Piove a dirotto a Bologna. Piazza Maggiore è lucida di acqua nella serata che precede la Pasqua e che vede andare in scena un’elaborazione particolare del rito più celebrato legato alla passione di Cristo, l’Ultima Cena.
Il grande salone del Podestà ospita infatti “Cena Pasolini”, appuntamento finale del progetto “Nelle pieghe del corpo” che la città di Bologna ha voluto dedicare a Virgilio Sieni.
Cinque tavoli per cinque cene, create con interpreti diversi in momenti e luoghi differenti e riunite per questa occasione; cinque spazi delimitati da riquadri neri che le contengono. Il pubblico scorre tutto intorno cercando la sua possibilità di visione.
Lo spazio è enorme, i gesti dei 108 interpreti si affollano e quasi sommergono, sembra impossibile riuscire a vedere, a capire, a farsi suggestionare. Intuisco che mi devo fermare per poter entrare in questo bosco di segni.
Scelgo la Cena offerta dagli interpreti più anziani: atmosfera pacata, rallentata, mani che si cercano e cercano il contatto del vicino, comunità che si ritrova nella vicinanza che il dolore induce, aiuto, comprensione. E procedo così, scorrendo per soste da una cena all’altra, cercando di prenderne l’umore, il senso, il ritmo.
Trovo echi e risonanze nei gesti dei corpi di diverse età e competenze che il mio sguardo incontra, una stessa storia declinata in infinite mutevolezze, mutuata da diversi immaginari.
La parte centrale del lungo salone è lasciata ai ragazzini: il ritmo è inevitabilmente più veloce e gioioso; girotondi, corse che travalicano lo spazio a loro concesso e strabordano negli altri territori, contaminandoli con la loro giocosità, eco del ruolo essenziale che hanno i bambini e la loro innocenza, anche nella narrazione del Vangelo. I loro gesti sono però i meno congrui, i più corrotti da stilemi imparati, vizi di forma a scapito della naturalezza, troppa voglia di mostrarsi, in confronto alla maturità che semplicemente cerca nell’intimo una possibilità di espressione.
Come lo scalpiccio dei loro piedi, così altri rumori improvvisi spostano l’attenzione via da ciò che si sta guardando; sono i corpi stessi che risuonano perchè percossi, o il fiato che si fa forzato e diventa richiamo.
Fanno da contrappunto alla potenza del coro il cui respiro permea lo spazio, passando dagli accenti sacri di Arvo Pärt a quelli ancestrali di Meredith Monk. Un coro che non è solo voce, ma si tramuta in onda umana: partendo da un lato attraversa il lungo salone inglobando tutte le cene, raccogliendo gli interpreti in un grande esodo.
Se la prima volta l’onda si ritrae lasciando che lo spazio si ricomponga nelle sue cinque forme, la seconda diventa una marcia di resistenza civile sulle note di una muta “Bella Ciao”. E mentre con stupore la riconosco, mi risuonano in mente le parole di Pasolini quando parlava della figura di Cristo per il suo film “Il Vangelo secondo Matteo”, figura che avrebbe dovuto, secondo lui, possedere “la stessa violenza di una resistenza: qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si sta configurando all’uomo moderno, la sua grigia orgia di cinismo, ironia, brutalità pratica, compromesso, glorificazione della propria identità nei connotati della massa, odio per ogni diversità, rancore teologico senza religione”.
Il senso di comunione festosa che raccoglie tutti gli interpreti alla fine della performance è commovente. I loro sguardi, il senso del loro cercarsi rimanda una gioia profonda nell’essersi in qualche maniera trovati e ritrovati; e, nel loro intimo, aver avuto la possibilità, attraverso un atto creativo che trae dal corpo e dalla sua fisicità il senso, di scendere dentro sé stessi per incontrare l’altro.
La democraticità del “fare danza” è uno dei più grandi regali di questa creazione, che è a tutti gli effetti una sperimentazione su una possibilità che si può chiarificare solo nel fare. Come lo stesso Sieni afferma nell’incontro successivo alla visione, “questo progetto ha creato un’apertura”, è “una metodica in divenire”, “una forma di dialogo con la tecnica per andare a ritrovare un’origine”.
Ma non solo: è anche una sperimentazione su una possibilità di visione non univoca, una riflessione su come ridare al pubblico la sua responsabilità di scelta per ciò che vuole vedere, senza il riparo comodo di una poltrona. Come tale quindi deve essere guardata e anche giudicata, soprattutto da chi la danza la pratica e la insegna, per riuscire ad andare oltre gli orpelli, gli estetismi, gli arzigogoli della mente e della parola che troppo spesso inficiano il fare. Perché, alla fine, il segreto è proprio dentro le pieghe del nostro corpo.
CENA PASOLINI
ideazione e coreografia: Virgilio SIeni
musica: Corale G.Savani di Carpi, direttore Giampaolo Violi
assistenti al progetto: Gaia Germanà, Daina Pignatti, Giulia Mureddu
cura del progetto: Lorenza Paniccià
commissione: Emilia Romagna Teatro Fondazione
durata: 45’
applausi del pubblico: 4’
Visto a Bologna, Salone del Podestà, il 4 aprile 2015
nell’ambito del progetto Nelle Pieghe del Corpo