Contenuti e canti. A Bolzano Danza (La)Horde e Alessandro Sciarroni con gli spettacoli più attesi

Age of content (ph: Andrea Macchia)
Age of content (ph: Andrea Macchia)

In prima nazionale “Age of content” del Ballet National de Marseille e “U.” di Sciarroni

La 40^ edizione di Bolzano Danza si è consumata tra moltissimi spettacoli, la defezione di Emanuele Masi, il direttore uscente (come già abbiamo scritto), e una bella dedica a Silvia Poletti, collega scomparsa anzitempo.
Due spettacoli, uguali e contrari, “Age of Content” di (La)Horde e “[U. Un canto]” di Alessandro Sciarroni, erano molto attesi. Lo saranno prossimamente anche a Torinodanza, al Teatro “Romolo Valli” di Reggio Emilia e nei vari circuiti che li hanno coprodotti anche all’estero.

Le entusiastiche recensioni e i molti like riservati al collettivo fondato nel 2013 da Marine Brutti, Jonathan Debrouwer e Arthur Harel, dal 2019 alla testa del Ballet National de Marseille, dovrebbero indurmi ad un atteggiamento taoista: “Il saggio […] agisce ma non conta sui risultati. Quando l’opera è compiuta, non vi si sofferma”, dice Lao Tzu.
Invece, eccoci a raccontare l’avventura scenica di diciassette energici e frenetici danzatori, a cui Masi si affezionò sin dal 2022. Costoro corteggiano la generazione cosiddetta Z inseguendo i social, i videogiochi, tutto quello che i più giovani amano ritrovare nei loro cellulari e il mercato dai grandi numeri di cantanti pop come Madonna ed altri, sempre scegliendo dei capitoli tematici prediletti dai loro beniamini. Pare abbiano creato video di una certa fierezza critica, presumibilmente sociale, ma purtroppo per chi leggerà questo scritto, noi non abbiamo una letteratura in merito.

Ci siamo imbattuti ne (La)Horde ora e solo in questo “Age of Content /Età dei contenuti”, equivalente ad una sorta di modernariato coreutico rivisto e corretto a suon di salti, scazzottate, macchine che entrano in scena, guidate e distrutte da alieni in tute e da pacche sul sedere per danzatrici a terra. Eccessivo sessismo per la tanto decantata critica della Horde agli errati comportamenti giovanili? Esasperazione della violenza e del bullismo per indurre a pacatezza? C’è da dubitare che tutte queste immagini-ossimoro portino a una qualche presa di coscienza etico-sociale. Creano sorpresa, esaltano chi si lascia catturare dall’energia nell’iniziale invasione motoria che rimanda non certo (magari!) alla cattiveria di “Arancia Meccanica”, piuttosto a certi film con James Dean, o forse a qualche gioco tiktok o Tiki Taka Toe assai fasulli.
Difficile poi che la presunta amica Lucinda Childs, fautrice del minimalismo fine anni Sessanta, abbia potuto apprezzare il caos non strutturato e alquanto noioso di un non citato, né trasfigurato, “Dance” (1979) su musica di Philip Glass, tutta geometrie e virginali passi ripetuti ma ipnotici. Childs/Glass, evocati nella seconda parte della pièce, soprattutto per la musica di quest’ultimo, cedono tutto a “West Side Story” nella conclusione, cioè ad un celebre Romeo e Giulietta musical, per fortuna privato delle sue celebri canzoni e della riconoscibile musica di Leonard Bernstein.
Qui, dopo telluriche e concitate danze di massa, si propongono alcuni passi a due di una certa concretezza coreografica, per finire con la scena del balcone, dopo un fuggi fuggi di tutti gli euforici e sudatissimi interpreti.
Lasciamo a chi ha occhi per vedere, in questa elettrica bambinata disciolta in un ampio hangar che vuole un sipario sul fondo e un ballatoio in alto, emozioni ed empatia. Noi torniamo sui nostri passi taoisti: tutto passa, tutto è in movimento, e la vita è un flusso impetuoso a cui bisognerebbe arrendersi piuttosto che cercare di fermarlo in superficie, senza una vera necessità (o capacità) creativa come in questa “età dei contenuti”.

U. di Sciarroni (ph: Andrea Macchia)
U. di Sciarroni (ph: Andrea Macchia)

Sulla riva opposta di questo fiume caotico e dionisiaco, si erge apollineo e austero “[U. (un canto)]” di Alessandro Sciarroni, un concerto per sette cantanti-performer curato dall’artista marchigiano, già Leone d’oro alla Biennale di Venezia 2019, assieme ad Aurora Bauzà e Pere Jou, due compositori ispanici, attenti al rapporto corpo-voce.
Forse al normale pubblico della vetrina bolzanina, la novità dei sette immobili vocalist deve essere sembrata fuori luogo in un festival di varie danze, ma anche Sciarroni è stato un habitué della rassegna firmata da Masi, dunque buona parte degli spettatori non si sono affatto stupiti dell’ultima deviazione del teatrante che abbiamo definito inventore (spesso del già noto) ma ormai soprattutto ricercatore.
Certo a giudicare dall’accoglienza, non proprio simile a quella riservata alla Horde, qualcuno si sarà domandato con stupore il motivo di questa immersione in canti tradizionali italiani, composti da Renzo Bertoldo, Piercarlo Gatti, Bepi de Marzi, Angelo Mazza e Giorgio Susana, tra la metà del secolo scorso e i giorni nostri. Canti dedicati al rapporto tra uomo e natura, alle stagioni, al lavoro nei campi, ma anche ai valori misterici e sacri della vita. Ebbene, qui non vi è alcuna risposta plausibile, se non nella necessità di continuare il percorso canoro apertosi per Sciarroni con la co-curatela di un evento a fianco del musicista francese Alexis Paul, poi finito sulla scena della Triennale Teatro di Milano, grazie alla Fondazione Cartier.

In “[U. (un canto)]” i sette cantanti occupano il centro del palco nudo, stanno ben eretti in fila e indossano costumi vagamente montanari, ma raffinati, decorati e scuri. Il fatto che taluni di loro (giovanissimi) siano pure danzatori non trapela nella voluta staticità del concerto, ma verso il finale i sette avanzano a piccoli passi, e allungano anche le mani in segno di donazione dei loro non facili vocalizzi.
Quella vaga compiacenza, quel vago snobismo che Sciarroni si porta quasi sempre appresso gli impedisce di creare un’arte che sappia davvero sconcertare, disturbare, inquietare e anche pungere. Lui non è “estraneo al mondo” (Adorno) e neppure sta “da qualche altra parte: a casa dell’estraneo”, dunque non ci trasmette il dolore del completamente “altro”. Ma questa volta ci concede un’esperienza, ben lontana dall’abitudine, e può essere un toccasana.

Age of content
concetto: (La)Horde
coreografia: (La)Horde
concept: (La)Horde, Marine Brutti, Jonathan Debrouwer e Arthur Harel
con il supporto di Institut français e della Fondazione Nuovi Mecenati – Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea

durata: 1h 15′

Visto a Bolzano, Teatro Comunale, il 27 luglio 2024
Prima italiana

stars 2.5

 

 

U.
coreografia, concetto e idea: Alessandro Sciarroni
interpretazione: Alessandro Bandini, Annapaola Trevenzuoli, Diego Finazzi, Lucia Limonta, Margherita d’Adamo, Nicola Fadda, Raissa Avilés
direzione musicale: Aurora Bauzà, Pere Jou
assistenza drammaturgica: Elena Giannotti
styling: Ettore Lombardi
luci: Valeria Foti
tecnica: Valeria Foti

durata: 60′

Visto a Bolzano, Casa della Cultura (Waltherhaus), il 24 luglio 2024
Prima assoluta

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