Tra amicizia e padri, la parola ai vincitori del Fringe milanese

La premiazione di Fag/Stag (ph: Davide Aiello)
La premiazione di Fag/Stag (ph: Davide Aiello)

Due coppie di attori, Gabriele Colferai con Angelo Di Figlia e Laura Nardinocchi con Niccolò Matcovich, si aggiudicano i premi del FringeMI Festival 2022

Periferico, marginale, borderline. Informale e alternativo: tutto questo rientra nel concetto di Fringe.
Può assalirti un senso di disorientamento di fronte a un evento ricco e dispersivo come il FringeMI Festival. Cento spettacoli a Milano, concentrati nell’arco di una settimana, in un’area che si estende a macchia d’olio oltre piazzale Loreto. Show concomitanti, oppure collocati in orari scaglionati. Spazi diversi. Distanze non sempre compatibili: bisognerebbe sperare in una puntualità svizzera, fissare incastri da agenda di manager, schizzare da una parte all’altra della città come palline da flipper. Ma qui siamo tra artisti, mica tra bancari. E allora vale la pena seguire il festival rilassati. Assaporando la Milano a Nord della Circonvallazione. Godendone atmosfere e locali. Con quell’aria da estate incipiente e vacanze in arrivo.

Va’ dove ti porta il cuore e l’istinto. Va’ da quell’artista che ti piace, oppure da quello di cui ti han parlato bene. Va’ dove si ride, o dove si riflette. Dove sei comodo, o puoi mangiare alla grande per pochi spicci. Dove ci sono gli artisti sconosciuti, o quelli blasonati.

La risposta del pubblico è stata entusiasta. I luoghi del festival pieni. L’idea di fare serata senza limitarsi al classico aperitivo o alla pizza. Aggiungendo un surplus culturale senza svenarsi.
E poi la possibilità di votare: lo spettacolo vincitore inserito nel cartellone dell’Elfo Puccini. E a vincere questa edizione del FringeMI Festival è stato “Fag/Stag – Amici di genere”, drammaturgia di Jeffrey Jay Fowler e Chris Isaacs, con Angelo Di Figlia e Gabriele Colferai, quest’ultimo anche in cabina di regia.

La produzione Dogma Theatre Company, di scena al Ghe Pensi Mi vicino alla Stazione Centrale, è l’ordinaria biografia di due migliori amici in equilibrio precario tra la galassia etero e quella omosessuale. Tra sbornie, sesso, riflussi verso l’infanzia, voglia di tenerezze e la paura di essere grandi. Autori australiani, testo brioso, comicità graffiante.

«Ho scoperto questa chicca mentre ero al Fringe di Edimburgo – ci spiega Colferai –. Una drammaturgia che ha partecipato ai Fringe di tutto il mondo. Abbiamo lavorato molto per un adattamento ad hoc per la città di Milano. Si tratta di un ibrido fra teatro e stand-up comedy. Un linguaggio contemporaneo, per asfaltare l’idea di recitazione».

E la sensazione è davvero quella di due amici che si stanno raccontando la stessa storia, con punti di vista molto diversi. Il clima dello spettacolo è da salotto.
«Il pubblico ha apprezzato la leggerezza con cui abbiamo affrontato luoghi comuni e temi come l’amicizia. O la difficoltà di raccapezzarsi tra i problemi. E i bilanci che la vita impone fra i trenta e i quarant’anni. Soprattutto se qualcosa è andato storto, e ci si ritrova senza un compagno o una compagna nella giungla delle app d’incontri».

L’amicizia è salvifica tra mille rapporti occasionali. Riguarda due ragazzi cresciuti insieme giocando a Super Mario, che non hanno mai avuto la forza di dirsi direttamente “Ti voglio bene”. La chiave di volta dello spettacolo è l’empatia che si crea con il pubblico in modo rilassato.
«L’esperienza del Fringe è stata favolosa – continua Colferai –. Siamo stati messi nel posto giusto, anche per il tipo di clientela e l’energia che ci trasmetteva. Raccontiamo storie senza fronzoli, dalle atmosfere internazionali, che piacciano sia a chi a teatro non ci è mai stato, sia a chi ha voglia di approfondirne i vari livelli comunicativi».

Emulando Sanremo, il Fringe contempla anche il premio della critica. La rivista «Stratagemmi» lo ha assegnato a Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich per il loro onnipresente “Arturo”, con questa motivazione: «Uno degli obiettivi del FringeMI è di portare il teatro dove non c’è, in luoghi dove è possibile modificare quel classico e tendenzialmente divisorio rapporto che sussiste tra spettacolo e platea. Questo rapporto ci è sembrato felicemente scardinato laddove l’incontro tra attore e spettatore è riuscito a mutare gli stessi messaggi e le forme della performance, permettendo a quest’ultima di muoversi oltre la semplice rappresentazione. Per questa ragione, per essere stato uno spettacolo che ha saputo emozionare, coinvolgere e farci pensare, che ha creato il luogo di un incontro vero e quindi di una piccola comunità dei ricordi, abbiamo deciso di premiare la ricca commistione di linguaggi e l’interattività spontanea di “Arturo”, di e con Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich».

In scena Arturo (ph: Davide Aiello)
In scena Arturo (ph: Davide Aiello)

«È lo spettacolo con cui avevamo già vinto il premio “Scenario Infanzia 2020” e siamo stati finalisti a “In-Box” nel 2021 – ci racconta Laura Nardinocchi –. Io e Niccolò non siamo attori, ma due registi e drammaturghi. Abbiamo scelto di stare in scena perché il tema è il rapporto con i nostri padri e la loro perdita. Volevamo che la nostra memoria individuale diventasse collettiva. Tutto ciò che raccontiamo, è vero. Per questo “Arturo” è uno scambio universale sempre nuovo, attraverso gli spettatori che abbiamo davanti. Ogni replica è diversa. Gli spettatori sono chiamati a dare una loro definizione di padre, ad aggiungere un loro pensiero su vari titoli delle scene che sono chiamati a scrivere su pezzi di puzzle, e questo ci permette di aprire il nostro racconto e farci influenzare dal pensiero degli spettatori. Il rapporto con il pubblico si è evoluto nelle varie repliche. All’inizio eravamo frenati. Non sapevamo bene come inserire i commenti e i pensieri. Ora questa è la parte che ci diverte di più e arricchisce la nostra memoria. La forza sta nell’ordine delle scene sempre diverso. “Arturo” ha segnato l’inizio di una poetica che intendiamo approfondire, una drammaturgia come architettura del racconto e un dialogo con lo spettatore senza filtri, senza occhiolini e senza l’inganno della rappresentazione».

Due spettacoli capaci di raggiungere qualunque tipo di spettatore.
Ma vogliamo spendere giusto qualche parola per un altro paio di altri lavori che ci hanno colpito. Il primo: “È andata così” di e con Martina De Santis allo Spazio Hug, un monologo ispirato a Natalia Ginzburg. L’autobiografia incontra la letteratura. L’arte ricompone le ossa e il cuore in frantumi dopo una caduta, un amore spezzato e il fantasma della solitudine. Con la volontà di rinascere. Sullo sfondo di una Milano bella, attraversata in bicicletta come Nanni Moretti attraversava Roma nel film “Caro diario”.

L’altro spettacolo è “Scoppiati” di e con Giacomo Occhi, regia di Beatrice Baruffini, visto a Magnete. “Scoppiati” arriva secondo al festival, sul podio con “Il paese delle facce gonfie” di Confraternita del Chianti.
Quanta poesia e quante emozioni si possono trasmettere a un pubblico dai cinque anni solo gonfiando dei palloncini? È di scena la vita, tra infanzia, scuola, innamoramenti, nozze. Nascite e lutti. Una poesia delle piccole cose, segreta, che trasforma la voglia di giocare in drammaturgia, sublimando in teatro di figura.

Per Davide Verazzani, organizzatore del festival con Giulia Brescia, Ippolita Aprile, Silvia Rudel e Matteo Russo, è l’ora dei bilanci: «Chiudiamo con quasi 5mila presenze totali: la metà a Nolo, il resto suddiviso tra i vari quartieri. Anche i 12 spettacoli a pagamento sono stati un successo. Sempre sold-out e lista d’attesa per gli spettacoli in concorso, come per i due che si sono svolti nel cortile dello spazio Aem. La valutazione degli spettacoli da parte degli spettatori è stata altissima, una media di 8,87 su 10. Oltre duemila votanti. “Fag-Stag”, lo spettacolo vincitore, ha avuto una media bulgara di 9,64. Un consenso unanime. Il pubblico, insomma, ha apprezzato la nostra selezione e gli spazi in cui è stata proposta. Si tratta di spettatori generalmente non abituati ad andare a teatro».
Un’esperienza che speriamo contagiosa. E chissà che il prossimo anno il festival non si diffonda in altri spazi e nuovi quartieri, magari debordando in quella periferia esclusa dalla movida, associata con troppa faciloneria al degrado e alla malavita. Pensiamo a luoghi come Quarto Oggiaro, Affori, Ponte Lambro. Attendiamo la nuova edizione. Con curiosità.

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