Pietre Nere di Babilonia Teatri. Il debutto ad AstiTeatro

Pietre nere (ph: Franco Rabino)
Pietre nere (ph: Franco Rabino)

Che cos’è “casa”? Il nuovo spettacolo della compagnia veneta indaga un luogo che si dilata per inglobare ogni tipo di sentire

Entrare dentro al concetto di casa partendo anche da luoghi che, agli occhi della maggioranza, casa non sono. E in questo modo modificare il proprio punto di vista. E’ questo l’intento del nuovo spettacolo prodotto da Babilonia Teatri insieme a La Corte Ospitale in coproduzione con Operaestate Festival.

Ha debuttato, in prima nazionale, allo Spazio Kor per AstiTeatro 44. Tanti gli spettacoli che questo storico festival piemontese ha proposto in “prima visione” per il pubblico di quest’anno, e “Pietre Nere” è uno dei primi in cartellone, risultato di un’indagine condotta proprio nel territorio di Asti all’interno di Casa Mondo, progetto vincitore del Bando Art Waves di Compagnia San Paolo.

Come ci ha raccontato Enrico Castellani, la compagnia, affiancata da un piccolo gruppo di artisti under 35 (grafici, fotografi, videomaker) di provenienza principalmente veneta, ha dato luogo, qualche mese prima dello spettacolo, a permanenze e incontri in dormitori, centri di accoglienza, comunità psichiatriche e residenze per anziani dell’astigiano. L’obiettivo era quello di conoscere, entrando in contatto diretto, gli abitanti di queste “case particolari”.
Ciascuno dei giovani che, insieme a Babilonia, ha vissuto questa esperienza, ha poi creato una propria opera d’arte ispirata al percorso fatto. I lavori sono stati presentati in una serata ad hoc allo Spazio Kor ma nessuno di essi è entrato direttamente nella performance. La modalità di lavoro del gruppo, infatti, non si è data obblighi o regole a priori, ma è restata in ascolto di ciò che questi incontri preziosi hanno suscitato. Castellani ci racconta anche che, in futuro, le opere realizzate potrebbero trovare collocazione nei foyer degli spazi che ospiteranno le repliche di “Pietre Nere”, per arricchire e testimoniare il lavoro fatto. La locandina dello spettacolo, ad esempio, è una di queste. Di certo la performance è densa delle emozioni vissute in quei luoghi.

All’entrata degli spettatori la sensazione è di varcare la soglia di casa altrui. Ma non da ospite, semmai da co-abitanti o inquilini.
La compagnia, tecnico compreso (come accade spesso nelle loro performance), è intenta a sistemare il palco per l’inizio. Un ragazzino (in scena anche stavolta il figlio vero della coppia Raimondi-Castellani) passa l’aspirapolvere mentre gli attori riordinano, sistemano, spazzano l’ambiente. C’è la musica, e il disordine a poco a poco diventa ordine, anche se solo temporaneamente.
Entriamo in uno spazio intimo e ne siamo consapevoli, tanto che un certo disagio ci pervade, quasi come se spiassimo dalla serratura ma senza porte né muri a proteggerci. Non che accada qualcosa di particolare, al contrario. Non succede nulla di rilevante, se non una straordinaria normalità di qualsiasi famiglia, oppure quella di una compagnia che sta sistemando le ultime cose prima del debutto. Perché anche il teatro può essere ‘casa’.

Finalmente la performance “inizia” e ritroviamo le modalità narrative più classiche della compagnia veneta. In scena entra ed esce di tutto. Sul nero del linoleum e dello spazio vuoto prendono vita gli ambienti più svariati, accuratamente assemblati e con altrettanta precisione smontati e portati fuori insieme alle situazioni che li hanno evocati.
Sul lato sinistro di chi guarda, il case con il banco dei mixer audio è l’unico punto fisso che resta, anche se attori e tecnico si danno il cambio nel seguire i suoni. Il miscuglio tra chi recita e chi si occupa d’altro è volutamente portato alle estreme conseguenze. Ai tre attori è garantita l’esclusiva della parola pronunciata, mentre tecnico e ragazzino implementano l’apparato gestuale con quadri ironici e comici, talvolta esilaranti, in stretta relazione con i testi.

I (quasi esclusivi) monologhi di Castellani, Valeria Raimondi e Francesco Alberici aggiungono poco alla volta elementi al tema centrale, analizzando gli equilibri su cui si fonda una casa – in tutte le sue diverse accezioni – a seconda di chi ci vive, della sua cultura, dell’età e del ceto.
Commuove il pezzo in cui Castellani racconta al pubblico, dal consueto microfono, la concezione di casa della nonna, di come l’abitazione fosse intesa in termini di nido in cui ricostruire ogni giorno piccole ritualità, sempre uguali a sé stesse, da ricercare anche quando ci si spostava in altri luoghi. Mentre l’attore parla, una corda al suo fianco porta verso l’alto un grosso ramo d’albero, a testa in giù, legato dal protagonista durante l’azione. “Nella casa di riposo comunale di Asti – prosegue Castellani – ho trovate diverse persone che parlano il dialetto veneto delle mie parti, non mi sarei mai aspettato di ritrovarlo così lontano, e questo monologo ne ha subito ovviamente l’influenza”.
Della casa viene portato in scena, simbolicamente, il frammento più privato e personale, con rimandi e cenni alla generalità. Dal trasloco alla ristrutturazione, con l’entrata di una vera betoniera da cui spunta, divertito, il ragazzino, ai momenti di riposo o spensieratezza sul letto o su piccoli tappeti elastici da utilizzare a turno.

Il recitato tipico di Babilonia, straniante e ironico allo stesso tempo, copre la performance con un velo, nemmeno troppo sottile, di satira e presa in giro mirata e intenzionale, che suscita emozioni contrastanti in chi guarda. Viene così abbozzata la Natività (focolare domestico per eccezione) dietro una cornice a forma di casa calata dall’alto ed evidenziata dalla luce dei neon che ne delimitano il perimetro. Dietro di essa tutti i performer compongono la buffa rappresentazione, con tanto di bue e asinello sottolineati da grandi cartelli al collo di due attori a petto nudo.

Le pietre nere del titolo sono in tutto ciò l’elemento disgregante: i cellulari che annientano la comunità per garantire all’individuo l’assenza di relazioni tangibili pur nella presenza multipla e costante di contatti con cui connettersi.
Il finale è caratterizzato da un enorme divano rosso, gonfiato in proscenio, che, col suo aumentare di volume, copre tutto e funge da luogo deputato per una tenera scena conclusiva che vede protagonista ancora una volta il figlio di Raimondi e Castellani.

Pietre Nere
di Enrico Castellani e Valeria Raimondi
con la collaborazione artistica di Francesco Alberici
con Francesco Alberici, Enrico Castellani e Valeria Raimondi e con Orlando Castellani
direzione tecnica Luca Scotton
produzione Babilonia Teatri e La Corte Ospitale coproduzione Operaestate Festival Veneto

durata: 1h
applausi del pubblico: 2′ 43”

Visto ad Asti, Spazio Kor, il 24 giugno 2022
Prima Nazionale

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