Margine Operativo: la nostra sfida per una trasformazione passa dal teatro

Alice al contrario (ph: Carolina Farina)
Alice al contrario (ph: Carolina Farina)

Con Alessandra Ferraro e Pako Graziani riflettiamo sull’urgenza di un cambiamento sociale che si nutra di arte

Per raccontare gli ultimi tre giorni del festival Attraversamenti Multipli partiremo dalla conclusione, camminando a ritroso e seguendo un percorso che costruisce pensiero e riflessione sul fare teatro.

A Toffia, un delizioso paese medioevale della provincia di Rieti, terminata l’ultima performance della giornata, incontriamo gli organizzatori del festival, Alessandra Ferraro e Pako Graziani di Margine Operativo, stanchi ma soddisfatti, che con estrema disponibilità ci condividono alcune riflessioni a caldo sul festival e sulla politica culturale e teatrale che conducono da anni. Tre i pilastri concettuali ricorrenti: orizzontalità, sfida, trasformazione.

“Attraversamenti Multipli è un organismo mutaforma e multiforme, un organismo unitario all’interno dei luoghi di vita con cui dialoga in un flusso di reciprocità e orizzontalità relazionale” esordisce Alessandra. “Inseriamo l’elemento extra-quotidiano in dimensioni urbane, creando uno scarto, un’asimmetria nei flussi quotidiani – Pako prosegue – Così l’elemento artistico dialoga con gli spazi pubblici; sono corpi nei corpi che creano un nuovo stato, un nuovo organismo unitario, un corpo multiplo, in cui sfuma la divisione tra corpo in azione e corpo in osservazione. Il centro è il nuovo spazio che si costruisce dalla relazione”.

L’orizzontalità sta nella relazione, ampliando l’assunto grotowskiano di relazione tra attore e spettatore, includendo anche la relazione degli artisti fra di loro, il dialogo con gli organizzatori, la percezione dello spazio urbano o extraurbano.
Il progetto Attraversamenti Multipli, fin dalla sua prima edizione del 2001, vive lo spazio pubblico, immagina, rigenera e abita i luoghi con forme e linguaggi d’innovazione e di contemporaneità. Crea confini molli da attraversare, valorizzando un genere artistico ibrido, contaminato, fluido e in movimento. L’orizzontalità della relazione con le compagnie rappresenta una scelta etica e politica di un fare teatro che valorizzi il dialogo tra organizzatore e artista, in cui l’impegno è quello di costruire insieme senza gerarchie verticali, un corpo unitario, comprensivo.

“La nostra scelta degli artisti è determinata da molti fattori – precisa Pako precisa – Tra gli altri dalla capacità di relazionarsi con lo spazio e con il pubblico”. “ll lavoro sul site specific – interviene Alessandra – lo elaboriamo insieme all’artista, che sarà disposto a modificare il lavoro proposto proprio in base allo spazio scelto di messa in scena. Si basa tutto sul dialogo e sul rispetto reciproco”. “Scegliamo la modalità di collaborazione e di dialogo in armonia tra noi tutti e con lo spazio pubblico scelto – spiega Pako – Fondamentale è sentirsi all’interno di un organismo comune. Per questo ci vuole rispetto reciproco. Orizzontale è la relazione. Trattiamo allo stesso modo compagnie emergenti e compagnie note, sia economicamente che nella pratica del lavoro. Valorizzando il dialogo”.

Un’etica di lavoro, quella degli organizzatori, che si contrappone alle logiche sempre più diffuse di scambi e favoritismi nelle programmazioni di festival e rassegne.
L’orizzontalità è una scelta politica. Una nuova relazione con gli spazi, verso la creazione del nuovo. Un dialogo con le compagnie e gli artisti selezionati, appartenenti a diverse generazioni ed esperienze, prediligendo l’autorialità femminile per abbattere il gender gap vigente nel mondo teatrale (e non solo), che valorizzi i nuovi linguaggi artistici in relazione ad un pubblico non elitario ma eterogeneo.

Questa scelta politica si fa sfida. Una sfida che diviene motore ed energia vitale del festival stesso. E’ proprio Pako a parlare più volte di sfida: “La sfida è innanzitutto determinata dai rischi di accessibilità al pubblico, dalla visione e percezione di ciò che proponiamo. Non abbiamo mai percepito modalità respingenti. Addirittura, abbiamo un pubblico affezionato che ci segue da anni, da quando il festival si trovava a Largo Spartaco a Roma, una zona di confine della periferia urbana. Ora questo pubblico ha assimilato una capacità d’osservazione e di lettura degli spettacoli che inizialmente non aveva. In pochi vanno a teatro. Il teatro istituzionale è per pochi, è un mondo classista. Noi intercettiamo spettatori, osservatori. Cerchiamo di creare, attraverso l’azione artistica, aree di miglioramento. Il rischio sta nel mettere in relazione arte e flusso quotidiano della vita per trasformare la società”.

Una sfida, quella di “intercettare” un pubblico. Un pubblico non prettamente teatrale. Che semplicemente sceglie di deviare il proprio corso quotidiano, attraversare un luogo che viene trasformato dall’arte per lasciarsi trasformare anch’egli. Il rischio sta nella percentuale di imprevisto. L’artista dovrà essere pronto a dialogare con l’inatteso, con l’imprevedibile. In questo modo si crea trasformazione, come sostiene Alessandra: “I luoghi vengono rigenerati in movimento”. Una rigenerazione attraverso l’azione artistica che porti a sostenibilità ambientale, equità sociale, pluralità.

La trasformazione è l’ultimo pilastro che tocchiamo nella nostra chiacchierata. Ma forse il centrale, il caposaldo, l’orizzonte verso cui dirigersi. La trasformazione permette l’attraversamento, il passaggio da percorrere verso il nuovo. In ogni spettacolo visto nelle tre serate conclusive del festival la trasformazione è stato il faro seguito, che si è dipinto di diversi colori.

“Alice al contrario” di Twain, ad esempio, è uno spettacolo site-specific fra danza e teatro. Un’Alice adulta si riscopre bambina in un mondo delle meraviglie non-sense. Un inno all’infanzia, ai sogni e alle aspettative, alla femminilità come manifestazione della volontà di dare vita all’immaginario. Dedicato ai bambini, coinvolgente e interattivo, per questa occasione viene realizzato in una piccola piazzetta di Toffia circondata da abitazioni in pietra, fiori, signore che chiacchieravano alla porta di casa, protagoniste involontarie di un mondo teatrale che di conseguenza innesca un caleidoscopico mondo di riflessi su chi guarda e chi è guardato.

Dedicati all’infanzia anche gli spettacoli di circo contemporaneo. Quello ironico e virtuoso delle giocoliere abilissime del duo Pi Greco Company, “My heart is on the table”, un viaggio acrobatico e sul filo dell’equilibrio che narra il mondo delle tentazioni, i sensi di colpa e il desiderio. Quello più poetico di Francesca Martello, in arte Fra Martò, “Out of the blue”, che ci fa vivere con ironia e leggerezza la vita di un’eroina della quotidianità: la casalinga.

Entrambe le proposte sono caratterizzate dalla presenza esclusiva di donne, artiste dalla grande esperienza e formazione internazionale, e dal tempo dilatato di un circo performativo e teatrale, in cui il lavoro attoriale è espresso con tanta forza quanto quello strettamente acrobatico o di giocoleria. Entrambi gli spettacoli propongono una riflessione sulle piccole cose della vita, sulla quotidianità, donandoci, con un ritmo rallentato e metaforico, uno specchio della nostra esistenza, e permettendoci di guardare oltre, con il sorriso, verso prospettive di cambiamento personale.

Procedendo ancora a ritroso nel tempo, di diverso colore e attitudine, probabilmente di maggiore impatto contenutistico, sono stati gli spettacoli dell’ultimo appuntamento romano a Parco di Torre del Fiscale, ai piedi dell’Acquedotto romano.

Margine Operativo ha presentato il suo “JESUS_appunti sulla fine del mondo”, spettacolo che ha le sue radici nel romanzo discusso e contestato “Il Vangelo secondo Gesù” di Josè Saramago. Unico performer in scena Yoris Petrillo, che occupa lo spazio dell’acquedotto come fosse scenografia viva e partecipe. Porta in scena un Gesù umano e umanizzato, in rapporto con un Dio creatore e distruttore, padre menzognero e vendicativo, che inganna e mente. L’umanizzazione del divino comporta una visione solitaria e abbandonata dell’umanità. Un’umanità del resto poco consapevole dei suoi errori, che va verso la fine del mondo e nulla sembra poterla proteggere. Il suo Dio osserva e aspetta.
Il Gesù di Saramago, ripreso anche con velata ironia, racconta il rapporto con un Dio distante ed indifferente del dolore che provoca. Un testo da molti ritenuto blasfemo, messo in scena con coraggio, affrontandone la sfida, in bilico tra danza e teatro, e caratterizzato da un importante disegno sonoro.

Jesus (ph: Carolina Farina)
Jesus (ph: Carolina Farina)

Altro spettacolo che ha accompagnato lo spettatore alla riflessione su contenuti prepotentemente integrati alla visione della performance è “Sport” di Salvo Lombardo/Chiasma, lo spettacolo che forse meno si inserisce nell’ambiente naturale del parco. Si svolge su una piattaforma di tappeto-danza bianco rettangolare, e gli spettatori si trovano su entrambi i lati lunghi. La scelta dell’orario è però essere perfetta per il particolare effetto luminoso che si ottiene sulla scena, uniforme, senza ombre, come un piazzato difficilmente realizzabile per uniformità, aiutato da una giornata stranamente velata.
“Sport” avvia una riflessione sulla caduta, sulla fragilità umana, sul rifiuto ed infine la sua accettazione. Un’amorevole presenza sostiene l’altro, un abbraccio derivato dalla lotta, una nuova visione dell’agonismo e della competizione intesa come scontro.
In un tempo dilatato, fatto di ripetizioni, movimenti infinitamente uguali creano un ritmo incessante, fino ad arrivare agli accenti emotivi e al crollo, all’incontro e alla consapevolezza della propria condizione umana. La performance “Sport” è una ricerca in perpetua trasformazione iniziata più di un anno fa. Caratterizzata da una struttura modulare che si può adattare ai diversi spazi, a volte vede la presenza di tutti gli attori in scena, racconta Salvo Lombardo, altre solo due performer, come in questo caso. Ma qualcosa è diverso dal previsto.
Terminata la performance, Lombardo entra sulla scena con un microfono e dei fogli. Fa notare al pubblico che i performer che avrebbero dovuto essere in scena sono altri. Assenti quindi Jaskaran Anand e Fabritia D’Intino, sostituiti da Chiara Ameglio e Daria Greco. Il coreografo spiega che l’assenza di Jaskaran è causata da un’aggressione subita pochi giorni prima in Austria per discriminazione. Ricoverato all’ospedale, è già fuori pericolo, ma ha riportato una commozione cerebrale.
L’artista distribuisce i fogli che ha in mano. La realtà entra prepotente in un contesto performativo. Gli spettatori, commossi e scioccati, leggono il contenuto dei fogli distribuiti, una lettera a noi spettatori da parte di Jaskaran Anand, in cui racconta la sua disavventura.
La lettura del contenuto sembra ribadire con forza la necessità dell’arte, del fare teatro, di essere in quel preciso posto in quel preciso momento. La trasformazione è necessaria. Condurre una lotta verso un miglioramento sociale è urgente: l’arte e la sua modalità portatrice di pace contro ogni forma d’odio è necessaria.
Anand scrive: “Questa notta, mentre guardate la performance alla quale io sarei dovuto essere presente oggi, spero riflettiate su questi temi (la violenza, la discriminazione sociale e l’odio). Questa è la nostra società e noi dobbiamo esserne consapevoli e compiere azioni per cambiarla”.
Verso l’orizzontalità dei rapporti umani e l’equità, per una trasformazione sociale e politica, bisogna accettare con coraggio la sfida. L’arte è il mezzo del cambiamento.

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