Rette parallele sono l’amore e la morte. Oscar De Summa nella storia di un amore mancato

Oscar De Summa
Oscar De Summa

Erchie, mondo, cosmo: le traiettorie del nuovo studio presentato a Caserta, al Teatro Civico 14

Cosa siamo noi, piccoli esseri, all’interno del cosmo? Qual è la nostra funzione quantica nell’economia dell’universo? E soprattutto: possiamo (o dobbiamo) postulare che sussista un disegno superiore che conchiuda e sottenda alle nostre vicende, regolandone lo svolgersi, l’accadere e il susseguirsi, secondo una precisa e imperscrutabile dinamica superna, a cui è sottesa un’intelligenza ordinatrice che, in barba a noi poveri ignari, agisce disegnando con geometriche alchimie la non casualità del caso?

No, non intendiamo azzardare ipotetiche risposte a rovelli atavici su cui si lambiccano dalla notte dei tempi gli intelletti umani. E non intende farlo nemmeno Oscar De Summa in questo suo spettacolo, “Rette parallele sono l’amore e la morte”, che da queste scaturigini primarie dell’umano accadere prende le mosse. Non intende farlo, ma si pone dalla prospettiva di chi, come il filosofo curioso, accoglie il dubbio e l’indaga, allorquando questo gli si presenta sotto forma di una storia pressoché dimenticata, proveniente da un passato remoto e quasi rimosso, e che affiora alla mente, quasi magicamente, mentre contemporaneamente la realtà gliela recapita a domicilio.

De Summa parte quindi da questa “casualità non casuale” e s’interroga sulle dinamiche, sulle meccaniche, su quelle teorie (ultimamente particolarmente in voga) che si propongono di leggere la realtà (la vita, il cosmo e la combinazione delle sue parti) come un’aggregazione correlata di particelle; tecnicamente si chiamerebbe entaglement, ma per dirla come De Summa, questa chiave di lettura equivarrebbe a “riuscire a guardare dal buco della serratura della stanza di Dio”, insomma a scrutarne i fantasiosi disegni.

Accade così che la voce monologante dell’attore in scena si presti a far da cassa di risonanza e da specchio temporale di rifrangenza di una piccola storia di un passato ordinario, proveniente da un microcosmo contiguo, che è quello della sua Erchie, luogo natio che compendia in sé la realtà e l’immaginario di De Summa, fungendo da cespite narrativo da cui attingere per estrapolare particolari che riconducano all’universale. Tuttavia, se per “Stasera sono in vena” (2015) la Erchie che emergeva aveva tutti i crismi del racconto di prossimità, incentrato su una generazione che era la propria, in questo “Rette parallele sono l’amore e la morte” la storia che da Erchie muove ha più che altro l’ambizione di essere un simbolico legame tra il particolare e l’universale, una piccola vicenda che dal luogo delle radici raggiunge – mediante coincidenze e consonanze per le quali si potrebbero scomodare il metafisico se non addirittura il paranormale – una dimensione “alta” e “altra”, la narrazione di un microcosmo funzionale a raccontare un macromondo.

Chiariamo da subito: trattasi ancora di uno studio. Ma specifichiamo anche: se è uno studio e si mostra con la nuda fattura di una scena spoglia, è pur vero che la sostanza del monologo ci si offre in visione con tutto il nerbo testuale, concettuale e interpretativo che l’autore (e attore) poteva provare a implementare. E se, parlando di uno studio – o di qualcosa che si possa pure considerare qualche passo avanti – ci possiamo azzardare a dargli definizione di spettacolo compiuto, probabilmente è perché possiamo riconoscere nel modus operandi di De Summa i segni di una ben precisa cifra stilistica, all’insegna di una narrazione concepita e congegnata per creare un legame empatico e palpabile tra chi narra e chi assiste.

Ragion per cui, su una scena praticamente nuda, campeggiano giusto un computer poggiato su un leggio, un microfono inastato, un tavolino col mixer e una cassa, il tutto con i fili scoperti a vista; e, se il panorama scenico già ci suggerisce di predisporci all’informale, l’attore corrobora da subito tale intento, offrendosi in proscenio e cominciando a raccontare con fare amichevole e complice, come a voler dichiarare in esergo il tono confidenziale della narrazione.

Su questa intenzione s’innervano poi i piccoli accorgimenti drammaturgici, per cui la narrazione si bilancia tra il racconto della storia e quello della sua gestazione, sicché per cinque volte vediamo De Summa spostarsi dal proscenio a dietro il leggio, e per altrettante volte fare il percorso inverso, ora indugiando sul racconto, ora soffermandosi sulla sua fase preparatoria, scandita dal rumore del ticchettio di una tastiera in sottofondo, mutando il tono della voce dall’uno all’altro dei momenti.

Altro dettaglio stilistico ricorrente è la musica, gli anni ’70, il rock, il bagaglio culturale di una generazione (quella appunto di Oscar), traccia sonora di una educazione sentimentale che è stata scandita dai ritmi di una stagione musicale passata attraverso due, se non tre, decenni e che in questo lavoro diventa quasi un personaggio in aggiunta, con le canzoni del Duca Bianco a far da colonna sonora ai vari momenti dello spettacolo, a tratti accompagnate a voce piena dallo stesso protagonista.

La piccola vicenda ha come personaggi Maria Rosaria e Peppino, due figure diametralmente opposte, che abitano nel paese di Erchie, due individui appartenenti ad altrettanti mondi differenti e distanti (ma calati nello stesso identico microcosmo): lui “molleggiato”, scapestrato, d’estrazione bassa; lei classica ragazza di buona famiglia, rigida come un soldato, il busto a tenerle ritta la schiena, tutta casa e libri di latino.
Due mondi contigui, vicinissimi eppure destinati, a non incrociarsi mai, proprio come le rette parallele.

Una storia che avrebbe rischiato di non essere mai raccontata, se non fosse affiorata alla mente di Oscar per un caso del tutto fortuito. È qui infatti che interviene quella non casualità del caso di cui sopra, quella strana “congiuntura astrale” che, come in un’intercapedine spazio-temporale, contravviene all’assioma che certifica l’impossibilità delle rette parallele di avere un’intersezione, e le porta invece a riannodarsi in un groviglio narrativo, in cui ogni filo è vita e ogni vita è storia, fatta di momenti, sguardi, incontri, scontri, come quello assolutamente casuale che vede Maria Rosaria e Peppino imbattersi l’uno nell’altro il 12 giugno del 1986, all’esterno di un negozio di dischi, con il vinile di David Bowie sottobraccio che finisce in frantumi e un amore che promette di sbocciare.

È la storia di un amore mancato, una storia semplice e qualsiasi, che avrebbe avuto come destino la direzione dell’oblio se la retta parallela a quella della vita – la morte – non l’avesse riconsegnata, sotto forma di notizia improvvisa alla cura di De Summa per farla diventare racconto e memoria. Ma soprattutto per far sì che diventasse emblema di qualcosa di più sottile, qualcosa che mette in relazione kronos e kairos, ovvero il tempo che semplicemente scorre e quello in cui qualcosa accade.

È in questo sottile disegno che risiede il senso (e la bellezza) di questo lavoro, nella semplicità con cui riannoda le fila tra la propria e l’altrui vicenda storica, provando a raccontare avocando a sé in suffragio i riferimenti alla meccanica quantistica, da Einstein alle undici dimensioni, dal principio di indeterminazione di Heisenberg al paradosso del gatto di Schrödinger, ma al contempo restando perfettamente calato in una dimensione umana e sensibile, che culmina in un poetico epilogo.

Così il ricordo si fa racconto, si arricchisce di dettagli, e ciascuno acquisisce senso specifico. Fino a suggerire di essere parte di un disegno più grande e complessivo, in cui ogni più piccolo tassello concorre ad essere parte di una storia più grande – a volte infinitamente più grande – di cui noi, testimoni del tempo, siamo chiamati a farci custodi e veicoli di trasmissione. Come fa Oscar De Summa, anello di congiunzione tra la finitezza del proprio piccolo mondo antico e l’infinitezza del cosmo che lo contiene.

Rette parallele sono l’amore e la morte
di e con Oscar De Summa
progetto luci e scene Matteo Gozzi
progetto sonoro Vladimiro Bentivogli
produzione Atto Due

durata: 1h
applausi del pubblico: 2’ 50’’

Visto a Caserta, Teatro Civico 14/Spazio X, il 12 novembre 2023

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