Il Giardino delle Esperidi 24: un cammino tra i boschi lungo vent’anni

Michele Losi (ph: Alvise Crovato)
Michele Losi (ph: Alvise Crovato)

Michele Losi ci racconta la nuova edizione del festival di Campsirago, in programma tra il 21 e il 30 giugno con Motus, Is Mascareddas e Oscar De Summa

Teatro nel paesaggio. Teatro in cammino nella natura. Interagendo con corsi d’acqua, alberi e sentieri. Esplorando lati insondati di sé nell’interazione con i luoghi.
L’idea di un percorso sempre in divenire è ciò che caratterizza Il Giardino delle Esperidi, festival di performing art nel paesaggio, giunto quest’anno alla ventesima edizione.
Da oggi, venerdì 21, a domenica 30 giugno l’arte animerà antichi sentieri romanici della Brianza: cascine, parchi e ville storiche. Anfratti più o meno ignoti intorno a Campsirago, quartier generale del festival, che si dipana nei comuni di Colle Brianza, Ello, Olgiate Molgora, Olginate, Sirtori, Valgreghentino, nella Valle del Curone e nei parchi del Monte Barro (Galbiate) e di Montevecchia.

Il direttore artistico Michele Losi ci presenta il festival, in partenza oggi.

Michele, come siete cambiati in questi vent’anni? Com’è cambiata Campsirago?
Siamo invecchiati. Ma sono arrivate tante nuove persone. Pertanto ci siamo rinnovati. Nuove facce, nuove compagnie. Alcuni artisti ritornano. Altri arrivano qui per la prima volta. Vent’anni fa Campsirago era solo un borgo diroccato. La nostra sede non esisteva. Ora ha subito una ricostruzione attenta e meticolosa. È un luogo del tutto abitabile, ma allo stesso tempo non devastato da una modernizzazione selvaggia. Campsirago mantiene tutto il fascino di vent’anni fa. Avere degli spazi idonei per fare creazione e ospitalità ha mutato la percezione di questo luogo aperto al pubblico. Siamo cresciuti in consapevolezza. Non cerchiamo più i nomi, ma nuove risposte alla nostra poetica di teatro nella natura, nel segno della ricerca e della sperimentazione.

E tu, come sei cambiato?
Sono più consapevole delle vie da percorrere. Ho capito dagli errori, e dall’aver spesso lanciato il cuore oltre la siepe, quando e fino a che punto è il caso di rischiare e di esagerare. Ho imparato molto sul sistema teatrale, su come funziona una struttura. Ho capito che un festival è un’alchimia legata non al ritmo di produzioni sganciate tra loro, ma segnata dalla coerenza, dagli approfondimenti e dalle interconnessioni rispetto e determinati temi. In questa edizione abbiamo scelto il cammino come preludio a dei rituali. L’anno prossimo continueremo ad approfondire la suggestione del rituale.

Nel brano “Vent’anni” Massimo Ranieri usa la parola “orgoglio”. Tu di che cosa sei orgoglioso?
Di aver creato un luogo aperto alla sperimentazione, alla ricerca, al passaggio di nuove persone. Non ci siamo mai rinchiusi del nostro bozzolo. Campsirago è un luogo unico anche per la sua bellezza.

Siete molto resilienti. Non vi siete fermati neanche durante il Covid, o quando siete rimasti senza i finanziamenti promessi.
Campsirago nasce con il festival, e dal festival nascono la residenza e le compagnie che ora hanno qui la loro sede creativa e produttiva. Aver proposto “Il giardino delle Esperidi” anche nel 2020, alla fine delle restrizioni imposte per via del Coronavirus, con il distanziamento e le mascherine anche all’aperto, è stata senz’altro una prova di resilienza. Ma mi rendo conto che tenere dritta la barra del timone con ogni tempesta è difficile. E dispiace non essere stato sempre in grado di tenere tutti a bordo. È legittimo che qualcuno a volte decida di lasciare questo luogo. Noi non rivendichiamo un’appartenenza assoluta. Essendo Campsirago un luogo aperto, succede anche che qualcuno ritorni.

Quali nomi hanno accompagnato il vostro percorso?
Tantissimi. Dai fondatori, Giulietta De Bernardi, Anna Fascendini, Joseph Scicluna, a Tania Corradini, Marco Mazza a Renata Palminiello. Ma occorrerebbe un libro per fare l’elenco dei nomi e delle esperienze. Mi limito a Scottish Dance Theater, Courious Seed, Other Spaces, Nori Tanaka, Verte Dance. E poi Virus Theater, Societas, Motus, Riserva Canini, David Zuazola, Wundertruppe, Azioni Fuori Posto, fino a Sjoerd Wagenaar.

Due anni fa la vittoria del bando del Pnrr, con uno stanziamento di oltre un milione e mezzo di euro, aveva creato grande euforia a Campsirago. Un anno dopo, di quei finanziamenti non c’era traccia nelle vostre casse. Avevate finanziato di tasca vostra Esperidi 2023, rinunciando a diverse mensilità, indebitandovi fino al collo. Com’è la situazione adesso?
A lungo termine i finanziamenti sono una gran cosa. Stanno consentendo al borgo di diventare più accogliente, con una sala e spazi artigianali. Ma non posso disconoscere che le procedure sono farraginose. Gli enti locali non sono pronti a gestire fondi così cospicui. Il ministero non ha colto le difficoltà dei piccoli comuni. I bandi sono complicati. Le lungaggini hanno creato ansia e a volte angoscia nella compagnia, certo non imputabili alla cattiva volontà politica. Ora finalmente abbiamo proceduto alla firma dei contratti. Stiamo aspettando i fondi, ma con i contratti firmati ci sentiamo più tutelati. Detto questo, tale impasse ha portato a gravi ritardi nei pagamenti degli stipendi e dei fornitori. Il nervosismo, l’assenza di serenità, sono un problema endemico del nostro settore, a partire dalla tempistica dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. I finanziamenti in Italia arrivano sempre a posteriori, mai in corso d’opera. Questo rende complicata anche la programmazione.

A quali fondi avete attinto per l’edizione che inizia oggi?
Sono fondi comunali e di fondazioni, come la Comunità di Lecco e Cariplo. Poi ci sono lo sbigliettamento, il Pnrr e infine degli investimenti nostri. Il festival è anche una vetrina manifesto della nostra arte.

Qual è la peculiarità di Esperidi 2024?
Il ritorno alle origini. Riproponiamo la centralità del camminare attraverso il Monte di Brianza. Coinvolgiamo i parchi di Montevecchia e del Monte Barro considerandoli un tutto unitario, in un’ottica politica, ambientalista e soprattutto di comunità. Altre giornate saranno di tipo più tradizionale, con gli spettacoli di Motus “OF THE NIGHTINGALE I ENVY THE FATE (Dell’usignolo invidio la sorte)”, Is Mascareddas (Premio Speciale Ubu 23 con “Dialogo con la morte”) e Carlotta Viscovo (con “Il Corpo della lotta”). Ci saranno le prime regionali “Rimaye” di Azioni Fuori Posto e “Storie sopra e sotto l’albero” di La Baracca Testoni Ragazzi. Segnalo anche “Rette parallele sono l’amore e la morte studio” di Oscar de Summa, e “Ora felice”, anteprima di Qui e Ora Residenza Teatrale.
Poi “Famiglia Puddu”, monologo contro la guerra di cada die teatro. E la lunga “Crossing experience” di domenica 23 giugno, dalle ore 11 alle 16, in compagnia del poeta Tiziano Fratus, del giornalista Oliviero Ponte di Pino e dell’antropologa Daniela Parafioriti, partendo dai giardini di Villa Bertarelli di Galbiate, per arrivare fino alla Cascina La fura di Ello.
E ancora: l’installazione teatrale tout public “Arcipelago” di Teatro Telaio, il circo di Teatro Tascabile con “Messieur che figura!”. Poi il nostro “Sentiero delle acque”, con le musiche di Luca Maria Baldini e la voce narrante di Sebastiano Sicurezza. Un bellissimo esperimento ibrido tra virtuale e reale è l’installazione danzata “FLUX full experience” di Maura Di Vietri, prodotta da Fattoria Vittadini. Infine, per i più piccoli, “Alberi maestri kids” di Campsirago Residenza, e “Biancaneve” sempre de La Baracca Testoni Ragazzi.

Voi di Campsirago Residenza sarete presenti su tutto il territorio anche con il sempreverde “Hamlet Private”, e soprattutto con la novità “Just walking”. Di cosa si tratta?
“Just walking” è una sorta di summa dell’arte del arte camminare nelle sue varie forme. Una riflessione. Un teatro nel paesaggio, nel segno del vagabondaggio urbano e delle camminate giapponesi in mezzo alla natura. Testi, materiali, suoni e melodie sono inediti, e legati a ciascun tipo di cammino. È un lavoro site specific, anche politico, perché questi attraversamenti (proponiamo quattro tappe) sono una forma di riappropriazione dello spazio pubblico. Le versioni inforestate sono un’immersione alla Henry David Thoreau; quelle urbane hanno un approccio più antropologico.

Cosa ti aspetti dai prossimi vent’anni?
Una ricerca ancora più avanguardistica. E un passaggio di testimone che non sia sostituzione, ma piuttosto una stratificazione generazionale.

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