una vita sprecata del protagonista che ricorda da vicino il Werther di Massenet, le canzoni popolari russe, e la musica funebre del finale, cantata a cappella, che rimanda al canto gregoriano: il tutto ovviamente filtrato dal suo riconoscibile lirismo.

Nel rapporto tra Hermann e Liza ascoltiamo duetti, romanze e ariosi di grandiosa bellezza. Il momento più conturbante di questo capolavoro è però il quadro quarto del secondo atto dell’opera, che si svolge nella camera della Contessa. Il quadro è introdotto, in perfetto stile romantico, da un tema ricco di pathos, interrotto dal coro delle cameriere che lascia il passo al meraviglioso monologo della Contessa, che ricorda i momenti fulgidi del suo passato con i nomi di tutti gli uomini che ha conosciuto, pronunciati sottovoce, come pure la melodia del “Riccardo cuor di leone” di Gretry: “Je crains de lui parler la nuit” (“Ho paura di parlare con lui di notte… Io ascolto anche tutto quello che dice… Ha detto: Ti amo E sento malgrado? Me. Ho sentito il mio cuore battere, battere…”): un vero e proprio lamento funebre di composta bellezza. Il tutto proposto in sottrazione di suoni, in netto contrasto con la disperazione di Hermann, che si accorge della morte della Contessa e dell’orrore di Liza nei confronti dell’amato.

Una siffatta trama, così piena di colpi di scena, di situazioni e atmosfere particolarissime poste in ambienti diversi, avrebbe bisogno di una messa in scena adeguata, e purtroppo così a noi non è sembrato, seppur questa edizione sia lodevole su molti altri aspetti.
Il regista Matthias Hartmann e lo scenografo Volker Hintermeier concepiscono uno spettacolo di astratta asciuttezza, con il palco spesso desolatamente vuoto, riempito solo dall’arrivo scomposto e sempre uguale dei diversi cori nelle scene di insieme.
Per definire gli ambienti che via via si alternano vengono utilizzati enormi pannelli semoventi, a volte tempestati da luci abbaglianti al neon, a volte accompagnati invece da lunghi tendaggi trasparenti, per presentare la scena della camera di Liza o trasformati in enormi specchi, accompagnati da fastosi lampadari per l’intermezzo pastorale.
Meglio forse la scena della morte della Contessa, nella sua stanza, dominata da una sua bella gigantografia e da un enorme letto, con l’anziana che si toglie la maschera e ridiventa la bella donna che ricordava d’essere, o ancora la scena della bisca, rappresentata da un tavolo rotondo, pieno di luci, da dove spunta il Conte di Saint-Germain.
Avvalendosi della drammaturgia di Michael Küster, il regista tedesco mette come motore degli eventi la figura di questo leggendario viveur, vissuto nella Parigi di Luigi XV. Il Conte è presente anche alla grande festa del secondo atto, conducendo le danze, e alla morte della Contessa, come presenza funerea; infine eccolo quando, in modo beffardo, porge ad Hermann la carta della dama di picche, nel finale d’opera.

Nei costumi di Malte Lübben domina il nero, mentre nella festa primeggiano i color pastello sulle coreografie non certo stupefacenti di Paul Blackman.
Qua e là il regista sceglie di alleggerire l’opera con trovate divertenti, come quando Hermann – per non farsi scorgere dalla Contessa – si nasconde sotto a cuscini, ma ciò non toglie che la sua regia ci sia parsa scialba e poco personale.

Vista la varietà d’accenti che possiede l’opera, capitale è il ruolo degli interpreti musicali.
Il tenore Najmiddin Mavlyanov, nell’impegnativo ruolo di Hermann, ci è sembrato vocalmente ben impostato, anche se interpretativamente a noi è mancata soprattutto l’aura melanconicamente ossessiva che contraddistingue il personaggio. Al contrario Elena Guseva, come Liza, che deve spaziare da soprano drammatico a squisitamente lirico, ci è sembrata sempre idonea, sia quando deve interpretare la giovane innamorata, sia quando impersona l’amata disillusa dalla follia di Herman. Ineccepibile Yulia Gertseva, contessa tirannica e aspra che dà accenti umanissimi alla sua già citata berceuseJe crains de lui parler la nuit”, risultando anche congrua come spettro che rivela ad Hermann il segreto delle tre carte.
Ottimo anche il Conte Eleckij di Alexej Markov, nobile e sensibile, pur tradito nel suo amore per Liza. Roman Burdenko è un plausibile Conte Tomskij, colui che rivela il segreto delle tre carte, scatenando l’ossessione di Hermann con la sua ballata, uno dei pezzi più famosi dell’opera.
Da lodare sia il Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala, diretto da Marco De Gaspari, sia il Coro guidato con perizia da Alberto Malazzi, che si esprime sempre meravigliosamente, commovendoci anche nel già citato finale cantato a cappella.
Dovendo sostituire, per le vicende legate alla guerra in Ucraina, Valery Gergiev, il giovanissimo direttore (28 anni) Timur Zangiev, nato nell’Ossezia del Nord, non ci ha fatto rimpiangere la presenza del suo illustrissimo collega, dominando sempre la variegata partitura di Cajkovskij, riuscendo a consegnarne tutti gli accenti e facendone godere la sua bellezza dal vivo.

La dama di picche
Opera in tre atti e sette scene
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Libretto di Modest Čajkovskij
Direttore Valery Gergiev (23 feb.), Timur Zangiev (5, 8, 13, 15 mar.)
Regia Matthias Hartmann
Scene Volker Hintermeier
Costumi Malte Lübben
Luci Mathias Märker
Drammaturgo Michael Küster
Coreografo Paul Blackman
Maestro del Coro Alberto Malazzi

CAST
Hermann Najmiddin Mavlyanov
Il conte Tomskij Roman Burdenko
Il principe Eleckij Alexey Markov
Čekalinskij Yevgeny Akimov
Surin Alexei Botnarciuc
Čaplickij Sergey Radchenko
Narumov Matías Moncada
Il maestro di cerimonie Brayan Ávila Martínez
Contessa Julia Gertseva
Liza Asmik Grigorian (23 feb. e 5, 13 mar.), Elena Guseva (8, 15 mar.)
Polina Elena Maximova (23 feb. e 5, 8, 13 mar.), Olga Syniakova (15 mar.)
La governante Olga Savova
Maša/Prilepa Maria Nazarova
Milovzor Olga Syniakova

Nuova produzione Teatro alla Scala
Musical materials of Mariinsky Theatre historical production of the Queen of Spades 1984 provided by courtesy of the State Academic Mariinsky Theatre St. Petersburg, Russia

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala

Durata spettacolo: 3 ore e 43 minuti ca. incluso intervallo

Visto a Milano, Teatro alla Scala, il 15 marzo 2022

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