Bianca e Falliero di Jean-Louis Grinda. Al Rof l’avventura d’amore di Rossini in una nuova produzione

Ph: Amati Bacciardi
Ph: Amati Bacciardi

Jessica Pratt e Aya Wakizono nel ruolo dei due amanti protagonisti 

Dopo avere raccontato l’eccellente esito di “Ermione” al Rossini Opera Festival di quest’estate, eccoci qui ad approfondire la seconda opera di Rossini a cui abbiamo assistito a Pesaro, “Bianca e Falliero” che, come vedremo, si presenta in maniera assai diversa dalla precedente, per contenuti e per impostazione musicale.
“Bianca e Falliero” è composta su libretto di Felice Romani, l’illustre librettista amatissimo da Bellini, e da cui Rossini trasse anche “Aureliano in Palmira” e “Turco in Italia”. Romani la immagina traendola dal dramma “Les Venetiens ou Blanche et Montcassin” di Antoine Vincent Arnault. La sua prima rappresentazione inaugurò, il 26 dicembre 1819, la stagione di Carnevale e Quaresima del Teatro alla Scala di Milano. Ci è obbligo ricordare che l’opera fu accolta in generale con scarsa benevolenza, collezionando poche recite ottocentesche in Italia, e venendo ripresa solo nel 1986, proprio a Pesaro, dove ebbe la sua nuova consacrazione con la regia di Pier Luigi Pizzi, per merito della grande Marylin Horne che, diretta da Donato Renzetti, diede nuovo meraviglioso smalto al fiero personaggio guerreggiante di Falliero. Con lei, in quella memorabile esecuzione, ci furono astri lirici del tempo, come il soprano Katia Ricciarelli e il tenore Chris Merrit.
Abbiamo ascoltato l’opera nel rinnovato spazio storico di viale dei Partigiani, il Palafestival, ora Scavolini Auditorium.

L’opera si svolge a Venezia durante il XVII secolo, dopo la congiura del Marchese di Badamar, ambasciatore spagnolo che cercò di imporre la dominazione iberica sulla Repubblica veneziana.
Al centro della trama vi è il contrastato amore tra Bianca, figlia del senatore Cantareno, data in sposa, contro il suo volere, al nobile Coppellio, per sanare una futile contesa economica, e Falliero, uomo d’arme, vincitore dei ribelli e degli Spagnoli. Il giovane (interpretato da un mezzo soprano), tornato dalla guerra, interviene con forte cipiglio nel bel mezzo della cerimonia nuziale, impedendone le nozze (un po’ come avviene nella “Lucia di Lammermoor” di Donizetti).
I due amanti, poco dopo, organizzano una fuga d’amore ma, scoperti da Cantareno, sono costretti a rifugiarsi presso l’ambasciatore di Spagna. Qua Falliero, avendo il Doge, su consiglio di Contareno, decretato la pena di morte per chi avesse avuto rapporti con i nemici, anche se non colpevole si sente perduto. Il giovane soldato ha infatti saputo che il severo padre dell’amata sarebbe, insieme a Capellio, uno dei giudici al processo intentato contro di lui.
In suo aiuto però arriva l’amata Bianca, che convince Capellio, nonostante la ostinata contrarietà del padre, della sincerità del suo amore per Falliero, essendo pronta a difenderlo sino alla morte.
Si giunge dunque al lieto finale, in cui il Senato assolve il giovane con il benevolo assenso anche di Contareno.

Romani conduce la storia con sapiente linearità, una storia che nei suoi sviluppi contiene, al contrario di Ermione, tutti i topoi drammaturgici e musicali dell’opera lirica, usuali per l’epoca, concentrata su un amore contrastato, che qui ha però lieto fine, a differenza, tra l’altro, dell’originale di Arnaud, da cui è tratto.

Rossini, come abbiamo detto, conduce musicalmente gli avvenimenti nel solco della tradizione, con cavatine (appassionata e sbarazzina quella di Bianca “Della rosa il bel vermiglio”, ardimentosa quella di Falliero “Se per l’Adria il ferro strinsi” ), duetti (quelli tra soprano e mezzo soprano fra i due innamorati Bianca e Falliero, come il bellissimo “Questo istante, mia speranza” nel secondo atto, che ci rimanda a quelli tra Tancredi e Amenaide, Arsace e Semiramide, Elena e Malcom in altre opere del pesarese). Molto bello anche quello tra Bianca e il padre Cantareno: “Non proferir tal nome”. Rossini poi, prima della pirotecnica aria finale di Bianca, “Deh respirar lasciatemi” che rimanda a “Tanti affetti”, il celebre rondò di Elena dalla “Donna del lago”, incastona un meraviglioso quartetto: “Cielo il mio labbro ispira”, che si compone piano attraverso, uno ad uno, il canto di tutti i protagonisti che partecipano insieme agli stessi sentimenti.
Ovviamente dobbiamo anche ricordare tutti i contributi vocali eroici di Falliero, che si concretizzano nella grande scena del secondo atto che, iniziata con il meraviglioso accompagnamento del flauto, culmina in sintonia con il coro, con quel “Tu non sai qual colpo atroce”, espresso con fierezza dal giovane soldato, convinto di andare incontro alla morte.

La regia di Jean-Louis Grinda è di impronta tradizionale, con le scene di Rudy Sabounghi che si compongono e scompongono a vista per creare di volta in volta un ricco palazzo, la calle di una venezia notturna e il tribunale dove si svolge il processo contro Falliero.
Venezia è spesso presente attraverso le luci di Laurent Castaingt, che disegnano una pallida città lagunare. I costumi rimandano ai primi decenni del secolo scorso, tranne per il soldato Falliero con i suoi ardimentosi compagni, il Doge e i giudici. Per tutta l’opera ci accompagna anche un’anziana signora, forse la nonna di Bianca, che ella accudisce amorevolmente. Il finale ci sembra rappresentato come una specie di sogno di Bianca, dove lei si aggira tra gli altri personaggi fermi ed impassibili, gridando la sua felicità.

Jessica Pratt, che amiamo da tempo immemorabile e che ci ha pregiato della sua amicizia, è stata, come ci si aspettava, una impeccabile Bianca, che sempre riesce a variare la sua voce cristallina, accompagnandola vorticosamente nell’esprimere tutti i vari sentimenti che la percorrono, sino alla già citata aria finale.
Il mezzosoprano giapponese Aya Wakizono, come Falliero, canta davvero bene, in ogni momento, attraverso una tecnica vocale sempre consona; ma a noi personalmente è in parte mancata la definizione del personaggio che dovrebbe incarnare, con il caratteristico timbro vocale, i suoi toni gravi e le parole scolpite e fieramente pronunciate: un inclito eroe e un fiero soldato che fa da giusto contraltare vocale nei duetti con Bianca.
Davvero eccellente, come padre, il tenore russo Dmitry Korchak, che cesella con giusto trasporto la sua aria paterna “Se l’amor mio ti è caro… pensa che ormai resistere”, accompagnando sempre con giusta misura la Pratt nel duetto “Non proferir tal nome”.
Bene le parti di fianco, tra cui spiccano Carmen Buendìa come Costanza e Giorgi Manoshvili, eccellente e già stimato basso, nella parte un poco sacrificata dal libretto di Cappelio.

Roberto Abbado conduce con giusto equilibrio l’opera, aiutato egregiamente sia dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, sia dal Coro del Teatro Ventidio Basso diretto da Giovanni Farina.

Bianca e Falliero
Melodramma in due atti di Giuseppe Felice Romani
Musica di Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini, a cura di Gabriele Dotto
Direttore ROBERTO ABBADO
Regia JEAN-LOUIS GRINDA
Scene e costumi RUDY SABOUNGHI
Luci LAURENT CASTAINGT

Interpreti
Priuli NICOLÒ DONINI
Contareno DMITRY KORCHAK
Capellio GIORGI MANOSHVILI
Falliero AYA WAKIZONO
Bianca JESSICA PRATT
Costanza CARMEN BUENDÍA
Ufficiale / Usciere CLAUDIO ZAZZARO
Cancelliere DANGELO DÍAZ
CORO DEL TEATRO VENTIDIO BASSO
Maestro del Coro GIOVANNI FARINA
ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI
Nuova produzione

Atto I: 1h 50′
Atto II: 1h 20′

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