Marco Baliani: da Titivillus il bilancio di un percorso artistico

Ho cavalcato in groppa ad una sedia
Ho cavalcato in groppa ad una sedia
Baliani in copertina di ‘Ho cavalcato in groppa ad una sedia’

E’ stato presentato lunedì al Teatro India di Roma “Ho cavalcato in groppa ad una sedia”, volume di Marco Baliani pubblicato questo mese da Titivillus.
Baliani, classe 1950, traccia un bilancio dell’esperienza teatrale con la quale ha posto le basi del teatro di narrazione: un bilancio e, allo stesso tempo, una riflessione sugli sviluppi del suo percorso artistico di attore, autore e regista.

«Il motivo per cui ho cominciato, più di venti anni fa, a trasformare l’atto teatrale in una narrazione era la ricerca di un linguaggio che mi permettesse di descrivere il mondo in una forma complessa, che uscisse dai consueti canoni teatrali della rappresentazione ma più ancora che rimettesse in gioco il modo di percepire la scena da parte dello spettatore – scrive Baliani nel libro – Quando racconto costringo a spostare la percezione dall’occhio all’orecchio, a privilegiare l’ascolto sulla visibilità. In una società ove tutto è visibile, spiabile, registrabile visivamente, la narrazione ricrea il mistero di un invisibile che si manifesta. Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto a indagare in quali e quante forme potesse avvenire l’atto del narrare. Ciò che all’inizio era un mio percorso individuale estremo, la ricerca di una forma per catturare la contemporaneità del nostro mondo, si è andato via via nel tempo trasformando in un modo di pensare la scena in forma collettiva, di condividerla con altri attori, di creare spettacoli corali, ove la narrazione intervenisse nella forma drammaturgica».

Il libro, di 168 pagine (18 euro il prezzo di copertina), è corredato dalle fotografie di Enrico Fedrigoli e include il dvd dello spettacolo “Kohlhass”.

«Contro una società che brucia le esperienze in un vortice di banalità, che uniforma il sentire secondo canoni pubblicitari, che appiattisce la percezione del mondo secondo schemi opachi, che costringe l’immaginazione a misurarsi col solo manifestarsi della realtà, contro tutto questo salgo su una sedia e mostro l’invisibile. O tento di farlo. Che almeno per la durata di quelle parole, perse in un soffio nel momento stesso in cui vengono dette, ci sia la possibilità di scartare ed entrare in un altro tempo. La battaglia continua e devo poter sempre immaginare che l’esito dello scontro possa essere incerto, che la macchina trituratrice si possa incrinare, un giorno, per il suono di una parola».

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