Le Notti Bianche di Stefano Cordella: amori fragili al tempo dei device

Ph: Alessandro Saletta
Ph: Alessandro Saletta

Alma Poli, Diego Finazzi e le disillusioni di una generazione in una produzione MTM

C’è il senso della solitudine e un ineffabile bisogno di beatitudine nelle “Notti bianche” che Stefano Cordella ha allestito nello scenario intimo della Cavallerizza, all’interno di Palazzo Arese Litta a Milano. I nudi mattoni rossi di questa scuderia settecentesca rimandano a un tempo e a uno spazio remoti. Come le pagine del romanzo di un giovanissimo Fëdor Dostoevskji, qui aggiornate alla drammaturgia da Elena C. Patacchini.

Il sogno è una potente via di fuga. Rivolgere lo sguardo alla notte stellata, per costruire i desideri. «Uccidiamo il chiaro di luna!», proclamavano i futuristi. Cordella la luna la risuscita. Protagonisti della sua agile messinscena sono Alma Poli nei panni di Nasten’ka, in abito lungo, soprabito e borsa, seduta china su un tavolino (al centro del quale campeggia, quasi vaso di fiori, un catino con fontanella) e Diego Finazzi, camicia bianca, pantaloni e gilet grigi.
Lui, il “sognatore”, ha in mano una musicassetta mini. La inserisce in un mangianastri, e avvia la pièce con le prime righe del romanzo, tra le più belle della letteratura di ogni tempo: «Era una notte incantevole, una di quelle notti, come ci possono forse capitare solo quando siamo giovani, caro lettore. Il cielo era un cielo così stellato, così luminoso che, guardandolo, non si poteva fare a meno di chiedersi: è mai possibile che esistano sotto un simile cielo persone irritate e capricciose»?

Due solitudini, e l’assillo di un amore più come afflato onirico che come reale condivisione. C’è una tastiera musicale a un lato: sarà usata live dai due protagonisti come strumento per dichiararsi un amore claudicante, pavido, incerto. L’arte è la mediazione più potente per comunicare. Qui al centro c’è un sentimento timoroso, mai spavaldo, fatto di sorrisi, evasioni, elusioni. L’incontro non diventa mai però attraversamento, tanto meno compenetrazione. E ha bisogno della tecnologia per dichiararsi.

Ci sono un registratore e una tastiera. La nostra è invece l’epoca dei device. Cambia poco. Ed è in queste soluzioni registiche che le “Notti bianche” di Cordella diventano attuali, più che nelle gratuite forzature drammaturgiche. Informarci che la nonna della ragazza è patita della “Ruota della fortuna” o di film western, che le vacanze «sono sopravvalutate», che la zucca è in forno ma esiste anche la cena da asporto, o che amarsi è fare insieme la spesa al super per comprare caffè e spazzolino, darà forse concretezza a una storia sospesa, ma nulla aggiunge a Dostoevskij.
Riservatezza, imbarazzo, e l’incapacità di prendere in mano la propria vita. Attendere; rimandare; e rinunciare a vivere. Sbattere in faccia al potenziale partner il proprio bisogno d’amicizia, per la paura di una relazione impegnata e stabile.
Le delicatissime luci disegnate da Fulvio Melli creano spazi lirici per un dialogo sempre sul punto di diventare trama, ma una trama incapace di cristallizzarsi.

La provvisorietà. La paura del “sempre e per sempre”. Come nella canzone “Ho capito che ti amo” di Luigi Tenco, evanescente colonna sonora, consapevolezza e promessa d’amore imperituro che sfuma nell’intrico di una nostalgica malinconia.
Il cambio d’abito (i costumi sono di Francesca Biffi) è il tentativo velleitario di mostrarci per ciò che non siamo, magari indossando una corazza maschile, o assumendo la forma delicata e seducente di un vestitino femminile color carta da zucchero.
La paura della solitudine. E l’angoscia di lasciarla, quella solitudine.
“Le notti bianche” di Stefano Cordella raccontano una generazione. Poli e Finazzi danno forma a un’ingenuità senza sovrastrutture. Ci sembra davvero di incontrare due innamorati ai primi palpiti. Ma forse occorreva qualcosa di più nella recitazione per dare forma a quei sentimenti. Avvertiamo la poesia e il nitore degli sguardi. Non ci scaldano le parole. Che restano in superficie, senza raggiungere mai veramente il cuore.

LE NOTTI BIANCHE
da Fëdor Dostoevskij
ideazione e regia Stefano Cordella
drammaturgia Elena C. Patacchini
con Alma Poli e Diego Finazzi
disegno Luci Fulvio Melli
scene e costumi Francesca Biffi
assistente alla regia Sofia Tieri
staff tecnico Stefano Lattanzio, Ahmad Shalabi
direzione di produzione Elisa Mondadori
produzione Manifatture Teatrali Milanesi

durata: 1h
applausi del pubblico: 2’

Visto a Milano, Teatro Litta, La Cavallerizza, il 13 aprile 2024

 

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