Uno sguardo dal ponte: attrazione fatale di Popolizio tra emigrazione e neorealismo

Uno sguardo dal ponte (ph: Yasuko Kageyama)
Uno sguardo dal ponte (ph: Yasuko Kageyama)

Regia cinematografica per il dramma di Arthur Miller, in scena al Piccolo di Milano fino al 21 maggio

Un uomo maturo e una diciassettenne. Tutte le ambiguità di un rapporto affettivo fatto di seduzione e gelosia, protezione e possesso, e un’ossessione del protagonista che rasenta pedofilia e incesto.
Massimo Popolizio torna al Piccolo di Milano con “Uno sguardo dal ponte”, dramma di Arthur Miller scritto nel 1955 che parla di passioni e miserie sociali, lambendo il tema dell’emigrazione. Fino al ripiegamento nella comunità d’origine e nell’intimità familiare, con retroscena torbidi che si tingono di noir.

Popolizio interpreta Eddie Carbone, un duro scaricatore di porto italo-americano che vive a Brooklyn con la moglie Beatrice (Valentina Sperlì) e l’avvenente nipote Catherine (Gaja Masciale), per la quale prova un’attrazione travolgente ma non dichiarata. A casa Carbone arrivano altri due parenti: i fratelli Rodolfo e Marco (Lorenzo Grilli e Raffaele Esposito), immigrati clandestini. Risentimento e frustrazione crescono in Eddie quando egli avverte l’attrazione reciproca tra Rodolfo e Catherine, che farà di tutto per interrompere.
Climax finale avvincente e raccapricciante, con baci disseminati a gogò e un epilogo da cavalleria rusticana.

Una scena grigia, costellata di sedie con tavolo, armadio, comò con specchiera e altri mobili riconducono a un’ambientazione domestica. Sullo sfondo, lo scenografo Marco Rossi disegna una sorta di soppalco, un’altura che assomiglia a un molo, a confondere spazi interni ed esterni, a sfruttare la profondità della scena agitandola in alto e in basso, in lungo e in largo.
Ed è proprio la compresenza di elementi dissonanti a facilitare la trasformazione del maestoso palco dello Strehler in set cinematografico, con campi lunghi e lunghissimi, con flashback e dialoghi serrati. E ancora, soliloqui attraverso la figura dell’avvocato Alfieri (il serafico Michele Nani), sagace narratore onnisciente ora interno ora esterno.
Sequenze dinamiche s’alternano a sequenze statiche. Traspare l’ironia di fondo di un dramma della gelosia che non si prende per nulla sul serio, e rende onore al cinema neorealista italiano proprio nell’atto in cui lo scimmiotta in maniera caricaturale e diremmo pedestre.

C’è un ponte che grava dall’alto, e fa tanto New York in questa Little Italy intrisa di sicilianità. Ambienti, personaggi e costumi ricordano le atmosfere di “C’era una volta in America” o “Fronte del porto”. Uno sferragliare intermittente rievoca i viaggi in treno del secolo scorso, tra stenti, lacrime e miraggi di benessere.
C’è un sapore ibrido fra stelle e strisce e Trinacria, fra Coca Cola, arancini e cassata. C’è un giradischi con le canzoni americane e siciliane degli anni Cinquanta. Catherine ci balla su con quel po’ di civetteria e malizia, tra occhiate languide e sorrisi allusivi. Eddie ne muore ogni volta, affascinato da effusioni e smancerie della ragazza, in un mix di complicità e ripicche.
I lunghi capelli fluenti rossi di Catherine riempiono da soli la scena, come i ripetuti cambi d’abito orchestrati da Gianluca Sbicca. Catherine selvatica, spiritata, fiammeggiante sul grigio che domina. La seduzione passa attraverso una danza sguaiata, sguardi rapiti e i rintocchi di un cucchiaino in una tazza da caffè. E stavolta ne muore il biondo Rodolfo, effeminato e ingenuo, puro e affascinato.

Irrazionalità e violenza. Psicologia spicciola. Dinamiche familiari tribali: l’ambiguità di una ragazza, il desiderio di possesso di un uomo che non si rassegna agli anni, la gelosia di sua moglie. Un tradimento che è anzitutto negazione dei valori della famiglia, dell’ospitalità e della terra d’origine. Il desiderio e la colpa. Lo sconforto e l’espiazione.
La filigrana di film d’antan, come “Sedotta e abbandonata” e “Divorzio all’italiana”. L’esasperazione di toni melodrammatici, acuiti dalle luci di Gianni Pollini e dai suoni orchestrati da Alessandro Saviozzi, che scandiscono i cambi di scena e liberano il dinamismo della pièce. E poi, suggestioni erotiche da “Lolita” e “Blackbird”, altre storie interpretate da Popolizio, prove tecniche per uomo maturo affascinato da ragazza in erba.

Che cos’è l’amore? Quali sono i limiti della passione? Qual è il discrimine tra affetto e lascivia, desiderio e colpa? Chi è veramente la vittima, e chi il carnefice? Questi gli interrogativi scomodi e controversi, qui affrontati fuori da ogni retorica e scandalo in uno spettacolo in controluce, in dissolvenza, in cerca di una parola più autentica tra le contraddizioni umane.
Tante domande. Poche o nessuna risposta. Un senso di fallimento e scoramento. La percezione di una verità volatile inspessita da una recitazione troppo insolente e marcata per non scatenare ilarità e simpatia. Bel cast, arricchito dalle comparsate buffonesche di Felice Montervino, Marco Maravacchio, Gabriele Brunelli e Marco Parlà.

Uno sguardo dal ponte
di Arthur Miller
traduzione Masolino D’Amico
regia Massimo Popolizio
con Massimo Popolizio, Valentina Sperlì, Michele Nani, Raffaele Esposito, Lorenzo Grilli, Gaja Masciale, Felice Montervino, Marco Maravacchio, Gabriele Brunelli, Marco Parlà
scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca
luci Gianni Pollini, suono Alessandro Saviozzi
produzione Compagnia Umberto Orsini, Teatro di Roma – Teatro Nazionale e
Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

durata: 1h 30’ senza intervallo
applausi del pubblico: 4’

Visto a Milano, Piccolo Teatro, il 12 maggio 2023

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