Il male dei ricci: Gifuni e il Pasolini di “Ragazzi di vita” e “Scritti corsari”

Il male dei ricci (ph: Esther Favilla)
Il male dei ricci (ph: Esther Favilla)

Il monologo tra letteratura e giornalismo fa parte del progetto “I fantasmi della storia”

È il Pasolini degli sfruttati e degli oppressi, ma anche il censore di consumismo e conservatorismo, quello che Fabrizio Gifuni porta in scena nel monologo “Il male dei ricci. Ragazzi di vita e altre visioni”, al Teatro Franco Parenti di Milano. In coppia con il lavoro dedicato ad Aldo Moro dal titolo “Con il vostro irridente silenzio”, il monologo fa parte del progetto “I fantasmi della nostra storia”, che cerca di restituire dignità a due “cadaveri eccellenti”dell’Italia novecentesca.

“Il male dei ricci” mette al centro il Pasolini narratore di “Ragazzi di vita”, ma anche altri libri dello scrittore assassinato sul litorale di Ostia nel 1975: “Poesia in forma di rosa”, “Lettere luterane”, “Scritti corsari” e “Seconda forma de La meglio gioventù”.
In un’epoca in cui alla figura dell’intellettuale non era più richiesto di fornire interpretazioni del mondo e di creare modelli originali per incidere sulla società, Pasolini testimoniava la sopravvivenza di un modello di riferimento culturale forte e profetico.
Di Pasolini, Gifuni mutua il concetto di responsabilità civile e morale dell’intellettuale. In scena, ne riporta brani di “Ragazzi di vita” letti su un leggio, intrecciati a brani giornalistici e a testi di carattere saggistico o poetico.

“Ragazzi di vita” (1955) nasceva dall’incontro fra il mito friulano della “meglio gioventù” e l’esplorazione delle borgate romane. La peculiarità di questo romanzo anticonvenzionale, privo di un filo conduttore generale, consente a Gifuni di riportarne singoli episodi sganciati da qualunque “sugo della storia”.
L’attore propone in stile cinematografico fotogrammi di vita del sottoproletariato delle borgate. Il suo è lo stesso sguardo curioso e benevolo di Pasolini. I protagonisti non sono identificati con il loro vero nome, ma con i soprannomi in codice assegnati dalla loro comunità: il Riccetto, il Piattoletta, il Caciotta. Bastano poche pagine per pennellare personaggi dalla psicologia elementare, caratterizzati da una vitalità che li conduce verso avventure comiche, tragiche, grottesche, per soddisfare bisogni elementari come il cibo e il sesso. Sospinti da un’esuberante energia, essi sono proiettati nel vortice dell’azione, nel ritmo della loro vita picaresca, disperata e allegra, in scorribande spesso al limite della legalità.
È un mondo reietto dalla storia. È un limbo che non ammette compromissioni con la società civile, e men che meno con la politica e la storia. Lo stesso gergo limitato in cui i protagonisti si esprimono è ben caratterizzato da Gifuni, che ne marca gli accenti regionali. È nell’estraneità ai canoni borghesi che sta il fascino di questo mondo.

Come dicevamo, “Ragazzi di vita” è inframmezzato di brani di tipo saggistico che analizzano i problemi socioculturali e politici dell’Italia dal dopoguerra agli anni Settanta. Ne nasce una riflessione spesso polemica e provocatoria anche nei confronti di quella sinistra cui pure politicamente Pasolini apparteneva.
Muovendo dall’idealizzazione di un mondo arcaico preindustriale e da una tensione etico-religiosa autentica, Pasolini stigmatizzava l’Italia snaturata dal benessere consumistico (giudicato una nuova e perversa forma di fascismo), dal potere dei media e dalla dilagante corruzione politica. Di qui i toni apocalittici degli “Scritti corsari” e delle “Lettere luterane”.

Gifuni flette il corpo, pervaso come corda di violino dalle note vibranti di quegli scritti. L’attore si agita, sedendo, alzandosi, scoordinandosi in maniera febbrile. Scuote la platea, violando la quarta parete.
L’attacco è alla civiltà materialistica, matrigna di una devastante omologazione. Oppure all’Italietta dei mille intrighi politici fomentati dallo stesso “Palazzo” (fu proprio Pasolini a rimodellare il termine in senso figurato, per indicare il potere esercitato in modo malsano e autoreferenziale, refrattario ai bisogni del popolo).
“Il male dei ricci” è un teatro epico, emotivamente spiazzante eppure dotato di una forte lucidità nel prefigurare le derive dell’Italia dei nostri anni: dal consumismo alla crisi politica e sociale, da Tangentopoli al partito degli influencer.

Gifuni propone Pasolini e un’epoca a chi non li ha conosciuti; aiuta tuttavia a comprendere quel passaggio storico anche a chi c’era ed era troppo coinvolto per poterne avere una visione nitida.
Nessun intermezzo sonoro in questo monologo. Nessuna didascalia musicale. Un disegno luci sobrio cristallizza la relazione di sguardi tra gli spettatori e l’attore. Quella di Gifuni è una vocalità corporea, mentre in scena si staglia un corpo vocale danzante.
Il gesto performativo pervade braccia e gambe, tendini e sangue. Il corpo è solo il segmento finale di un’operazione di scrittura complessa. Attraverso questa drammaturgia meditata, frutto di un lavoro di scucitura e ricucitura meticoloso, Gifuni riannoda i fili della memoria. Ci restituisce personaggi di una freschezza disarmante e riflessioni intramontabili. Regala al pubblico nuove prospettive per comprendere ciò che siamo diventati, con un rituale esilarante e pensoso, doloroso e liberatorio.

Il male dei ricci. Ragazzi di vita e altre visioni
ideazione e drammaturgia di Fabrizio Gifuni
da Ragazzi di vita, Poesia in forma di rosa, Lettere luterane, Scritti corsari, Seconda forma de La meglio gioventù di Pier Paolo Pasolini

durata: 1h 50’
applausi del pubblico: 5’ 30”

Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, il 9 gennaio 2024

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