I Puritani di Bellini conquistano il Regio di Torino

Photo: Pietro Paolini
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Giunge a Torino, dopo le recite fiorentine e con un cast tutto diverso, “I Puritani”, l’estremo capolavoro di Vincenzo Bellini, che morì lo stesso anno della sua prima rappresentazione.
L’opera fu scritta dal compositore siciliano su libretto di Carlo Pepoli che la trasse dal dramma storico di Jacques-François Ancelot e Joseph Xavier Boniface “Têtes rondes et Cavaliers”.
La prima, segnata da grande successo, avvenne al Théâtre de la Comédie Italienne di Parigi il 24 gennaio del 1835, avendo nel ruolo di Elvira il famoso soprano Giulia Grisi.

Bellini compose la sua ultima opera in nove mesi, dall’aprile del 1834 al gennaio del 1835, e la sua gestazione fu assai complicata. Inizialmente strutturata in due atti, l’opera fu suddivisa in tre poco prima dell’andata in scena, con interventi anche di Gioachino Rossini, che consigliò alcuni cambiamenti.
Alla vigilia della prima rappresentazione, la lunghezza eccessiva dello spettacolo impose il taglio di tre brani, oggi sovente ripristinati, come per esempio la bellissima stretta del finale dell’atto terzo “Ah! sento o mio bell’angelo”, presente anche nel nostro ascolto di Torino.

Dell’opera esiste anche un’altra versione, destinata per un nuovo allestimento per il Teatro San Carlo di Napoli, la cui protagonista doveva essere Maria Malibran. Per questa versione Bellini modificò alcuni numeri dell’opera. Lo spettacolo però non ebbe poi luogo, in quanto la partitura arrivò a Napoli in ritardo, e la versione napoletana, chiamata anche “Malibran”, fu riscoperta ed eseguita solo negli anni Ottanta del Novecento.

La storia, come si addice ad un classico melodramma, mescola, come già succede nella Lucia donizettiana (sempre del 1835 ma rappresentata nove mesi dopo), l’amore con la politica, il pubblico con il privato. Qui, tuttavia, il tradizionale fatale incomodo della morte è schivato per un soffio e il finale lascia tutti, o quasi, felici e contenti.

L’azione si svolge nell’Inghilterra del XVII secolo, al tempo di Oliver Cromwell, dove è in atto lo scontro politico fra il partito dei Puritani e quello degli Stuart.
L’amore che sta al centro della trama è quello tra Elvira Valton e Arturo Talbo. I due amanti si stanno per sposare per intercessione dello zio Giorgio, che ha convinto il padre della ragazza a combinare il matrimonio, nonostante avesse promesso la sua mano a Sir Riccardo Forth (a cui Bellini regala la prima bellissima aria “Ah per sempre io ti perdei”).
Prima della cerimonia Arturo, partigiano degli Stuart, riconosce però in una misteriosa prigioniera la regina spodestata, Enrichetta Maria di Francia; l’uomo è così costretto, per salvarla da morte certa, a farla fuggire, dovendo però accompagnarla nella fuga.
Alla notizia che il promesso sposo è fuggito con una donna, Elvira impazzisce, mentre lo zio Giorgio racconta con commozione agli astanti la follia della donna (“Cinta di fiori”).

Arturo, pur braccato dai soldati dell’esercito puritano, riesce ad avvicinarsi alla sua amata, che lo riconosce attraverso una canzone. L’emozione è tale da farle tornare la ragione, mentre i soldati irrompono sulla scena, imprigionando Arturo che viene condannato a morte.
Ma uno squillo di tromba annuncia la sconfitta degli Stuart e così, per celebrare la vittoria, Cromwell dispone un’amnistia. In questo modo Arturo ed Elvira possono finalmente tornare ad amarsi liberamente.

Se si eccettua il sublime finale di “Norma”, i Puritani rappresentano il vero culmine della musica belliniana, un fluire inarrestabile di purissima melodia, dove ogni numero musicale si inabissa per rendere palpabile il succedersi dei sentimenti e delle emozioni, che vengono stemperati in un’aura di malinconia elegiaca, che solo la musica può suggerire. Si pensi solo al concertato finale del primo atto, “Ah vieni al tempio”, dove la pietà – il sentimento più celebrato in tutta l’opera – per la condizione di Elvira viene espressa come un lungo respiro da tutti, soprattutto dagli uomini.

Diciamo subito che, soprattutto per il tenore, affrontare quest’opera è compito difficilissimo, fin dalla cavatina d’entrata “A te o cara”, per non parlare dell’attacco del concertato del terzo atto “Credeasi misera”, con quel fa sovracuto che molti tenori risolvevano con un falsettone.

Per quanto riguarda il soprano, oltre alle varie asperità belcantistiche, disseminate per tutta l’opera, vi è la scena culmine della follia (“Qui la voce sua soave”) e la difficilissima polonaise “Son vergine vezzosa” con i famosi tre “sì”, che rendono anche questa parte assai rischiosa.
Sia il tenore sia il soprano si devono peraltro confrontare con le interpretazioni storiche di Gedda, Kraus, Di Stefano, Callas e Sutherland.
Olga Peretyatko e Dmitry Korchak superano nel complesso brillantemente la prova, conducendo il canto in modo consono alle loro impervie parti, senza eccessive forzature vocali, riscuotendo un grande successo di pubblico.

Nell’opera anche le voci più gravi sono messe alla prova, come nel famosissimo duetto marziale “Suoni la tromba e intrepido”, affrontato con qualche difficoltà all’unisono da Nicola Alaimo e Nicola Ulivieri, che precedentemente aveva cantato con grande pertinenza la dolente romanza “Cinta di fiori”.

La regia di Fabio Ceresa, coadiuvato dalle scenografie di Tiziano Santi, dai costumi (forse fin troppo elaborati) di Giuseppe Palella e dalle luci spettrali di Marco Filibech, ambienta l’opera in un’atmosfera cimiteriale. Su un piano inclinato costellato di tombe fuoriescono ombre nere che seguono dappresso soprattutto l’infelice protagonista (le coreografie sono state affidate al giovane gruppo milanese Fattoria Vittadini), una protagonista che, alla fine, con azzardata invenzione registica, rimarrà incredula e ancora spaesata davanti alla felice conclusione della vicenda, mentre un’enorme cupola sghemba, che sovrasta il tutto, man mano scomparirà.
Bell’idea ci è poi sembrata quella di usare il mantello di Arturo come straziante ricordo dell’amato lontano.

La direzione di Michele Mariotti è la vera perla della nostra serata, sempre di rara efficacia nell’affrontare tutte le diverse colorature dell’opera. Il direttore riesce a restituire benissimo tutta la grande elegiaca atmosfera, governando in modo perfetto il rapporto tra scena e orchestra.
A Torino fino al 26 aprile.

I puritani
Melodramma serio in tre parti
Libretto di Carlo Pepoli
dal dramma storico Têtes rondes et Cavaliers
di Jacques Ancelot e Joseph Saintine

Musica di Vincenzo Bellini

Interpreti:

Olga Peretyatko
Désirée Rancatore (18, 21, 23)

Dmitry Korchak
Enea Scala (18, 21, 23)

Nicola Ulivieri
Mirco Palazzi (18, 21, 23)

Nicola Alaimo
Simone Del Savio (18, 21, 23)

Fabrizio Beggi

Samantha Korbey

Saverio Fiore

Direttore d’orchestra: Michele Mariotti

Regia: Fabio Ceresa

Coreografia e assistente alla regia: Riccardo Olivier
Scene: Tiziano Santi
Costumi Giuseppe Palella
Luci Marco Filibeck
Assistente alle scene Alessia Colosso
Maestro del coro: Claudio Fenoglio
Orchestra e Coro del Teatro Regia
Fattoria Vittadini

Nuovo allestimento in coproduzione con Maggio Musicale Fiorentino

Durata: 3h 15′

Visto a Torino, Teatro Regio, il 17 aprile 2015

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