Levità e desiderio di immaginare convivono con una memoria fondante forte, in questa edizione leccese del Teatro dei Luoghi Fest. Il progetto 2015 di Koreja ritorna alle origini ma tiene ben teso il filo verso il domani. Un’operazione delicata, quella di connettere passato, presente e futuro.
L’Archivio allestito a Palazzo Grassi a trent’anni da “Aradeo e i Teatri” e le acrobazie sperimentali al Castello Tre Masserie è approdo ma anche ripartenza.
Una bella armonia fa convivere produzioni nuove (“Il matrimonio” e “Kater i Rades. Il naufragio”) e storiche (“Paladini di Francia”) del Teatro Stabile di Innovazione del Salento. Ed è oltremodo gradita, oltre che interessante, la presenza in cartellone di artisti giovani che di quella continuità temporale sono materia e metafora.
Il contributo drammaturgico di Fabio Chiriatti inaugura il festival con due racconti teatrali che rielaborano le narrazioni di uomini e donne residenti in alcuni comuni della zona, raccolte nel corso di un laboratorio realizzato nell’ambito del progetto SAC Salento di mare e pietre. Un progetto entro il quale a Koreja viene affidato Palazzo Grassi per i prossimi cinque anni al fine di costituirvi un Centro per le Produzioni Narrate, riconnettendo così il destino del gruppo a quel Campo d’Azione Teatrale dal quale partì nel 1985.
“Non potevamo perdere” è una partitura per sette voci che ricordano azioni e nomi di chi ha sfiorato la vita della compagnia dal suo inizio in questo territorio, mentre “Le Tavole del Teatro” è dedicato al tabacco e alle vite delle donne che quella produzione ha indirizzato. Un cuore che si stringe come il pomodoro nell’astrattiera consapevole di una serrante catena della esclusione: “Prima i dottori poi i preti e poi tu”.
Un altro nome giovane conferma il proprio talento, ed è quello di Riccardo Lanzarone, che presenta uno studio per il suo “Codice Nero”, già favorevolmente accolto al Premio Scenario. I 20 minuti di cui si compone al momento preludono alla maturità di un lavoro che nasce da un duplice scavo biografico e di indagine. La conferma di una capacità attorale che è potenza del corpo. Un corpo accartocciato in una (rovente) stanza di ospedale in attesa del proprio turno: “Tocca a me?”.
La dimensione immaginifica di chi rammemora sognante ma ad occhi bene aperti è segnalata da due piccoli camei di freschezza quasi infantina e capacità di produrre molto con poco, sia esso un pennarello nero su foglio bianco e luci, o gioiosa padronanza del proprio sé non solo corporeo.
Il primo è “Stanza Numero 3” per “Le stanze segrete di S.” di Daniele Cavalli ed Eleonora Diana. Un percorso che dimora nella dimensione delle arti visive ma attiva quella performativa nella mente dell’osservatore-ospite.
Il patto all’ingresso vieta di rivelare cosa accadrà nelle ‘stanze’, ma volentieri infrangiamo il divieto solo per dire che suono e segno accompagnano qui in un ‘viaggio’ sensoriale ricco di orizzonte. Forse nel ventre di un mostro marino, forse al centro della terra…
Il secondo è “Just Another Normal Day” di Collettivo TrecentoventiChili. Pino Basile e Francesco Sgrò presentano il loro modo di ‘provare’ nella duplice accezione del fare le prove e mettersi alla prova. Una proposta che è invito e tentativo di rendere straordinario l’ordinario e che, nella ripetizione fanciullesca e lieve (appunto), porta il risultato oltre il circo-danza contemporaneo nella zona della metafisica.
Almeno l’illusione di lasciare risorse ai giovani….