Il festival romano ha ospitato “147 Abrazos” e “Hasta donde” del coreografo israeliano
Quattro intense serate hanno chiuso quest’estate la prima parte del festival Fuori Programma, dentro e fuori il Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma.
La “comunità in transito” del festival ha abitato gli spazi interni e, soprattutto, quelli esterni, grazie anche alle piacevoli passeggiate di gruppo, verso e dal parco Tor Tre Teste Alessandrino.
Tra gli ospiti internazionali, Sharon Fridman ha presentato “147 Abrazos” e “Hasta Donde”, in collaborazione con la Reale Accademia di Spagna di Roma.
«Invitare qualcuno a danzare, dargli la mano è aprire le porte all’altro, è permettergli di entrare nella tua cultura» ha affermato Fridman in passato.
Originario del distretto di Haifa, dove è nato nel 1980, la sua passione per la danza si manifesta a 8 anni, forgiandosi con gli studi di classica e contemporanea in un Kibbutz a Pardess Hanna-Karkur.
A 19 anni inizia la sua carriera di danzatore professionista a Tel Aviv con la Tadmor Dance Company, e a 20 è già coreografo. Il suo talento lo ha messo in luce al punto tale da essere selezionato nel 2008 da Wayne McGregor per lo spettacolo “Dance Lines” alla Royal Opera House di Londra, e da fargli vincere diversi premi tra i quali spiccano il premio per la migliore proposta di danza contemporanea all’International Dance and Theatre Fair of Huesca, nel 2011, il Premio Alicia Alonso, nel 2012 a Cuba, e il primo premio al Choreography Contest Burgos di New York.
La sua determinazione lo ha spinto a fondare e guidare con abilità e successo la Compañia Sharon Fridman a Madrid, dove risiede dal 2006, e a seguire numerosi altri progetti di comunità con amatori.
Fridman cita sua madre come sua prima maestra, la donna che gli ha insegnato a trasformare la vita in danza, ma ricorda anche Noa Wertheim, direttrice della Vertigo Dance Company, la quale ha saputo infondere senso e passione nel suo lavoro e nella sua ricerca. Ma esprime la sua riconoscenza e gratitudine anche verso due punti di riferimento innovativi e comunicativi come Pina Bausch e Ohad Naharin.
I suoi lavori, di cui Klp in passato ha già scritto (oltre ad aver realizzato una videointervista proprio a Fridman), emanano un’energia passionale e un moto di emozioni. Al loro interno gli spettatori possono ritrovare una grande dose di folklore israeliano e spagnolo mescolati insieme a riferimenti e tracce di balletto e danza contemporanea.

“147 Abrazos” è un estratto di “Dosis de Paraíso”, ultima creazione del coreografo israeliano che scruta e analizza l’amore, le relazioni, le loro molteplici potenzialità. In ogni cuore si cela l’urgenza di ciascuno di noi di sottrarci alla solitudine. È come se il battito cardiaco subisse una traccia di confusione e di turbamento nell’affannosa ricerca di una relazione, di un rifugio. L’abbraccio è l’antidoto, il rimedio naturale alla solitudine e all’inquietudine. Cercarsi e concedersi all’altro significa scorgere il Paradiso.
Nel primo dei due lavori, una donna, diafana e raffinata, la danzatrice Melania Olcina, indossa una lunga gonna scura e un top argento; siede da sola, su una panchina, dietro all’enorme palco bianco. Avanza lentamente a piedi nudi nel silenzio del tramonto e nel cuore del parco Alessandrino, fino a raggiungere il centro della scena. Dopo poco la raggiunge un uomo, l’affascinante danzatore Arthur Bernard Bazin, scorgendola da un albero.
Quello che succede dopo è il realizzarsi di un contatto, inizialmente discreto e successivamente fisico, ma con la delicatezza di un abbraccio. Un approccio, un’unione che diventa sempre più ossessiva, persistente, ostinata. Da quell’incontro si sviluppano tanti sentimenti contrastanti, la fisicità è la modalità forte di cui dispone Friedman per esplorare e scandire i ritmi, le linee e i limiti emotivi e compositivi spingendosi oltre con la ripetizione di un gesto. Una reiterazione che determina un viaggio, lo spostamento in un luogo altro, metafisico.
Fridman, con “147 Abrazos” prima e con “Hasta Donde” dopo, gioca con la relazione chimica che si innesca e si crea tra chi conduce e chi è condotto, la dipendenza e l’alternanza di ruoli tra burattino e burattinaio, che arrivano a diventare quasi la stessa cosa e non due elementi diversi di un medesimo dispositivo. Caratteristica comune dei due lavori è lo slow motion che rapisce lo sguardo, l’attenzione di chi guarda. Tanto sono controllate, predefinite, fino a diventare quasi meccaniche, la qualità e le variazioni dei movimenti e i ruoli in “147 Abrazos”, quanto Bazin e Fridman assumono le caratteristiche dell’altro, dandosi il cambio nel secondo dei due lavori, un passo a due con il coreografo anche in scena. Dalla solidità alla flaccidità, esplorando cosa succede nel corpo nell’abbandonarsi all’altro. E, in entrambe le performance, mantenendo come obiettivo finale il raggiungimento di uno stato contaminato di grazia, di elevazione, di estasi.