Al Rabicano Festival un teatro necessario: dialoghi tra passato e futuro

Rabicano festival 24 (ph: Daniele Mantovani)
Rabicano festival 24 (ph: Daniele Mantovani)

Prima edizione del festival per spazi aperti organizzato a Ferrara dal Teatro Nucleo, che festeggia 50 anni di attività

D’amar quel Rabicano avea ragione;
che non v’era un miglior per correr lancia,
e l’avea da l’estrema regïone
de l’India cavalcato insin in Francia.
(Ludovico Ariosto, Orlando Fuorioso XXII-29)

Dal 3 al 12 maggio si è svolto il Rabicano Festival, organizzato dal Teatro Nucleo di Ferrara in concomitanza con i festeggiamenti del cinquantenario del gruppo, ospitando 37 spettacoli di compagnie provenienti da tutto il mondo: Italia, Danimarca, Polonia, Germania, Spagna, Slovenia in 31 location della città tra centro e periferia. Una festa del teatro che, proprio nella scelta della gratuità e degli spazi aperti come luoghi di rappresentazione, crea un filo spirituale e ideologico dal Rinascimento ad oggi, con uno sguardo sempre rivolto al futuro.

Rabicano è il cavallo di Astolfo, fedele amico di Orlando, divenuto folle per amore. Astolfo sarà colui che cercherà e troverà sulla Luna il senno del suo amico paladino della dinastia carolingia. Rabicano è un cavallo senza peso, che vola e vive d’aria, fedele e mosso d’amore. Metafora perfetta per il teatro, e quindi nome scelto per la prima edizione del festival del teatro degli spazi aperti.

Nella Ferrara tardorinascimentale, città natale del teatro moderno, Ariosto pubblicò il suo “Orlando Furioso”. Città che più di tutte in Italia ha vissuto l’arte teatrale come veicolo di comunicazione dei sogni e delle utopie dell’Uomo. Un caso (o forse no) che proprio questa città ospiti il Teatro Nucleo da quasi 50 anni, fondato da Horacio Czertok e Cora Herrendorf, recentemente scomparsa, a Buenos Aires nel 1974 e trasferitosi in Italia a seguito della dittatura.

“Ci è sembrata una analogia fortissima quella tra il teatro e la funzione di Rabicano nell’opera di Ariosto – spiega il Teatro Nucleo – Ed è da questa ispirazione che il festival ha preso il nome. Il teatro recupera la memoria perduta, permette alla polis di riconoscersi, di lottare contro l’abbruttimento generato dall’uso smodato dei social e del digitale. Dal mondo dell’etere, riconduce ad un incontro reale, nell’hic et nunc del fenomeno teatrale, nella piazza e nelle strade”.

Un festival di teatro negli spazi aperti che diviene megafono, amplificatore e canto di una necessità sociale e culturale che predilige la collettività, l’incontro, il dialogo e la bellezza contro una realtà quotidiana che ci spinge sempre più verso l’individualismo e la solitudine. E che, lavorando sul filo della memoria, pone domande per un lavoro sul futuro.

(ph: Daniele Mantovani)
(ph: Daniele Mantovani)

Questo è avvenuto soprattutto in occasione dei diversi convegni e incontri di studio e ricerca teatrale: “La rivoluzione del teatro negli spazi aperti dal Rinascimento ad oggi”, coordinato da Carlo Fanelli del dipartimento di studi umanistici dell’Università di Calabria; e il seminario di studio “Con Cora prima e dopo. L’autorialità femminile a teatro”, coordinato dalla prof.ssa Roberta Gandolfi dell’Università di Parma e, nella seconda giornata, dalla prof.ssa Laura Mariani dell’Università di Bologna con la partecipazione di numerosi ospiti e allievi di Cora Herrendorf.

L’incontro fra teatranti di diverse generazioni e studiosi di teatro ha dato vita ad un dialogo volto verso il futuro, sul filo della consapevolezza di ciò che è stato, la trasmissione della conoscenza da parte dei maestri, primi fra tutti proprio Cora Herrendorf, e l’eredità, testimone che forse appare difficile da sostenere, ma che probabilmente nella figura di Natasha Czertok, figlia d’arte, sembra aver trovato la giusta accoglienza, un binario da seguire, un futuro possibile.

La riflessione ha preso vita dalle sale dei convegni per spostarsi alle piazze e alle strade, senza arrivare a risposte conclusive, ma ponendo una via, un tragitto di giuste domande, alle quali la vita stessa porterà risposta, attraverso nuovi studi e ricerche ma anche spettacoli, persone, luoghi ed incontri.

La scelta stessa degli spettacoli da proporre al pubblico ha mostrato un’attenzione particolare alla memoria e alla storia, al valore necessario della trasmissione dell’esperienza, alternando compagnie storiche a giovani e giovanissimi artisti.

Prima fra tutti la nuova messa in scena dello storico spettacolo “Quijote!” del Teatro Nucleo, che ha visto più di 400 repliche in tre continenti, di cui Natasha Czertok ha “ereditato” la funzione registica dalla madre. In scena Horacio Czertok, nel suo storico ruolo errante di Don Chisciotte, guida indomita di giovani attori in questo spettacolo per spazi aperti. Spettacolo che, per eccellenza, è la grande metafora del viaggio come conoscenza, della vita, del tempo. Un tempo che è anche quello del sogno, dell’utopia, della festa, fuori dalle convenzioni e libero di agire tra illusione e realtà.

Lo spettacolo è costruito su azioni, coreografie, macchine sceniche, fuoco, musica e parole, andando dritto verso lo stomaco dello spettatore, entrando dentro la sua sensibilità, risuonando come una scossa. L’interazione emotiva che si ha tra attori e spettatori è una forma di rivendicazione della vita contro la quotidiana assuefazione, il narcisismo, l’apatia, la digitalizzazione e lo stordimento.

Fin dalle origini il teatro ha avuto una funzione rituale e sociale, è stato da sempre strumento di riflessione catartica sul sé individuale e collettivo, specchio di nodi politici e vuoti spirituali. Il teatro di Rabicano Festival ha rivendicato questa funzione fondamentale di crescita culturale e sociale, il suo ruolo naturale di trasformazione individuale e collettiva. Il teatro ha urlato quindi la grande necessità di tornare ad essere veicolo di metamorfosi urbana, che sia in grado di canalizzare l’attenzione dei passanti. Conduttore di bellezza, vita, amore. Come Astolfo che volò fino alla Luna su un ippogrifo, il teatro ci restituisce l’utopia di un futuro altro.

Cora Herrendorf, sempre presente attraverso la sua immagine nella fotografia presente in ogni pensilina delle fermate degli autobus della città di Ferrara, disse a proposito del Quijote: “Di fronte allo spazio vuoto del nostro teatro, quando abbiamo deciso di inoltrarci nel montaggio del Quijote mi sorse una domanda: qual è la differenza tra un cavaliere cacciatore di sogni e un conquistatore d’anime? Chi sono i boia della fantasia? Si trovano tra quelli che, avidi di potere, non si preoccupano delle armi che usano per ottenerlo? O tra quelli che, nell’ignoranza, consentono e tacciono?”.

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